Cultura - 18 ottobre 2020, 17:02

La Liguria e il mare a quadretti

Opera da collezione privata

Il mare a “quadretti”, così mi era stato presentato; abituata al mare ligure, questa distesa di acqua effettivamente a quadretti mi aveva sorpreso piacevolmente.

La zona di Vercelli, in certi periodi dell’anno, tra aprile e giugno, si trasformava in un ampio specchio allagato, attraversato solo da canali e strade di campagna.

Allagare i campi significava tenere il seme e la piccola piantina di riso appena germogliata ad una temperatura costante ed al riparo dagli agenti atmosferici.

Una specie di copertina per neonati.

Il panorama è senz’altro particolare, stupisce per la sua geografia geometrica e i canti delle mondine sembrano essere ancora trasportati dal vento.

Le mondine lavoravano, le mondine cantavano, anche canzoni inventate al momento, per rendere meno pesante e faticosa la giornata, ma anche per scandire il ritmo del lavoro stesso.

Tra la fine dell’800 e buona parte del secolo scorso, la mondina era uno dei principali lavori svolti in risaia, lavoro stagionale, lavoro che consisteva nel trapiantare le piantine in risaia e nella monda (mundè) dal verbo “mondare”, pulire e nella successiva raccolta.

Ogni anno, migliaia di donne arrivavano qui per la campagna risicola, in particolare dal Piacentino, dal Mantovano, dal Veneto, dalla Lombardia ma anche dai territori Liguri, a bordo di carri, treni ma anche a piedi, portate dalla miseria, con i loro pochi averi affrontavano questo viaggio, per un gramo salario e qualche chilo di riso.

Anche dalla Val Borbera, valle piemontese ma con forti legami linguistici e culturali con la Liguria (Val Borbéia in ligure) partivano, prevalentemente donne, per questo faticosissimo lavoro, che obbligava a stare intere giornate con l’acqua alle ginocchia, in balia di zanzare e sanguisughe, a piedi nudi e con la schiena curva per togliere le erbe infestanti, come il crodo, tra le piantine di riso.

Tradizioni lontane, un lavoro ormai quasi esclusivamente soppiantato da nuove tecniche di coltivazione e da una nuova forza lavoro prevalentemente cinese, ma che rimane vivido nella memoria dalle persone più anziane e che viene ancora tramandato nei racconti di quelle giornate interminabili.

La testimonianza diretta della Sig.ra Anna che lavorò in risaia nel 1950 all’età di 14 anni e che ora abita nel ponente ligure, ci racconta di come le spille da balia fossero indispensabili per trattenere gli orli delle gonne e di come lei lavorasse curva nel campo per poi essere trasferita, a causa della sua giovane età, sul carro trainato da un asino, con una botte piena di acqua per dissetare chi lavorava.

Notti su reti sfondate, materassi di foglie di mais e piccole valigie in fondo al letto o usate come cuscini. Riso a pranzo, riso a cena e pasta nell’unico giorno di festa, la domenica, dove nell’aia si intonavano canti e si ballava.

A questo proposito la canzone “Se otto ore vi sembran poche” e l’opera cinematografica “Riso amaro” riassumono fedelmente le condizioni e le rivendicazioni delle donne del tempo.

 

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Zenet/Paola Garetti