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In Breve

| 22 aprile 2020, 17:59

Il pediatra Ferrando: “Ora s’investa sui medici di base e sulle cure a domicilio”

Il dottore genovese, specialista da oltre 40 anni: “Si è pensato a potenziare le rianimazioni, si è ragionato nell’ottica dell’emergenza, ma adesso bisogna puntare sui gruppi strutturati di assistenza territoriale. È la fase più delicata dell’epidemia”

Il pediatra Ferrando: “Ora s’investa sui medici di base e sulle cure a domicilio”

“Sono state potenziate le rianimazioni, si è lavorato sulla gestione dell’emergenza, ma ora per combattere l’epidemia occorre investire sull’assistenza a domicilio e mettere nelle condizioni i medici di base, sia quelli in convenzione con le Asl che i liberi professionisti, di poter operare sul territorio in piena sicurezza”.  

A parlare è Alberto Ferrando, uno dei più autorevoli, seguiti e stimati pediatri genovesi. Specialista dal 1978, è diventato un punto di riferimento sia in materia di cure che di divulgazione medica, attraverso il suo blog, le sue pagine social e le rubriche di medicina che, negli anni, ha curato su moltissime testate (compresa parecchia stampa ligure).  

“È una parte importante del nostro mestiere, quella della comunicazione. Io personalmente l’ho sempre sostenuto: accanto alla parte terapeutica, ci dev’essere quella informativa e più questa viene fatta da esperti del settore, più è possibile frenare tutte le fake news che sono in circolazione”.  

Tutti i consigli del dottor Ferrando si trovano all’indirizzo https://ferrandoalberto.blogspot.com: un blog dedicato alle famiglie, ai bambini, ai genitori, ai nonni e a tutti coloro che operano a contatto con i piccoli. Poi ci sono una pagina Facebook con quasi diciassettemila fan, un canale YouTube, un account di Instagram e uno di Twitter. 

Dottor Ferrando, è stato detto e scritto più volte che questo virus non attacca in modo particolare i bambini, che ne pensa? 

“Anzitutto, desidero fare un po’ di chiarezza sui termini. La malattia si chiama Covid 19. Il virus si chiama Sars-Cov-2. E sono questi gli unici termini che sono riconosciuti a livello mondiale. Quanto al virus in relazione con i bambini, è stato detto di tutto e di più, come sul tema in generale, del resto. All’inizio, si diceva che il virus attaccasse solo gli anziani. Così ci siamo trovati i giovani in giro da tutte le parti. Poi, è stato visto come il virus in sostanza non risparmi nessuno. Negli ultimi giorni, ed è oggetto di riunioni e di confronto tra i medici, è stato riscontrato un boom di bambini che manifestano eruzioni cutanee, associate alla presenza di Sars-Cov-2. Sappiamo che il virus, inoltre, si manifesta anche attraverso disturbi gastrointestinali. Quindi, questo ci fa capire come tutti si possano in realtà ammalare. Il Covid 19 è una malattia che interessa ogni fascia d’età. La mortalità è più frequente negli over 65, ma anche qualche giovane è deceduto. Dalla Cina non ci era giunto nessun dato di paziente morto in età pediatrica. In Europa gli unici due casi che sinora mi risultano sono quello della bambina in Belgio di 13 anni e quello della bambina in Francia di 12 anni”.  

È possibile che molti bambini siano asintomatici? 

“È possibile che molti bambini abbiano contratto il virus in forma leggera e che molti altri siano asintomatici. Io ho sempre sostenuto che i bambini siano uno dei veicoli più frequenti nella trasmissione dei virus e dei batteri. Per questo vanno tenuti sotto controllo. Perché se parte il contagio da loro, si rischia d’innescare una vera bomba biologica”.  

Quindi è giusto che rimangano a casa, senza l’ora d’aria? 

“Nella mia professione, sono sempre stato dalla parte di quelli che dicono che più i bambini escono e meno si ammalano. Ma in presenza di una pandemia, cambia tutto lo scenario. È giusto che tutti, bambini compresi, rimangano a casa ed è giusto che tutti rispettino il lockdown”.  

Come interpreta i dati statistici degli ultimi giorni? 

“Se con sedicimila morti abbiamo raggiunto la cosiddetta fase del ‘plateau’, vuol dire che ci aspettano almeno altrettanti morti. O forse un po’ meno, ma comunque ancora parecchi. Il lockdown serve proprio a questo: a contenere la malattia, a farla circolare il meno possibile. Il rischio di lasciar tutto aperto era esattamente questo: che il sistema sanitario andasse in tilt, senza riuscire a dare più assistenza a chi stava male. Ora non resta che aspettare un vaccino o una cura efficace, oppure che il virus abbia pietà di noi. Sì, lo dico così: che abbia pietà di noi, come ce l’ha avuta il Sars-Cov-1, come ce l’ha avuta l’Ebola, che pure era un virus molto più letale. Non so dire se accadrà, ma il Sars-Cov-2 potrebbe pure mutare, come accade per gran parte dei virus. In attesa di questo, però, contiamo già enormi danni alla salute, sia fisica che mentale, delle persone. Per non parlare dei danni economici”.  

Il virus non sopporta le alte temperature: di questo cosa dice, è vero? 

“Anche qui è stato detto sin troppo. Nel contesto di una pandemia, c’è stata una netta ‘infodemia’, cioè un’epidemia di informazioni, molto spesso contrastanti tra di loro. Speriamo solo che il trend degli ultimi giorni si confermi e si vada verso uno scenario molto più positivo. Anche perché c’è tutto un mondo sommerso che non conosciamo”.  

A cosa si riferisce? 

“È stato calcolato che per una persona ricoverata, ce ne sono almeno dieci che hanno contratto la malattia. Un decimo di tutta la popolazione italiana sarebbe stato contagiato. In tutto questo quadro, i medici sul territorio non sono riusciti a lavorare, in quanto privi degli opportuni dispositivi per la protezione individuale. Che servono a loro ma anche ai pazienti che visitano, sia chiaro, perché anche un medico è un potenziale diffusore del contagio. Si è pensato a potenziare le rianimazioni, si è ragionato nell’ottica dell’emergenza, ma ora bisogna investire sui gruppi strutturati di assistenza territoriale. È la fase più delicata. Le persone vanno curate il più possibile a casa, ma vanno curate e seguite realmente. Invece sinora l’unica alternativa è stata il ricovero. La risposta territoriale non c’è stata. È il momento che venga data”. 

I medici senza mascherine sono stati uno dei casi che hanno fatto più discutere. 

“Io ne ho ricevute zero. Poi, nei giorni scorsi mi è arrivata una lettera da parte dell’Ordine dei Medici: ce ne verrà data qualcuna, ma in modo molto limitato. Si parla di due mascherine a testa. Considerato che sono monouso, le lascio dire… Io ho provato ad acquistarle come libero professionista, ma a parte che occorre ordinare un grosso quantitativo, poi c’è il rischio che questo venga bloccato alla dogana. Peraltro a un medico che visita non basta certo una mascherina. Il protocollo è rigidissimo: si accede allo studio medico uno per volta, la sala d’aspetto è chiusa. Solo un genitore può accompagnare il bambino. Il medico deve rispettare la distanza personale e indossare, oltre alla mascherina, anche gli occhiali, il capello, il camice. Deve sanificare la stanza prima e dopo la visita, lavare accuratamente tutti gli strumenti utilizzati. Il lavoro è tanto”.  

In questo periodo come sta lavorando? 

“Faccio consulti medici attraverso il telefono, attraverso Skype, Messenger e WhatsApp. La presenza del pediatra è sempre fondamentale, anche dal punto di vista dell’appoggio psicologico. Per il resto, siamo con le mani legate. Non esistono protocolli sul territorio, a parte gli ospedali Covid. Lo ripeto, bisogna che si lavori su questo fronte”.  

Che estate ci aspetterà? 

“La buona notizia è che ci sarà sempre il sapone nelle scuole, cosa che prima non era proprio così scontata. Il distanziamento sociale andrà mantenuto. Igiene delle mani e distanziamento sociale, sono queste le regole da seguire. Quanto alle mascherine, anche qui sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità che l’Istituto Superiore di Sanità hanno cambiato versione più volte. All’inizio pareva non servissero. Poi abbiamo visto persone con i passamontagna in testa, o con i pannolini o con la carta da forno. Io credo che l’avere una mascherina sia utile perché si riduce la possibilità di contagio verso gli altri in maniera piuttosto significativa. Siamo nell’ordine del 70% per chi usa una mascherina di tipo chirurgico, del 95% per chi usa una mascherina di tipo FFP2, del 98% per chi usa una mascherina di tipo FFP3. Il rischio zero, invece, non esiste. Dovremo anche imparare a starnutire e a tossire. Sono tutti accorgimenti di cui non potremo più fare a meno”. 

Alberto Bruzzone

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