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Attualità | 12 febbraio 2020, 14:47

Da una “nuova visione” del rischio idrogeologico ai lavori del ponte Morandi

Menduni: "Cambiare mentalità e puntare su ecnologia, strutture intelligenti, tecniche di simulazione ed incrementare le attività previsionali e di allertamento”

Da una “nuova visione” del rischio idrogeologico ai lavori del ponte Morandi

Vista dalle immagini inviate dall’International space station comandata da Luca Parmitano, al di là del fascino eterno della sua inconfondibile silhouette, l’Italia dimostra, con le successioni di aree chiare e scure, perché sarà sempre a rischio idrogeologico: dei suoi 300.000 chilometri quadrati di superficie meno di un quarto sono pianure, il resto è collina e montagna, e questa combinazione fa delle pianure, dove si fondano le città, si fanno passare i fasci d’infrastrutture, si costruiscono gli aeroporti, s’impiantano le industrie e i servizi, e con i corsi d’acqua che le attraversano, il dominio spaziale delle alluvioni.

È la considerazione di base da cui parte Giovanni Menduni, docente di “Rischio idrogeologico e protezione civile” e “Hydrology for flood risk evaluation” al Politecnico di Milano, nello speciale sul rischio idrogeologico pubblicato nell’ultimo numero di “A&B” il periodico dell’Ordine degli ingegneri di Genova. Lunga esperienza sul campo come segretario generale di Autorità di bacino, direttore generale dell’ufficio rischi naturali del dipartimento della protezione civile e commissario delegato per il terremoto, oltre che autore di molti progetti sul tema ed esperto di open data, informatica del territorio e partecipazione pubblica. Da qui, dopo l’analisi della situazione anche ligure, l’unico rimedio possibile: “Cambiare mentalità” a partire dagli ingegneri, non rinunciare alle risorse tecnologiche tradizionali, ma puntare maggiormente su “tecnologia, strutture intelligenti, tecniche di simulazione ed incrementare le attività previsionali e di allertamento”.

Redazione

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