- 15 maggio 2020, 17:00

Troppo? Poco? Abbastanza!

Tre avverbi per sintetizzare perfettamente qual è il livello dei diversi dibattiti concernenti sia i profili medico-scientifici che quelli economico-sociali e politici nonché quelli culturali del Covid19

Leggendo il titolo del post il mio caro amico Christian sorriderà sicuramente. Qualcuno potrebbe domandarmi: “Scusa, ma cosa c’è di così divertente in questa frase?”.

In effetti di per sé non dice nulla, ma a noi due evoca i non pochi momenti divertenti trascorsi durante una delle nostre uscite serali nella Milano “da bere”. Parliamo dei primi anni 2000: io, trasferitomi dal 2002 a Milano per iniziare la mia nuova esperienza lavorativa, ebbi modo di fare nuove amicizie e una di quelle che si è rivelata tra le più solide ed autentiche è stata appunto quella con Christian. E quando in occasione di una delle nostre “sortite” sui Navigli o nei locali in zona Brera incrociavamo una ragazza decisamente piacevole, almeno dal punto di vista estetico, lui ed io ci guardavamo e con un sorriso “marpionesco” uno chiedeva all’altro “Troppo?” Sentendosi rispondere immancabilmente “Mmm…Abbastanza!” sottintendendo che questi avverbi andavano a “coniugarsi” con un tipico vocabolo milanese che identifica una “interessante” esponente del gentil sesso…

In questo fraseggio, appartenente al mio recente passato, oggi si inserisce un altro avverbio (poco) che abbinato sintetizza perfettamente qual è il livello dei diversi dibattiti concernenti sia i profili medico-scientifici che quelli economico-sociali e politici nonché quelli culturali (anche se l’aggettivo invero sovrastima lo spessore di certe considerazioni e prese di posizione) del Covid19.

In quasi tutti i settori impattati dalla vicenda pandemica si osserva un’oscillazione continua, direi parossistica, tra prese di posizione a volte eccessivamente caute e conservative (il “poco”) ad altre decisamente più intraprendenti (direi “troppo”), tese quasi a ridimensionare l’effettiva forza impattante del Coronavirus, così come è decisamente ampio e spesso confuso il dibattito sugli strumenti e sulle strategie da adottare per far fronte alla pandemia e alle sue molteplici ricadute a vari livelli.

Nel campo medico-scientifico, dai cui esponenti ci si aspetterebbe un atteggiamento e un modo di rappresentare il quadro della situazione più unitario, abbiamo assistito e tuttora assistiamo a valutazioni, sia sui possibili interventi terapeutici sia sulla contagiosità attuale del virus, decisamente difformi tra loro. In particolare ho visto succedersi, nelle scorse serate, in una delle tante trasmissioni televisive di approfondimento, le prese di posizione di un virologo e di un epidemiologo: il primo ha sostenuto che si starebbe riscontrando una significativa perdita di forza e di intensità del Covid19, il secondo (intervenuto allo stesso programma la sera successiva), non ha nascosto il proprio fastidio, affermando che non vi sono affatto evidenze scientifiche che l’intensità del virus si stia attenuando. Per non parlare poi del confronto, a volte decisamente polemico così come evidenziato da tutti i media, sulla reale efficacia terapeutica della plasmaterapia: da un lato medici che ne sminuiscono la reale efficacia asserendo la mancanza di forti evidenze scientifiche di tale cura, dall’altro chi ha, avendolo sperimentato sul campo con esiti decisamente positivi, sostiene la necessità di approfondirne l’efficacia terapeutica su più larga scala. A tal proposito, premettendo doverosamente di non aver alcuna competenza per fare delle valutazioni di merito, non nascondo le mie perplessità sulle posizioni fortemente scettiche pur a fronte di dati oggettivi (la totalità dei positivi, alcuni anche gravi, curati con tale terapia sono guariti) e del fatto che gli stessi esponenti della classe medico-scientifica, più critici su questa metodologia, dall’altro lato sostengono l’opportunità di utilizzare dei farmaci sui quali tuttavia non vi sono affatto evidenze scientifiche e non ancora testati su un campione di pazienti ragguardevole. Il che fa sorgere spontaneo il sospetto che medici e scienziati, pur competenti, non siano però del tutto insensibili ai “richiami” delle grandi aziende farmaceutiche. Vabbè, mi fermo qui.

A livello politico poi si continua ad assistere a polemici confronti tra chi sostiene l’opportunità di riaprire tutto quanto prima possibile e chi, al contrario, ritiene che si debba procedere con maggiori cautele e differenziazioni di aree geografiche e di settori economici e lavorativi. Ribadisco che, come già scritto negli ultimi miei post, questo confronto - che spesso trascende nello scontro verbale molto accesso tra diversi esponenti politici - mi crea una sensazione di grande fastidio poiché molti dimenticano che in un momento così drammatico forse certi toni andrebbero messi da parte per cercare di condividere, nei limiti del possibile, gli interventi da porre in essere da subito ma anche per i prossimi mesi. E qui non è questione di essere di destra o di sinistra: infatti io ritengo – come molti d’altronde – che tra i governi regionali che hanno reagito più efficacemente e stanno proseguendo positivamente in tal senso, vi siano certamente il Veneto e l’Emilia-Romagna, rispettivamente a guida leghista la prima e Pd la seconda. La capacità di gestire tali situazioni di emergenza, ma anche quelle ordinarie ovviamente, da parte delle pubbliche istituzioni non si misura in base all’appartenenza politica dei suoi esponenti ma in base al loro modo di saper modulare gli interventi, adattandoli alle specifiche necessità della popolazione.

Io credo che in tutta questa drammatica vicenda, oltre a dover portare innanzitutto un doveroso rispetto verso le migliaia di persone decedute, lontane dai propri affetti e quindi in una condizione psicologica ed emotiva terribile, si dovrebbe evitare di analizzare la situazione economico-sociale come se questa fosse una “banale” crisi finanziaria. Il raffronto con quanto, per esempio, accadde nel 2008 (crisi dei mutui “subprime”), evidenzia quanto la pandemia avrà effetti pesantissimi sull’economia di molti Stati ancora per molto tempo.

Pensiamo all’Italia e ad alcune delle sue eccellenze: il settore della ristorazione e quello della balneazione nonché quello alberghiero. Gli effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti anche se poi a volte ci si ostina a voler trovare, in questi suddetti settori, dei modi di riavvio delle attività che sinceramente trovo inefficaci e spesso irrealistici. Come puoi pensare di andare in spiaggia – e faccio riferimento in particolare alla mia Liguria dove parliamo spesso di strette strisce di sabbia e sassolini – attenendoti alle misure di c.d “distanziamento sociale” e goderti la bellezza di stare in liberà all’aria aperta? Quando si vuole fare un tuffo in mare o andare a fare la doccia o andare a prendere una bibita al chiosco-bar, facciamo le code coi bigliettini e magari con le mascherine? Mah! Lo trovo tutto molto surreale e niente affatto realizzabile oltre che decisamente poco attrattivo.

Per non parlare della possibilità realistica di andare nuovamente nei ristoranti o nei pub dovendosi attenere al distanziamento sociale ma anche dovendo pensare a come il personale dei locali potrà garantire la piena e totale protezione della clientela. Camerieri con le mascherine? Magari i cuochi sì, forse, ma vederti una persona con una bandana sul viso (giusto per essere un po’ fashion) che ti serve un piatto al tavolo, la vedo veramente surreale. Non a caso molti ristoratori (penso a Cipriani a Venezia) hanno deciso di non riaprire. E capisco perfettamente l’autentico dramma che stanno vivendo migliaia di operatori di questo settore ma, perdurando ancora a lungo il rischio del contagio, come si può pensare di garantire la sicurezza dei clienti (e del proprio personale) facendo sì che al contempo andare in spiaggia o al ristorante sia vissuto ancora come un momento di piacevolezza?

In chiusura segnalo che dal 18 maggio riprenderanno a circolare sulla tratta Liguria-Milano sei treni InterCity, non tutti peraltro collocati nelle fasce orarie maggiormente utilizzabili dai pendolari-lavoratori; d’altronde è vero che molti dei pendolari genovesi e liguri che lavorano a Milano e in Lombardia, proprio per la situazione critica ancora in essere nella regione italiana più colpita dal Covid19, fruiranno ancora a lungo dello smartworking. I treni della Divisione “Long Haul” vanno peraltro ad aggiungersi ai treni Regionali Veloci che già servono da alcune settimane le due aree geografiche in oggetto. Tornando ai nostri InterCity come Comitato Pendolari “Genova-Milano Newsletter” abbiamo preso atto positivamente dell’introduzione di alcune misure da noi auspicate ossia la prenotazione obbligatoria del posto, anche per gli abbonati (gratuita per questi ultimi) che, unitamente alla possibilità di occupare un numero praticamente dimezzato di sedili e alla conversione in formato elettronico della Carta “TuttoTreno” potrà rendere la ripresa del pendolarismo, per quei pochi invero che sono nella necessità di doversi recare a Milano, certamente più sostenibile. Quanto sostenibile? Abbastanza.

 

 

Egomet