"Un regalo di Natale del Governo e della maggioranza a vantaggio del comparto balneare, quello della proroga della direttiva Bolkenstein, che appare non soltanto incomprensibile, ma che espone l’Italia all’ennesimo rischio di apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea. Una scappatoia che di certo non interviene per risolvere i problemi del settore. Nel frattempo, come abbiamo più volte denunciato, in Italia il numero delle concessioni balneari cresce, i canoni che si pagano sono a dir poco irrisori. Il rischio è che si continui in una corsa a occupare ogni metro delle spiagge italiane con stabilimenti che, in assenza di controlli come avvenuto fino ad oggi, di fatto rendono le coste italiane delle coste privatizzate quando invece le spiagge sono di tutti. Quello che serve è una riforma che dia davvero certezze a chi lavora in questo settore, che possa scommettere sulla qualità dell'offerta. Non è con le scappatoie che si risolvono i problemi aperti con la Direttiva Bolkestein".
Così Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente commenta l’intesa raggiunta oggi in Senato che esclude i lavoratori del comparto balneare per i prossimi 15 anni dall’applicazione della direttiva Bolkenstein.
Legambiente – che in estate ha presentato il dossier “Le spiagge sono di tutti” proprio per denunciare l’anomalia tutta italiana - ricorda che nella Penisola sono ben 52.619 le concessioni demaniali marittime, di cui 27.335, sono per uso "turistico ricreativo” e le altre distribuite su vari utilizzi, da pesca e acquacoltura a diporto, produttivo (dati del MIT). Si tratta di 19,2 milioni di metri quadri di spiagge sottratti alla libera fruizione. Se si considera un dato medio (sottostimato) di 100 metri lineari per ognuna delle 27mila concessioni esistenti, si può stimare che oltre il 60% delle coste sabbiose in Italia è occupato da stabilimenti balneari. Tutto ciò con canoni demaniali bassissimi, a fronte di guadagni rilevanti. Nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma di 15 miliardi di euro annui. Si tratta di 6.106 euro a chilometro quadrato contro una media di entrate per le casse pubbliche di circa 4 mila euro all’anno a stabilimento.