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Attualità | 29 aprile 2019, 11:01

Disturbi alimentari, “serve un percorso dedicato all’ospedale Gaslini”

L’appello dell’associazione Mi Nutro di Vita con il suo presidente Stefano Tavilla: “Queste malattie colpiscono in età sempre più precoce e vanno curate al momento del loro insorgere. Si attivino il Codice Lilla, come previsto dal Ministero, e ambulatori multidisciplinari”

Disturbi alimentari, “serve un percorso dedicato all’ospedale Gaslini”

Nella lotta ai DCA, ovvero i disturbi del comportamento alimentare, uno dei capisaldi è la Liguria. È qui infatti che dal 2011, anno in cui è nata, ha sede Mi Nutro di Vita, associazione no-profit per la lotta ai disturbi alimentari. Dalla nostra regione, si è arrivati a coprire l’intero territorio nazionale, a essere uno dei punti di riferimento, sempre all’insegna di informazione e sensibilizzazione.

È una splendida e preziosa realtà, composta da volontari, che negli anni ha condotto tante persone a esporsi, ognuna con le proprie motivazioni personali e la propria storia, a incontrarsi e a dare vita a un percorso di solidarietà, condivisione e divulgazione.

I principali scopi sono divulgare e diffondere informazioni sui disturbi alimentari e far sì che questo fenomeno venga conosciuto e riconosciuto dalle istituzioni e dalla popolazione, in maniera proporzionale alla sua forte incidenza, soprattutto sugli adolescenti.

Stefano Tavilla è il presidente di Mi Nutro di Vita. Sua figlia, Giulia, morì a 17 anni per bulimia. Dalla sua coraggiosa reazione è scattata la molla che ha fatto nascere l’associazione. “La morte di mia figlia - sostiene - deve servire a tutte le persone e le famiglie che vivono un dramma di questo genere. Lei non ce l’ha fatta, ma non ci devono essere altri figli che muoiono quando potevano essere salvati”.

Partendo dai numeri, Tavilla disegna un quadro molto grave: “In Italia ci sono tre milioni e mezzo di persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare. Se colleghiamo questa cifra ai loro familiari, che vivono questo dramma insieme alle persone malate, ecco che i tre milioni e mezzo diventano sei milioni, ovvero il 10% dell’intera popolazione italiana. Ecco perché il quadro è molto allarmante. Parliamo di malattie che sono molto importanti, pericolose e spesso difficili da individuare nella primissima fase. Non ci sono solamente anoressia e bulimia, che sono le più conosciute, ma molte altre manifestazioni. Dobbiamo andare alla radice del problema”.

Secondo Tavilla, “quello che deve preoccupare è l’età sempre più precoce in cui i segni della malattia iniziano a manifestarsi. Non parliamo più dell’adolescenza, bensì di bambini e bambine di sette/otto anni. Per questo è fondamentale un riconoscimento rapido dei sintomi. Purtroppo, molti medici di famiglia e molti pediatri non sono preparati su questi temi. È qui che bisogna iniziare a intervenire, ad esempio con dei corsi obbligatori per queste figure”.

Il presidente di Mi Nutro di Vita, che è ormai un’associazione pienamente riconosciuta e regolarmente in contatto con le istituzioni locali, regionali, e con il Ministero della Salute, ha le idee piuttosto chiare, al proposito: “Lo step successivo ai corsi, è quello dell’ospedale pediatrico. Noi in Liguria abbiamo il Gaslini, che è un istituto di indubbia eccellenza. Ebbene, qui i DCA si curano solo in casi di emergenza. Non c’è nulla rispetto alla prevenzione. Le malattie non vengono affrontate nella loro interezza. È qui che sta la nostra campagna: cercare di sensibilizzare su questo aspetto, di ampliare sempre più il servizio. Se è vero che interessa tutte queste persone in Italia, se è vero che i DCA si manifestano in età sempre più precoci, vanno riconosciuti e affrontati subito, perché parliamo di malattie che, se non affrontate o fermate per tempo, poi assumono aspetti seriamente degenerativi”.

La proposta: “Occorrerebbe strutturare dei percorsi ad hoc. Dei percorsi lilla, che è anche il colore del Fiocchetto Lilla e della Giornata Nazionale di Sensibilizzazione sui disturbi dell’alimentazione e della nutrizione che si tiene in Italia ogni 15 marzo. Attualmente, invece, le famiglie sono costrette a ‘emigrare’: gli unici centri sono al Sant’Orsola di Bologna, al Meyer di Firenze e al Bambin Gesù di Roma, dove ci sono reparti dedicati, ma con liste d’attesa infinite. Parlo ovviamente di ospedali pubblici. Poi ci sono altre strutture, ma private. Noi pensiamo, per il Gaslini, a un percorso dedicato che parta dal Pronto Soccorso, attraverso l’attivazione del Codice Lilla (raccomandato dal Ministero della Salute), in modo che i pazienti vengano accolti in un’ambiente protetto e debitamente formato”.

E, ancora, l’istituzione di un ambulatorio multidisciplinare: “Un altro elemento fondamentale. Creare delle realtà dove operano tutte quelle figure adibite alla cura: psicologi, internisti, nutrizionisti. Il Ministero ha tracciato delle linee guida ben precise, relativamente alla costituzione di questi ambulatori. Sono importantissimi perché è stato dimostrato, con cifre alla mano, che l’accesso rapido in ambulatorio risolve sino al 70% dei casi. Negli ambulatori si rimane seguiti, si viene curati, si può tornare a casa propria evitando i ricoveri e si ha la certezza di un punto di riferimento con persone competenti. Andare a prevenire, non significa soltanto salvare la vita a tanti bambini e ragazzi, bambine e ragazze, ma anche evitare cure e spese mediche ancora più costose, in termini di spesa sanitaria pubblica. È questa la mentalità che deve passare: la vera sfida è la prevenzione”.

Anche per questo, in Consiglio Regionale, su impulso della capogruppo del Movimento 5 Stelle, Alice Salvatore, è stata presentata una proposta di legge dove si richiede l’attuazione di questi percorsi per l’ospedale pediatrico della nostra regione.

Intanto, l’assessore regionale alla Sanità Sonia Viale ha fornito, nelle scorse settimane, i numeri del fenomeno DCA in Liguria: circa un migliaio le persone affette, soprattutto giovani under 24, in carico ai servizi delle Asl su tutto il territorio ligure per patologie legate ai disturbi del comportamento alimentare. Si tratta di una problematica che interessa prevalentemente il genere femminile e le classi di età più giovani, ma che non tiene conto dei numeri di chi si rivolge al privato, o di chi peggio ancora, vive la malattia nell'ambiente famigliare.

I centri di riferimento in Liguria sono: il Centro di valenza regionale per i disturbi dell’adolescenza e del comportamento alimentare presso l’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure (10 posti letto) e la comunità terapeutica Villa del Principe nel centro di Genova (autorizzata/accreditata per 22 posti letto) per quanto riguarda i trattamenti sia residenziali sia semiresidenziali; il Centro disturbi alimentari di Genova Quarto e il day hospital presso l’ospedale di La Spezia per quanto riguarda i trattamenti semiresidenziali. In particolare, nel 2018 il centro regionale presso il Santa Corona di Pietra Ligure ha accolto 62 pazienti, la maggior parte con più ricoveri nel corso dell’anno, con un’età media tra i 17 e i 18 anni.

Ora, la vera ‘battaglia’ è sul Gaslini. “Le patologie legate ai disturbi alimentari non vanno in alcun modo sottovalutate - commenta Sonia Viale - Come ci dicono gli esperti, colpiscono prevalentemente i giovani e giovanissimi e per questo ringrazio l’istituto Gaslini che ha potenziato il centro nutrizionale con un medico dietologo specializzato in scienza dell’alimentazione. Da parte nostra c’è e continuerà ad esserci la massima attenzione su questo tema, con l’impegno anche a potenziare la rete ligure di riferimento e a promuovere iniziative di sensibilizzazione nei confronti della popolazione”.

Ma il Gaslini, ospedale d’eccellenza, merita una struttura sui DCA altrettanto d’eccellenza. “Va fatto notare però che queste patologie hanno bisogno nella cura di figure professionali stabili, che stabiliscano un rapporto fiduciario stabile con il paziente e la famiglia, e in questo senso - ribadisce Tavilla - non può essere considerato migliorativa, da parte del Gaslini , una equipe formata da medici a contratto determinato di pochi mesi, che non possono dare sicurezze di continuità nel loro lavoro, e chi ci rimette poi è un piccolo paziente e la sua famiglia, costretti poi ad emigrare per cercare un percorso di cura adeguato e continuativo”.

Alberto Bruzzone

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