- 07 febbraio 2020, 17:00

To be (Disconnected) or not to be (Disconnected): this is the question

Sempre connessi. O quasi. Con lo "smart-working"

Keane – tratta dal video del brano “Disconnected”

Oh, finalmente! Ci siamo tolti dai piedi la domenica appena trascorsa e la sua data palindroma (02.02.2020) con tutto il corredo di pseudo-analisi e di pseudo-approfondimenti sul suo (presunto) valore simbolico, a dir poco stucchevoli per la loro pochezza, che hanno invaso la Rete ed anche la televisione: come molto opportunamente ha commentato lo scrittore e semiologo Stefano Bartezzaghi, una data palindroma altro non è che una sequenza particolare di numeri e che questo non vuol dire assolutamente nulla.

Qualcuno giustamente potrebbe chiedermi: “Egomet, come mai tutta questa vis polemica oggi?”. In effetti non nascondo di vivere con molta insofferenza certe espressioni della società moderna: in particolare è sempre più caratterizzata dalla eccessiva visibilità che, in conseguenza del massivo ed invasivo ricorso ad internet ed ai social da parte delle persone (di tutte le età), viene data a certe notizie la cui inconsistenza ed irrilevanza appaiono evidenti ad un osservatore attento e non necessariamente intellettualmente raffinato. Il caso della data palindroma è emblematico, ma si possono citare tanti altri casi nei quali vengono divulgati sulla Rete fatti ampiamente travisati per non dire del tutto inesistenti. Sono quei fenomeni che vengono comunemente definiti bufale” o “fake news e che ritroviamo anche nelle cronache più recenti. Tra queste segnalo quella relativa alla (presunta) proposta della prima ministra della Finlandia Sanna Marin di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni e la giornata lavorativa a sei ore anziché otto, a parità di stipendio: notizia ripresa da molti organi di stampa del mondo e rivelatasi poi, appunto, una bufala.

 

Il filo rosso che lega tra di loro queste mie considerazioni sul mondo dell’informazione e della comunicazione è rappresentato dall’ormai consolidato utilizzo diffuso della Rete e dei vari dispositivi che permettono di accedervi e che determinano, come si suol dire con un’espressione ricorrente ma a mio avviso tutt’altro che confortante, la possibilità di essere sempre connessi. Ora, se è vero che la tecnologia ci consente oggi di svolgere delle attività che solo fino a pochi anni fa richiedevano tempistiche e modalità di attuazione decisamente più complesse, è altresì innegabile che il fenomeno cui stiamo assistendo già da alcuni anni è quello di essere sempre più dipendenti dai vari tipi di device che il mercato ci offre (smartphone, tablet, notebook, smart-tv, etc). Insomma, siamo diventati “I.T. addicted. Riprendendo il titolo dell’odierna puntata, che trae spunto dal titolo di una bellissima canzone dei Keane “Disconnected (non poteva mancare la citazione musicale, naturalmente!), penso a certe scene quasi surreali cui assisto quotidianamente sia sui treni su cui viaggio la mattina e la sera sia a Milano a bordo della metropolitana: molte persone, in piedi o sedute, chine e direi ingobbite sugli smartphone in una sorta di “disconnessione” dal mondo reale che le circonda. E passi per chi viaggia in treno, considerata la durata media del viaggio, ma che sulla metro o anche per strada la gente non possa fare a meno di guardare il proprio smartphone lo trovo veramente avvilente. 

Sia ben chiaro: chi è senza peccato, scagli la prima pietra! Solo per dire che anche il sottoscritto, che pure nei recenti blog di questa rubrica si è soffermato sulla sua attitudine ad ammirare i paesaggi naturali che lo circondano sulle note della musica che maggiormente lo ispira, fa ampio ricorso all’informatica, avvalendosi di device, fissi e mobili. Le foto che vedete pubblicate oggi rappresentano Egomet che, nel bel mezzo di piacevolissime cene coi Compari, cosa fa? Seduto al tavolo si china per utilizzare lo smartphone “disconnettendosi” – seppure per pochi secondi, sia ben chiaro! – dall’allegra compagnia.

Naturalmente, a parte certi usi distorsivi della tecnologia purtroppo sempre più diffusi e frequenti, è innegabile che - come già accennato in precedenza – l’utilizzo di diversi device I.T. offre a moltissime persone delle opportunità non immaginabili fino a pochi anni fa. A tal proposito nel mondo del lavoro un settore in sensibile crescita, sia in termini quantitativi che di maggior radicamento nella cultura di molte aziende, è quello dello “smart-working”. Esso, come credo noto a tutti, rappresenta un modo di svolgere il proprio lavoro (subordinato) con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici. Non nascondo che se per l’Egomet commuter e dipendente di azienda operante nel settore bancario-finanziario il 2020 offrisse finalmente delle opportunità di poter svolgere le proprie attività lavorative, almeno per qualche giorno alla settimana, nella propria città risparmiandosi la fatica di viaggiare per circa quattro ore e avendo anche più tempo per dedicarsi ai propri interessi personali, ci sarebbe di che rallegrarsi. Laddove ciò accadesse continuerei quindi a fare il pendolare quotidiano tra le due città, seppure intervallando il “su e giù” tra Genova e Milano con un po’ di sano smart-working, e, come ebbi modi di illustrare nel blog del 20 dicembre scorso (“Genova-Milano. Adesso e mai”), per me sarebbe una situazione decisamente positiva, perché trovo comunque stimolante suddividere la mia vita tra Genova, che è e sarà sempre casa mia, ed una realtà dinamica ed in continua crescita economico-sociale come quella di Milano.

Certamente se poi un domani avessi l’opportunità di poter tornare a lavorare stabilmente a Genova la situazione non mi dispiacerebbe affatto, anzi! Forse in tal caso si porrebbe un altro tema certamente non vitale ma in un qualche modo rilevante per ciò che riguarda la sfera dei miei interessi extra-lavorativi ossia: quale potrebbe essere il destino di questa rubrica? Forse, in alternativa alla sua chiusura, sarebbe da valutare una sua ridefinizione e, cambiandone almeno in parte i temi e gli argomenti trattati, la si potrebbe intitolare “Ritorno al Futuro - Diario di un sopravvissuto al pendolarismo”.

 

 

 

 

 

 

Egomet