Innovazione - 15 giugno 2019, 08:00

Mario Kaiser, da Genova 2004 a Tokyo 2020: “Con Event-able vi spiego come progettare un evento mondiale sostenibile”

È stato presentato event-able.org, il primo sito web, ideato dall'architetto genovese, per progettare grandi eventi internazionali. Lo abbiamo intervistato

Da Genova Capitale Europea della Cultura 2004 a Expo Dubai 2020, passando per i Giochi Olimpici di Torino 2006, il G8 Summit 2013 e i Pan America Games di Lima 2019. Sono grandi eventi mondiali di cui si può sapere tutto per poterne pianificare di nuovi, e sostenibili, grazie a Event-able. Host Cities of world Events (https://event-able.org).

Il nome è inglese (come il sito), ma il “core”, anzi, il cuore, genovese. Event-able (neologismo composto dal termine “event”, evento, ed “able”, capace) è infatti un enorme database - mai esistito prima - di città che hanno ospitato e ospiteranno eventi culturali, politici, sportivi e religiosi, che nasce dall’idea dall’architetto genovese Mario Kaiser, esperto nella progettazione di grandi eventi, come i Giochi Olimpici di Londra 2012, di cui è stato “Principal designer advisor”, e l’Expo di Milano.

Non a caso il sito web – che permette di pianificare qualsiasi evento considerandone ogni aspetto, da quello economico a quello energetico a quello sociale - è stato presentato ufficialmente ieri, a Fabriano, che fa parte del network delle Città Creative UNESCO, e che ospita la Creative Cities Conference. Abbiamo intervistato Mario Kaiser per capire che cosa significhi progettare eventi di grande portata, che siano sostenibili e possano lasciare traccia nel tempo.

Che cosa significa, prima di tutto, progettare le strutture per le Olimpiadi o per grandi eventi?

I Giochi Olimpici segnano il precedente da cui il mondo, almeno la parte Occidentale, dovrebbe attingere, cercando di puntare unicamente sul patrimonio che un evento di questa portata lascia sul territorio, cioè sulla “legacy”, l’eredità. Si progetta per il futuro, anche se i preparativi sono per l’evento specifico. Si dice che ogni edizione deve essere migliore della precedete, per cui deve essere l’opportunità per il territorio di poter contare su investimenti, date certe, professionalità.

Proprio a questo scopo hai creato Event-able, non un progetto d’architettura, ma un sito web.

Sì, è un progetto che riguarda i grandi eventi, che rappresentano per la pubblica amministrazione un modo e uno strumento per avere tempi e soldi per cercare di risolvere, non tutte, ma alcune problematiche del territorio e fare in modo che dopo un evento non si lasciano sempre delle cattedrali nel deserto: è vero, capita, ma abbiamo anche esempi virtuosi da cui si può prendere spunto, magari in alcune parti, se non proprio nella totalità. Così, con altri ragazzi di Genova, che vivono a Londra, ci è venuta l’idea e abbiamo creato il sito, appena lanciato. Si tratta di un data base live, da aggiornare continuamente, con esempi di eventi caratterizzati dalla ricorrenza prestabilita, dall’importanza internazionale e dalle location sempre diverse; quindi non eventi statici, ma che cambiano sempre luogo, come Expo o le Olimpiadi o il G8. Così dal 2004 a oggi – data simbolica e non casuale, sia per il ritorno delle Olimpiadi ad Atene e per la celebrazione di Genova Capitale Europea della Cultura - abbiamo fatto una ricerca e una selezione di un centinaio di eventi in tutto il mondo, suddividendoli in quattro categorie in base alla natura dell’evento: sportiva, economica, culturale, politico-religiosa. Collocato sul mondo interattivo, ogni evento ha la propria pagina, ed è analizzato in base a: finanza, ambiente, sociale ed eredità futura. In questo modo se ne evidenziano aspetti positivi e negativi che un’amministrazione pubblica può prendere in considerazione e che noi possiamo spiegare per capire da dove partire. Per le Olimpiadi di Londra, per esempio, è prematuro trarre delle conclusioni, ma gli obbiettivi sono quelli posti dieci anni prima. L’importante è iniziare con la visione giusta e non solo pensando ai requisiti dell’evento. Per i lavori a Londra e Milano ho visitato anche Rio, a cui ho lavorato, Pechino e Shangai, ma si tratta di posti dove c’è bisogno di impianti sportivi che restino. Noi, invece, parliamo di quello che si lascia sul territorio, dove la città vede l’evento come foriero di realtà negative.

Cosa significa per te progettare un grande evento?

Un conto è il successo dell’evento e un conto è quanto sia trainante a prescindere da quello che si fa e un’altra cosa ancora è progettare per il futuro di quell’area. Ovviamente ci vuole una concertazione politica, una gara fatta per tempo, la conoscenza dei requisiti della struttura che sarà da gestire nel futuro. Poi si torna all’evento e alla sua gestione. Lavorando così si viaggia sull’entusiasmo dell’evento, prima, durante e dopo, e in questo modo è una cassa di risonanza per il futuro. Così si scusano, allora, eventuali mancanze e ritardi, ma perché si è lavorato, appunto, pensando al post. Qui in Italia non siamo ancora pronti culturalmente a fare il salto pensando di progettare tanto in là nel tempo e quindi affidandoci alle nostre capacità. Siamo sempre nell’incertezza, data anche dai problemi politici, e non riusciamo mai a darci un obiettivo fisso cui tendere più lontano, perdendo la visione d’insieme delle cose e limitandoci a traguardi più piccoli e più vicini

Londra 2012, cui hai lavorato con Zaha Adid, è esempio anche di rigenerazione urbana: in che modo?

Da un punto di vista grafico e logistico è importante il sito che è stato scelto per le Olimpiadi: a cavallo tra quattro distretti della città, dove c’era il più alto tasso di criminalità di tutta la UK; s trattava di un sito post industriale sul fiume Lea, un affluente del Tamigi, dove c’era una frattura urbana fortissima. Tutta l’attività industriale era abbandonata, ma grazie alle Olimpiadi c’è stata l’opportunità di risanare la zona. Si è costruito un parco come ai tempi della Regina Vittoria, con una metratura comparabile a quella dei grandi parchi urbani, e c’è stata una rigenerazione ambientale e sociale. Il ruolo del settore pubblico è questo: creare infrastrutture, verde, shopping e trasporto. Poi interviene il settore privato. Così l’investimento è davvero pubblico, e i cittadini possono godere di quelli che sono davvero i benefici comuni di un parco pubblico, di un percorso fluviale e così via. Quindi Londra è un esempio è virtuoso: infatti, anche se è ancora presto, si è pensato che le Olimpiadi abbiano accelerato un piano di rigenerazione urbana che altrimenti sarebbe avvenuto in 25 anni. Intanto in quella zona ci sono due Università, la nuova sede del Victoria and Albert Museum, la Royal Academy e tante strutture realizzate grazie a un ambiente ospitale.

In nome della sostenibilità hai modificato perfino il progetto di Zaha Adid.

Sì. A Londra l’esempio più eclatante di sostenibilità è stato, infatti, lo stadio del nuoto, che in sede di Olimpiadi è quello che ha il maggior numero di spettatori: cinque volte di più del Campionato del Mondo. Quello stadio, progettato da Zaha Adid, era il palazzo più d’impatto visivo, perché rappresentava il dorso di un delfino. Abbiamo costruito l’impianto, eccetto le fiancate a vetrate, da cui abbiamo fatto uscire due mastodontiche tribune, che hanno sfigurato la struttura architettonica, ma che ci hanno fatto risparmiare in termine di gestione, nei vent’anni a venire, milioni di Pound. La vera sostenibilità è tarare le cose in modo che siano fatte in base ai fabbisogni. Certo, Adid era contraria, ma si capiva lo stesso la bellezza del progetto, e dopo le Olimpiadi era tutto smontato.

Invece l’Expo di Milano 2015 che esperienza è stata?

A Milano ero l’unico project manager di tutto l’ufficio di piano. Milano e Londra hanno scelto una via opposta: a Londra il potere decisionale era ristretto a pochissime unità che rappresentavano il Governo, e tutto demandato a progettisti esterni tramite gare e concorsi, mentre a Milano il contrario: tutta la fase progettuale si è tenuta “in house”, con un ufficio tecnico di circa cinquanta unità, tra archi, ingegneri e le altre figure professionali con cui abbiamo prodotto l’intero progetto preliminare di tutte le infrastrutture e dei manufatti più o meno permanenti. Non dei padiglioni, perché ogni Paese aveva diritto di progettarlo, costruirlo e smontarlo. Anche quella è stata un’esperienza bellissima, con professionisti preparatissimi con cui abbiamo provato la formula opposta, con il rischio non sui consulenti esterni come a Londra, ma nostro. Le prime esperienze di Expo sono passate attraverso tre amministratori delegati, passaggi di consegna tra diverse amministrazioni. Questo per dire che c’erano difficoltà, ma siamo riusciti a risolverle e come evento è stato fantastico e trainante per rinascita della città e anche per l’Italia.

Un evento progettato in modo sbagliato, invece, qual è?

Nel sito di Event-able, mostriamo come esempio la pista da slittino di Pragelato, delle Olimpiadi invernali di Torino 2006. Per realizzarla è stato distrutto un bosco e creata la pista in cemento armato, nonostante ci fosse quella già pronta a Tigne. Event-able serve proprio a indica la possibilità di fare l’evento e  ospitarlo in relazione con la città. E a livello di ricaduta sul territorio è la prima volta che qualcuno mette in correlazione un evento di un tipo con un evento di un altro tipo. Qualsiasi sia, deve portare benefici alla città e non esser limitato alle poche settimane della sua durata.

 

Medea Garrone