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Cultura | 21 gennaio 2019, 19:26

Gazzaniga: “Ecco le mie storie dentro lo sport”

Lo scrittore genovese presenta il suo ultimo libro giovedì sera, alle ore 19, presso la Biblioteca Firpo del Cep. “Parlo di lotta alle discriminazioni razziali, sessuali e di genere, di coraggio e disabilità e di tanto altro”

Gazzaniga: “Ecco le mie storie dentro lo sport”

‘Per aspera ad astra’, dicevano gli antichi romani, per raccontare di chi riusciva a raggiungere un sommo obiettivo attraverso ogni tipo di difficoltà. Un concetto che ben si adatta anche al gesto sportivo che, nella sua bellezza e straordinarietà, diventa gesto ora di emancipazione, ora di denuncia, ora di libertà, ora di riscatto sociale. E tanto, tanto altro.

 

Storie di sport che non sono solo di sport: ecco il succo del bellissimo libro ‘Abbiamo toccato le stelle - Storie di campioni che hanno cambiato il mondo’. Lo edita Rizzoli e lo ha scritto l’apprezzato autore genovese Riccardo Gazzaniga.

Classe ’76, originario di Sampierdarena e oggi residente a Rivarolo, Gazzaniga è balzato all’attenzione dell’editoria nazionale grazie ai due romanzi di successo ‘Non devi dirlo a nessuno’ e ‘A viso coperto’, entrambi pubblicati da Einaudi.

Nella vita, lavora al Reparto Mobile della Polizia ed è il vice segretario provinciale del Sindacato Italiano Appartenenti Polizia.

Il suo ultimo lavoro sarà presentato giovedì sera alla Biblioteca Firpo del Cep (via della Benedicta 2), alle ore 19.

“Lo sport - si legge nella presentazione del volume - non è fatto solo di vittorie e di sconfitte. È importante anche come si vince e come si perde. Perché essere un campione non significa soltanto conquistare una medaglia, battere un record, dominare nella propria disciplina, ma conquistare un primato morale, saper difendere un ideale nobile, dare un esempio. E combattere contro avversari invisibili e subdoli come la discriminazione razziale, politica o sessuale, contro malattie o infortuni gravissimi, o semplicemente contro regole ingiuste e tradizioni fuori dal tempo”.

I protagonisti dei venti racconti scritti da Gazzaniga, “con le loro scelte coraggiose e la loro straordinaria capacità di lottare, ci mostrano come lo sport può cambiare il mondo, quando si fa portavoce dei più alti valori umani. La storia di Yusra Mardini, ragazza che scappò a nuoto dalla guerra; di Gino Bartali, campione che pedalò per salvare centinaia di ebrei; di Emile Griffith, pugile che uccise sul ring e amò gli uomini; di Kathrine Switzer, prima donna a correre una maratona; di Peter Norman, eroe silenzioso tra i due giganti del 1968: queste e tante altre storie raccontate dalla voce forte e dolce, epica e commovente dell’autore”.

 

Come nasce l’idea del libro?

“Tutto parte dalla storia di Peter Norman, che intitolai ‘L’uomo bianco in quella foto’: un pezzo che, sulla rete, venne letto da circa tre milioni di persone e tradotto in dieci lingue. Un successo clamoroso. Allora ho capito che questo era un argomento che poteva suscitare molto interesse: le vicende sportive che andavano oltre allo sport e che contenevano messaggi molto più grandi e importanti”.

 

Sono tutte storie che già conosceva o si è documentato e ha fatto ricerche?

“Alcune erano già apparse sul mio blog. Ma in tanti mi chiedevano se fosse possibile realizzarne una versione cartacea. A quelle che avevo già scritto, così, ne ho aggiunte altre, chiudendo un ipotetico cerchio. Una storia molto bella me la raccontava sempre mio nonno: quella di Dorando Pietri, che ho particolarmente amato. Altre me le sono andate a cercare, altre ancora me le hanno segnalate i lettori. E io sono andato ad approfondirle. Ci sono, ad esempio, le vicende del pugile sinti Johann Trollmann, che divenne campione nella Germania nazista; o l’amicizia fra il calciatore Jermain Defoe e il piccolo Bradley Lowery che ha ispirato la copertina. O, ancora, la storia di Sunya Bonaly, prima principessa del ghiaccio dalla pelle nera, e quella di Alex Zanardi, capace di iniziare una nuova vita proprio nell’istante in cui la sua prima esistenza finiva”.

 

Il libro è uscito nella collana per ragazzi di Rizzoli. Una scelta precisa?

“Sì, perché abbiamo ritenuto che queste storie potessero essere interessanti sia per un pubblico adulto che per i ragazzi. Ad arricchire il tutto, pure le tavole disegnate dall’artista Piero Macola, una per ogni racconto. Fanno sì, a mio avviso, che questo prodotto sia molto migliore in versione cartacea rispetto a quella digitale. Per quanto io non abbia nulla contro gli e-book”.

 

Lei che tipo di lettore è? Tradizionale o innovativo?

“Io credo che il libro tradizionale, in cartaceo, tenga ancora molto bene. Gli e-book hanno una fetta di mercato ancora marginale. Detto questo, non sono un feticista del libro su carta a tutti i costi. Leggo di tutto, anche e-book e ascolto gli audiolibri. Non ci sono particolari preclusioni. L’importante, secondo me, è leggere, avere degli interessi. Lo sport può avere un approccio molto più diretto rispetto, ad esempio, alla saggistica. Può raggiungere molte più persone. E poi, alla fine, può veicolare valori altrettanto profondi. Come ho cercato di fare io parlando di lotta alle discriminazioni razziali, sessuali e di genere, di coraggio e disabilità, di amicizia e diritti delle donne, di migrazioni e diversità, di amore e dedizione”.

 

Si sente più scrittore o più poliziotto?

“Sono un poliziotto che ama la scrittura. L’ho sempre amata, sin da quando ero piccolo. Poi ha prevalso il lavoro, ma devo dire che riesco a incastrare bene le due cose. E poi, avendo un’altra entrata, posso scrivere con una certa tranquillità, senza l’assillo di dover per forza uscire con un libro. Chi fa lo scrittore come unico mestiere ha il fiato addosso degli editori: e spesso questo può essere un male, perché si può finire a fare progetti nei quali non si crede, a raccontare storie che non funzionano. I miei libri sono genuini e tutte cose che mi piacciono nel profondo”.

 

A cosa sta lavorando?

“Ho scritto un romanzo. È più o meno pronto. Dovrebbe uscire verso la fine di quest’anno. I romanzi mi impegnano sempre per molto tempo. A volte servono anni per farne uno. Sul racconto, invece, la cosa è stata molto più agevole”.

 

Che rapporto ha con i suoi editor?

“Direi molto positivo. Una delle mie prime editor è stata Rosella Postorino, che è anche una bravissima scrittrice che ha vinto parecchi premi. Io vivo come un privilegio il fatto che qualcuno, un professionista, possa leggere le mie opere, correggermi e aiutarmi a migliorare. È una grande fortuna. Non sono uno che soffre la correzione o che si offende se gli fanno notare che qualcosa non va”.

 

Nello sport di oggi, soprattutto nel calcio, è difficile trovare storie da raccontare.

“Sono d’accordo. È tutto un po’ costruito. Tutto artefatto. Il tale giorno parla il tale giocatore, che dice le tali cose. Tutto abbastanza piatto, un mondo iperprotetto. Così è difficile entrare nelle parti più intime. Viviamo in un’epoca social: i calciatori twittano o postano su Facebook e Instagram ma ci si ferma quasi sempre alle apparenze, all’aspetto superficiale. È molto difficile trovare la storia. In questo quadro, ho molto apprezzato il coraggio di un ragazzo come Claudio Marchisio che, in maniera alquanto singolare, ha avuto il coraggio di esporre le proprie idee politiche, di dire come la pensava su certi temi”.

 

Una bella storia la diede l’attuale allenatore del Genoa, Cesare Prandelli, quando smise di allenare la Roma, nel 2004, appena dopo esser stato assunto, perché voleva assistere la moglie gravemente malata.

“Sono d’accordo. Una storia bellissima. Un gesto di coraggio e di amore”.

 

Lei è nato a Sampierdarena e risiede a Rivarolo. Due zone dove la ferita del Ponte Morandi è ancora più forte.

“Dal terrazzo di casa mia, tutti i giorni vedo quel ponte spezzato a metà. È un dolore tutte le volte. Stiamo vivendo mesi molto difficili. Ne ho scritto in un racconto, all’interno dell’antologia ‘Il Ponte’, pubblicata da Il Canneto Editore. Insieme a mia moglie Daniela, abbiamo raccontato le nostre emozioni, il nostro stato d’animo”.

Alberto Bruzzone

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