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Cultura | 29 febbraio 2020, 17:55

La Palmaro di un tempo nel bellissimo libro ‘16157’

Sta diventando un caso editoriale di successo il racconto lungo scritto da Manuela Monaco, che tratteggia finemente il sestiere quando, nel 1954, c’erano ancora il mare e il verde. Una parte dei proventi è devoluta per sostenere l’attività del Comitato Palmaro

Manuela Monaco

Manuela Monaco

Il Ponente genovese è uno scrigno di preziose e splendide perle. Ed è bellissimo, oltre che emozionante, quando arriva la possibilità di scoprirle e di poterle raccontare.

Così è pure per il racconto lungo dal titolo ‘16157’, che è uscito lo scorso dicembre e che, in poche settimane, è diventato un piccolo (ma grande, e assai apprezzato) caso editoriale. Lo firma Manuela Monaco, una simpaticissima ragazza di Palmaro che si definisce: scrittrice, sognatrice, maestra.

Maestra in quanto insegna alla scuola dell’infanzia ‘Emma Valle’ di Pra’, scrittrice perché questo è il suo secondo lavoro pubblicato, dopo il libro ‘Racconti surreali per gente normale’, che riprende in parte il suo seguitissimo blog su Facebook, ‘Io parlo da sola’, dove ha raccolto quasi quindicimila followers. Sognatrice perché, per dirla con Manuela, “mi contorno di bambini per plagiare giovani menti e conquistare il mondo”. Il tutto all’insegna del sogno, del sublime, del divertente e dell’indiscutibilmente bello.

Proprio come ‘16157’, che altro non è, se non il Cap, ovvero il codice d’avviamento postale, del borgo di Palmaro. La terra dove Manuela Monaco è nata, la terra che narra con passione, trasporto e un pizzico di nostalgia, in un ping pong tra passato remoto e passato più recente.

Il suo scritto, nella forma del racconto lungo, ha subito suscitato parecchio interesse, non solo nel sestiere ma pure nelle delegazioni vicine: perché la narrazione è fresca, il ritmo è incalzante, il linguaggio sempre pulito. E perché il tema è veramente molto sentito.

La storia è onirica, ma nel vero senso della parola: il protagonista è un bambino di nome Nicolò, che è nato nel 1981 ed è figlio di una casalinga e di un operaio dell’Ilva. All’epoca dei fatti, siamo nel 1994. Solo che il giovane, entrando in una sorta di ‘macchina del tempo’ tutta da scoprire leggendo, si ritrova a un certo punto a viaggiare tra il 1994 e il 1954: una parentesi di quarant’anni nella quale Palmaro, come tutto il Ponente genovese, ha subito una palpabilissima rivoluzione, dall’era balneare all’era industriale.

Dove ‘era’ non è una parola usata per caso, perché quando Nicolò si trova nel passato, sembra incredibile pensare che siano trascorsi ‘appena’ quarant’anni. Manuela, con un tono delicato e crepuscolare, ci riporta in quel mondo. Neppure lei lo ha mai visto, ma se l’è fatto raccontare e lo ripropone con le tinte morbide e le pennellate sottili di un affresco, senza mai alcun tipo di sbavatura.

Per questo ‘16157’ (la cui copertina rappresenta una scritta realmente esistente in delegazione, presso i campi sportivi della Praese, e nessuno l’ha mai cancellata perché vuole ribadire l’orgoglio e l’appartenenza) è una perla, è una lettura da fare, è un piacere da non negarsi: per chi è di Palmaro soprattutto, ma anche per chi vive altrove, e ci ritrova gli 883, i motorini, le partite di pallone, i primi amori, i derby tra un quartiere e l’altro, i campanilismi, oltre a quel senso di libertà che, come Manuela ricorda giustamente, “era un’illusione, ma tutto ciò lo capimmo dopo”.

Il piccolo Nicolò, ragazzo arguto e molto intelligente (che è, a ben vedere, l’alter ego della scrittrice), domanda alla mamma e a una sua vicina di casa come sia stato possibile rinunciare al mare, in virtù di un porto. E qui si nasconde l’illusione, quella vera e drammatica che ha rivoluzionato per sempre il Ponente: la promessa dell’occupazione, dei posti di lavoro, della crescita economica, di un benessere generale e collettivo, ma apportato, purtroppo, con l’enorme sacrificio dell’ambiente.

C’è un’immagine, a un certo punto del racconto, che tocca il cuore più di tante altre: è quando Rosina, la vicina di casa di Nicolò, quella donna famosissima per la sua torta di mele, ricorda come “eravamo circondati, dal verde alle spalle, e dal blu mare davanti”. E dice, con un palese disincanto: “Immàginati una delle più belle cartoline che tu abbia mai visto e raddoppia la meraviglia”.

Le cartoline, per l’appunto: oggi rimangono quelle, e adesso pure questo straordinario spaccato scritto da Manuela Monaco. Che, da buona palmarese doc, ha avuto, sin da subito, un pensiero particolare: parte del ricavato dalla vendita del libro, infatti, viene devoluto al Comitato Palmaro, quel gruppo di cittadini guidato dal bravo Roberto Di Somma che, pur nel quadro di una rivoluzione ormai segnata (nonché segnante), prova nel suo piccolo a invertire la rotta, attraverso una lotta caparbia, gagliarda e pressoché quotidiana per recuperare un minimo di vivibilità, per il diritto alla salute, il diritto a mangiare, bere e dormire come i genovesi che vivono da altre parti.

“Io il mare non l’ho mai visto - racconta Manuela - Ho sempre visto il porto, fuori dalle mie finestre. Per questo, gli anni Cinquanta me li sono fatti raccontare, oltre ad aver fatto varie ricerche. I tempi della gioventù, invece, gli anni Novanta, sono quelli che ho vissuto io: quando giocavamo per la strada, o ci vedevamo ai giardinetti di via De Mari, oppure nel piazzale di fronte alla chiesa di Nostra Signora Assunta. O ancora, semplicemente, su un muretto”.

Quando una lettura tocca le corde del ‘come eravamo’, è già di per sé efficace. Se poi la penna è ‘femmina’, tutto assume ancor più pathos: perché la storia di Nicolò e del pescatore Tonio, l’uomo che incontra negli anni Cinquanta e che diventa un po’ come Virgilio per Dante, è intrisa di sentimento, di affetto, ancor di più grazie al quel dialetto genovese di cui l’uomo di mare non si priva mai.

Una perla appunto. Una perla e un sogno. Quello della sognatrice Manuela Monaco: “Vorrei una Palmaro più vivibile, ma anche persone più partecipi. Vorrei che si tornasse a sentire quel senso di comunità che c’era un tempo, gli stessi rapporti sociali ma soprattutto umani”.

Tante volte, su queste pagine, abbiamo accostato il sestiere di Palmaro a quello di Multedo: esperienze molto simili, dove le persone si chiamano per nome, dove tutti sanno tutto, dove se finisci le uova, e sono le nove di sera, troverai dieci persone disposte a offrirtele.

Questa è la magia che va lasciata intatta, l’incantesimo che non si deve mai rompere. Non saranno un porto, non saranno dei depositi costieri, non sarà mai niente di niente a privarci della nostra anima, delle nostre radici, della nostra infinita voglia di essere, ora e per sempre, degli ‘animali sociali’.

Grazie Manuela, grazie per il tuo lavoro.

Alberto Bruzzone

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