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Cultura | 05 febbraio 2019, 13:17

Simonetta Ronco: “Con le nostre Donne nell’ombra facciamo ‘femminilismo’ culturale”

E' nata a Genova la prima collana letteraria dedicata a donne rimaste nell'ombra, ma che meritano di essere conosciute. Ad aver ideato e a curare "Mnemosine" è la docente universitaria Simonetta Ronco, che ci racconta delle amanti genovesi di Mazzini e Totò, ma anche delle future iniziative

Simonetta Ronco: “Con le nostre Donne nell’ombra facciamo ‘femminilismo’ culturale”

Le collane letterarie, per grandi, ma anche per bambine, in cui si ricordano donne famose del passato e del presente, stanno popolando. Ed è giusto che sia così, anzi, era ora. Ma nessuno prima ha pensato a tutta quella schiera di personaggi femminili rimasti nell’ombra, in ogni settore culturale e in genere nelle vita, e che, invece, hanno contribuito al successo degli uomini e al progresso sociale. Insomma, degli esempi positivi, che possono aiutare a sviluppare quello che Simonetta Ronco, docente di Diritto all’Università di Genova, definisce “femminilismo culturale”.

Infatti è grazie alla collana – unica in Italia - che ha ideato e che dirige, “Mnemosine – Donne nell’ombra”, per la casa editrice Licosia, che da oggi usciranno le monografie di figure femminili, genovesi, nazionali e internazionali, curate da un comitato scientifico tutto al femminile (costituito da Ilaria Costa, Paola Danti, Gabriella De Filippis, Giulia Cassini, Donatella Ferraris, Serafina Funaro, Rosa Elisa Giangoia, Alessandra Revello, Antonella Traverso).

E il primo volume, di cui è autrice proprio Simonetta Ronco, è “Giuditta Sidoli. Vita e amori”, che fu l’amate di Giuseppe Mazzini. E intanto anche l’Osservatore Romano ha parlato di Mnemosine per lo studio che sta facendo su Juliette Colbert Marchesa di Barolo, candidata a diventare Beata, per aver assistito le carcerate nell’800.

Come nasce questa collana all’interno della casa editrice Licosia, che non è genovese?

No, è di Salerno infatti. In realtà è nato tutto per caso, perché insegno Diritto all’Università di Genova e Licosia, che collabora con gli atenei, mi ha contattata per chiedermi se ero interessata a pubblicare qualcosa in ambito giuridico. Ma io feci una controproposta: avviare un progetto culturale basato sulle donne sconosciute. Questo perché era un’idea radicata in me da molto molto e aspettavo solo qualcuno che fosse disposto a crederci e a investire in un progetto del genere. Siccome a Genova non c’era nessuno e le altre case editrici pubblicano collane di donne già famose, la volontà era di creare un palcoscenico per mettere in luce queste donne che hanno fatto qualcosa di bello e particolare, lasciando un messaggio importante, ma che, però, nessuno ha avuto tempo e voglia di mettere in rilievo. Licosia, invece, è stata subito entusiasta e mi ha dato la direzione della collana. Per me è una missione.

È l’unica collana presente in Italia di questo genere?

È l’unica a livello locale e nazionale. Non ne esistono altre. Attualmente esce con un giornale nazionale una nuova collana di biografie femminili, ma sempre le solite, già note. Chi sono gli autori di Mnemosine? Il nostro comitato scientifico è tutto al femminile, ma gli autori possono essere sia donne che uomini. Li cerchiamo noi, ma si propongono anche loro: per esempio la prima donna entrata in Polizia nel 1951, quando ancora le donne non c’erano, si chiama Rosa Scafa, che vive a Trieste, ha oltre 90 anni, e ora una delle nostre componenti del comitato si sta attivando per scrivere di lei, cercando la documentazione e Rosa ne è entusiasta.

Chi sono le donne genovesi e liguri che avete tolto dall’ombra?

Liliana Castagnola, genovese, è stata l’amante di Totò e si è uccisa per lui. Ha sofferto molto per amore, lasciando un messaggio di grande dedizione nei suoi confronti. Se ne sta occupando Paola Farah Giorgi. Invece è quasi finita la storia di una umanista, Fabia Fagetti, nata nel 1908, il cui figlio, un ingegnere di Lerici, autore di altri libri, ne ha scritto la biografia. Fabia ha avuto una storia piuttosto avventurosa che meritava di essere raccontata: figlia di un docente del liceo Parini di Milano, radiato perché si era rifiutato di fare il saluto fascista, con la famiglia si era rifugiata nella casa di campagna; dopo una serie di vicissitudini, è stata tra le prime donne scrittrici del periodo Fascista, anche se poi ha interrotto l’attività, e, per una serie di eventi, è arriva a La Spezia.

Quanto sono “romanzate” le biografie?

Per niente, perché cerchiamo di mantenere valido il dato storico. Nelle vicende in cui c’è poco da dire storicamente, si cerca di raccontare meglio il personaggio o si inseriscono elementi di contorno, ma il contenuto morale, storico e di vita del personaggio resta rigoroso. Ogni libro comprenderà immagini, foto, a volte anche appendici documentali, come per esempio brani di racconti di Fabia Fagetti, perché lei è stata traduttrice di alcuni autori francesi famosi, come Henry Bordeaux, e ha scritto lei stessa alcune fiabe.

Donne migranti che hanno fatto fortuna all’estero?

Sto lavorando su Virginia Macchi, la nonna paterna di Fabia Fagetti, che a metà ‘800 viveva in un paese vicino a Como. Era molto bella, ma di umili origini, e fu data in moglie a un imprenditore del luogo che era andato a fare fortuna in Argentina, come ebanista, e che era tornato in Italia per sposarsi. Virginia andrà in Argentina, avrà otto figli, e avrà una bella vita. Ho trovato un manoscritto di Fabia Fagetti su di lei, conservato per la pubblicazione, ma mai pubblicato, quindi la monografia uscirà a nome di Fabia, con mia curatela, e sarà un modo per onorare sia la nonna che la nipote.

Donne che si sono finte uomini per aver successo?

Ci sono figure che hanno nascosto la propria femminilità. Per esempio nel ‘700 una ragazza aveva finto d’essere uomo per entrare nell’Esercito: voleva fare l’Ufficiale. In Italia è successo molto più tardi. Ci sono state, inoltre, donne che hanno simulato un atteggiamento mascolino per riuscire meglio nell’ambiente culturale in cui si trovavano. L’esempio più classico, anche se non è di donna nell’ombra, è George Sand, come anche Frida Khalo. Per loro era forse più una provocazione, ma per altre è stata una necessità per entrare nell’ambito lavorativo che altrimenti sarebbe stato loro precluso.

E in ambito artistico?

Oltre alle figure rimaste nell’ombra, perché non sono state sufficientemente conosciute, ce ne sono anche altre che hanno dei meriti personali di un certo rilievo, a livello artistico, ma che si sono viste portare via le attribuzioni, i meriti, e lo stile, dalle figure maschili intorno a loro, che erano più noti. Un po’ alla volta si scopre che esistono queste donne e tra i nostri obiettivi c’è anche quello di restituire loro quello che meritano.

Si parla molto, finalmente, di donne scienziate: quali sono quelle del passato rimaste in ombra?

Ho trovato un personaggio molto interessante, Anna Fraentzel Celli, dottoressa che tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 andò a curare la malaria nelle paludi pontine. Divenne una sorta di nume tutelare di quelle donne pontine, quasi tutte malate.

Sono in previsione anche saggi storici su aspetti della vita femminile: per esempio quali?

Un’autrice di Torino vorrebbe scrivere sulla storia dell’istruzione privata femminile nell’Ottocento e c’è l’idea di scrivere sulle infermiere volontarie durante la resistenza della Repubblica Romana nel 1849: i soldati e i volontari feriti erano curati non da infermiere professionali, ma da un gruppo di donne, capitanate dalla principessa Cristina di Belgioioso, che si dedicarono interamente a questa missione. È un fenomeno che ci piacerebbe raccontare.

Il progetto non comprende solo la collana editoriale, ma anche altre iniziative culturali?

Sì, dopo la presentazione ufficiale, che si è tenuta il 12 dicembre nella Biblioteca Universitaria, ho avuto molte risposte positive e il successo ci ha stimolato, come comitato scientifico, a farlo diventare un progetto culturale a trecentosessanta gradi, che comprenda, quindi non solo la collana, ma anche iniziative da sponsorizzare, che tendano a realizzare lo stesso tipo di obiettivo, che secondo me è molto importante anche per le nuove generazioni, perché ritengo abbiano bisogno di esempi da seguire. Siccome quelli positivi, che valga la pena di ricordare, sono pochi, è giusto pensare anche a quelli appartenuti alla nostra famiglia, che sono da andare a ripescare: nonne, antenate, che abbiano fatto qualcosa di buono, specie chi ha attraversato periodi difficili, come le guerre. Il nostro è anche un servizio per chi ha voglia di mettere in campo forze positive per la gioventù e chi, tra figli, nipoti e pronipoti, aspirava a raccontare la storia di un antenato, ma poi non ha trovato il modo, magari perché non hanno gli strumenti letterari, non sanno scrivere o non hanno una casa editrice disposta a farlo.

Quale prossimo evento organizzerete?

L’8 marzo si terrà il convegno “Sono uscita dall’ombra”, in collaborazione col Teatro dell’Ortica di Anna Solaro. L’idea mi è venuta da una tesi di laurea di una giovane medico, seguita da Anna, sui percorsi di recupero, attraverso il teatro, di donne vittime di violenza.

Possiamo definire come un’operazione di “Femminismo culturale” questo progetto?

Su termine Femminismo ho sempre qualche remora, perché nei decenni ha acquisito un’accezione che non mi piace molto. Più che Femminismo direi che si tratta di una rivalutazione del ruolo della donna, che comunque, secondo me, non può mai essere parificata all’uomo, perché siamo diversi come propensioni e spirito. Il ruolo femminile, però, è molto più importante e fondamentale nella vita sociale e culturale. La donna è ispiratrice e musa, donna nell’ombra di grandi uomini, è quella che consente, con tutta la propria attività, di madre e moglie, di dare all’uomo quegli strumenti che gli permettono di andare avanti nella vita. Bisogna ridimensionare il suo ruolo non considerandola come individuo a sé, isolato dalla società, ma come individuo all’interno della coppia o comunque come veicolo di cultura e messaggi etici. È femminilismo culturale.

Medea Garrone

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