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Economia | 19 aprile 2021, 08:15

'Tutto cambia, per non cambiare nulla': la delusione di Maurizio Altamura alla luce del nuovo decreto sulla riapertura dei locali dal 26 aprile

L’imprenditore varesino, titolare della “Cucina di Altamura”, settimana scorsa ha partecipato alle manifestazioni dei lavoratori del settore Autonomi e Partite Iva, a Roma. Ora, si fa portavoce delle delusioni e delle aspettative non corrisposte di un comparto che avrebbe preferito una soluzione più concreta e certa rispetto alle nuove proposte emanate venerdì 16 aprile

'Tutto cambia, per non cambiare nulla': la delusione di Maurizio Altamura alla luce del nuovo decreto sulla riapertura dei locali dal 26 aprile

Chef, imprenditore, vice presidente nazionale e coordinatore regionale Lombardia dipartimento HORECA (Hotellerie-Restaurant-Cafè-Catering). Questo è Maurizio Altamura, origini baresi e varesino d’adozione, che, in “divisa da lavoro”, ha partecipato e affiancato i colleghi nelle manifestazioni che hanno animato Roma per circa una settimana, dall’8 al 12 aprile 2021.

Alla luce della conferenza stampa di venerdì 16 aprile, e dei relativi aggiornamenti in merito alle condizioni per riaprire le attività, ovvero la somministrazione solo in spazi esterni a partire dal 26 aprile, ha voluto condividere alcune riflessioni.

«Un comparto come quello del turismo e del commercio sta vivendo una pesante situazione patologica legata al Covid, la rabbia sociale sta esplodendo. Questo ci ha portati a pensare a proposte (e non proteste!) concrete da fornire al Governo per aiutarlo a risolvere il problema». Per questo Altamura e i colleghi sono andati a Roma, per avere una certezza sia sulla data di riapertura sia sulle modalità per ripartire in sicurezza e, ancora più importante, senza il rischio di una nuova chiusura.

I tempi delle decisioni e dell’erogazione di aiuti sono in ritardo rispetto alle necessità delle attività ma, come afferma Altamura con convinzione, pensando anche a palestre e luoghi della cultura, tra i settori messi più in difficoltà dalla pandemia, «è proprio tornare a lavorare il primo aiuto, ovviamente secondo i protocolli già validi dall’anno scorso, che, abbiamo visto, hanno funzionato. Anche l’azienda più sana, dopo quattordici mesi di fermo, rischia di finire le proprie riserve».

Eppure, è stata questa semplice, ma vitale, richiesta ad essere stata delusa: sarà possibile, è vero, riaprire il 26 aprile, ma solo con tavoli all’aperto e consapevoli di essere in una zona “giallo rafforzato”. «Noi non volevamo una data che fosse il prima possibile, ma che ci consentisse di non chiudere più. Finché si parlerà di colori non saremo soddisfatti, non è importante aprire in fretta, ma farlo senza timore di richiudere» e di vivere sempre sul “chi va là”, sul filo del rasoio, senza alcuna certezza sul proprio futuro.

Senza contare che «queste modalità creano ulteriori disparità tra le attività, chi ha lo spazio esterno lavora e chi non ce l’ha invece no? E, in questo caso, stanno prevedendo diversi aiuti economici?», sono le domande che si pone Altamura, portavoce dei dubbi e dei pensieri del suo settore.

Inoltre, c’è un aspetto mentale che scatta nella filiera, davanti a queste ulteriori limitazioni e lo chef porta un esempio concreto: «Se nel mio locale c’erano cento posti, i protocolli del 2020, che hanno imposto il distanziamento di un metro tra i tavoli, hanno ridotto la mia capienza del 70%. Questo giallo rafforzato, la riduce di un altro 50%, ma noi facciamo i conti con il sostenere costi fissi legati alla vera capienza economica e lavorativa della nostra realtà. Dare la possibilità di riaprire il 26 aprile significa che fornitori e proprietari degli immobili pensano che noi possiamo tornare a lavorare e pagare normalmente», come se, appunto, non fosse accaduto nulla. Un “contentino”, quindi, inutile, tanto da chiedersi, quasi, se valga davvero la pena riaprire.

«Non capisco perché la politica faccia così fatica ad ascoltare imprenditori e associazioni di categoria che l’hanno inondata di soluzioni e proposte: perché non ascoltano quelli che sono competenti e possono dare visione in merito a quello che è necessario fare? Non abbiamo chiesto di riaprire prima, ma di riaprire per non chiudere più, senza clausole e limitazioni e, soprattutto, senza prevedere un piano di supporto per attività che, in questo caso, non hanno spazi esterni. Qualcuno potrebbe dire “non siete mai contenti”, in realtà le proposte ci sono state, ma non sono state ascoltate»

«Siamo andati in piazza - conclude Altamura - ci abbiamo messo la faccia ma dopo un anno di sacrifici il Governo si ostina a perseguire una strada di palliativi, oltre a decentrare le responsabilità ai singoli Comuni. Noi vogliamo solo tornare a lavorare e non smettere più».

Giulia Nicora

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