Per curare adeguatamente i figli dai Disturbi del comportamento alimentare (D.C.A. o D.A.N) occorre avere disponibilità economiche, essere indirizzati da professionisti specializzati, sia nel settore pubblico sia in quello privato, mentre il girovagare da una struttura all'altra della Liguria a volte non fa altro che peggiorare lo stato di salute del paziente: sono i concetti portanti, in estrema sintesi, esternati da alcuni genitori - che hanno figli in cura - ascoltati dopo che, recentemente, la Regione Liguria ha bocciato la proposta di ampliare i Centri per i disturbi alimentari ma anche quella di mettere in preventivo investimenti per formare personale specializzato. Strazianti i racconti dei genitori di adolescenti, ma anche maggiorenni, alle prese con anoressia o bulimia.
Da Pietra Ligure la mamma di Simona, il nome ovviamente è di fantasia, 16 anni, appassionata di sport di mare, agonista di ottimo livello, racconta la via crucis che da oltre due anni va avanti fra speranze e paure. "Ho scoperto che mia figlia mangiava poco dopo aver trovato del cibo dentro alcuni suoi vestiti. Ho chiesto un appuntamento al centro di Pietra e dopo due settimane mi hanno risposto. Niente ricovero per lei perchè la lista di attesa era lunghissima ma non solo, al primo appuntamento abbiamo trovato una nutrizionista, e non una psicologa, che le ha dato una semplice dieta: tentativo inutile. Ho conosciuto una situazione disastrosa della sanità regionale, per curare queste patologie, così ho deciso di portare Simona da uno specialista di Milano il quale ci ha consigliato un piano di azione: psicologo, nutrizionista ed un esperto per il recupero della motricità. Oltre a far seguire mia figlia privatamente sono rimasta in lista a Pietra Ligure dove incontravamo, quando possibile, la nutrizionista che dopo alcune settimane notando i miglioramenti di mia figlia, mi ha fatto i complimenti per come la stavo curando. Una curiosità se così possiamo definirla: siamo stati chiamati da un dottore del Centro di Pietra Ligure per il ricovero senza che la nutrizionista di Pietra lo avesse avvertito dei suoi miglioramenti. Siamo stati lasciati soli dal sistema sanitario regionale e senza alcuna informazione su come affrontare, anche in maniera privata, la problematica. Alla Asl non sapevano nemmeno che i genitori con figli che hanno questi problemi hanno diritto alla Legge 104 per assisterli con permessi dal lavoro".
La seconda testimonianza è ancora di una madre genovese che dopo aver portato la figlia al Centro di Quarto senza risultati è riuscita a farla inserire in una struttura ospedaliera, a Verbania, ma solo per sei settimane: "Quello che posso fare ora è contattare il Centro di Sestri Levante del quale ho sentito parlare bene e sperare che per mia figlia ci sia una possibilità. Nel frattempo siamo anche in lista di attesa in un'altra struttura fuori regione. Quella di mia figlia è anoressia nervosa restrittiva; oltre a mangiare poco è iperattiva. Fra l'altro sta affrontando la maturità con grande difficoltà visto che si stanca facilmente. Purtroppo la nostra esperienza con le strutture liguri fra Quarto e Pietra Ligure non è stata fortunata, magari il caso di nostra figlia è più difficile degli altri".
Un'altra storia, sempre dal capoluogo, di una ragazza, una brava studentessa, impegnata nella maturità: "A Settembre dello scorso anno, dopo il lockdown, ha iniziato ad emergere il problema - racconta il padre - poiché nostra figlia faceva il cibo in piccoli pezzi. Appena iniziata la scuola ha cominciato a togliere alimenti dalla sua dieta. Abbiamo chiamato la nutrizionista privata: all'inizio mia figlia non ha voluto prendere coscienza del suo problema ma pochi mesi dopo, oltre al calo fisico ha avuto anche quello di attenzione a scuola, e siamo dovuti ricorrere alla struttura di Quarto. Nel colloquio la psicologa ha terminato il suo discorso dicendo a mia figlia che in pochi giorni l'avrebbe fatta nuovamente mangiare. Da quel momento in poi mia figlia non è piu voluta andare a Quarto poichè, a suo dire, la dottoressa non aveva capito a fondo il problema, che non verteva solo sul mangiare. Ed era proprio così. Ora siamo riusciti a trovare posto in una struttura in Toscana con un' equipe che lavora per lo stato mentale nel quale si trova mia figlia. Il concetto non è solo quello di farla mangiare ma risolvere il problema. Il lavoro degli psicologi nelle strutture liguri è standard e, invece, ci sono tanti casi, diversi uno dall'altro. Serve la specializzazione dei professionisti e la prevenzione ma visto che di soldi dalla Regione per questa patologia, ne arrivano pochi si lavorerà per il futuro non per chi ha ora il problema".
La quarta ed ultima testimonianza arriva da due genitori di Sestri Ponente: "Sono due anni, dopo il Covid, ha iniziato a tredici anni a rinunciare ad alcuni tipi di cibo. Una ragazza che faceva volley come agonistica e ci siamo resi conto che pian piano stava attenta alle calorie. Siamo andati al Centro di Quarto ma dopo la sua terza seduta ci hanno detto che era inutile andare perchè la ragazza non accettava alcun tipo di aiuto. L'assistenza della Asl, è venuta meno: si sono rifiutati di aiutarla. Nostra figlia non collaborava era chiaro ma fa parte della patologia che è diagnosticata al suo inizio e si chiama 'periodo dell'innamoramento'. Il rifiuto della Asl di prendersi cura di nostra figlia è stata gravissima" ribadisce la mamma dell'adolescente.
"Ci siamo rivolti ad un centro privato a Genova dove ha iniziato il percorso con piccoli miglioramenti ma la sera di Capodanno si è bloccata durante la cena. Così nel giro di poche settimane è dimagrita ulteriormente ed abbiamo dovuto chiedere il ricovero in una struttura genovese. E' stata dieci giorni in isolamento, in una stanza dove gli veniva portato il cibo dalla porta. Dopo dieci giorni aveva perso due chili. Ci hanno detto di portarla al Gaslini e il suo ricovero è durato quaranta giorni: siamo, fra l'altro, venuti a conoscenza del fatto che nostra figlia era anche disidratata. Nessuno controllava. Il suo stato era diventato molto critico. Al Gaslini fanno quel che possono: non avendo un reparto dedicato spostano i ragazzi da un reparto all'altro sperando di trovare la strada giusta. Non esiste nemmeno un protocollo. C'è una psicologa che si occupa dei ricoverati e quando lei non c'è salta la terapia, come accaduto a nostra figlia. Così abbiamo chiesto un trasferimento alla struttura ospedaliera di Verbania ottenuta in tempi brevi proprio grazie all'intervento del personale del Gaslini".
Queste sono alcune delle testimonianze attuali mentre nel frattempo la Regione Liguria, prima dell'estate, ha presentato un nuovo progetto per un Centro diurno a Sestri Levante per questi disturbi. Siamo andati a parlare con il professor Fabrizio Gallo, responsabile della struttura sestrese per i disturbi dell'alimentazione.
"La realtà è che il Centro Diurno di Sestri Levante al momento è poco più di una stanza utilizzabile, al massimo, per quattro persone - spiega rammaricato Gallo -. Siamo partiti in economia con contratti precari per il personale. I soldi a livello regionale sono poco più di 667mila euro che suddivisi per le sette strutture della Regione significano una goccia nel mare. I finanziamenti vanno ripartiti a secondo delle persone che sono in carico in ogni Asl: nello spezzino ci sarebbero 197 persone che soffrono di disturbi alimentari e non hanno nemmeno un Centro. La Asl1 di Imperia 127 con un Centro dedicato. A Sestri ne abbiamo 108 ma le cartelle cliniche aperte sono oltre 400. I numeri sono tanti. Nel savonese sono ancora di più poichè c'è anche il Centro di Pietra Ligure e li ne seguono oltre trecento per finire con il Centro di Quarto dove ce ne sono piu di 400. Poi ci sono le famiglie che non passano dalla sanita pubblica ma vanno nei centri privati quindi il numero aumenta. La cosa fondamentale è fare formazione per il personale sanitario: sia per chi si trova all'accettazione sia per chi lavora a contatto con il paziente, secondo quanto stabilito dal Codice Lilla che però non viene applicato. A Sestri le cose a livello ambulatoriale funzionano e riusciamo a vedere i pazienti anche due volte la settimana. Il secondo livello è il Centro diurno che stiamo pian pian attrezzando mentre il ricovero riabilitativo è la prima nota dolente della nostra struttura. Una volta dimessi i ragazzi bisogna comunque monitorarli. A Sestri Levante, in una piccola realtà sanitaria, riusciamo a collaborare fra reparti, in primis con Pediatria e Psichiatria, ma si tratta di soluzioni tampone. La mia speranza è che si possa costruire qualcosa di più strutturato entro poco tempo".
Specializzazione e prevenzione sono i concetti portanti espressi anche da Federica Foti, di Sestri levante, ed Erika Castorina, di San Salvatore; professioniste del Tigullio che lavorano in una struttura di recupero per minori. "La prevenzione è fondamentale per limitare queste patologie - dicono - ma serve anche la specializzazione dei professionisti. Non si possono curare persone, con problemi differenti, con lo stesso approccio". Poi dal loro osservatorio confermano che: "i numeri di chi è in cura nei servizi sanitari sono solo la punta dell'iceberg e se non ci saranno interventi seri questa malattia continuerà a crescere. Negli ultimi tempi - terminano - abbiamo notato che gli adolescenti 'colpiti' sono sempre più giovani".
E terminiamo questa inchiesta con Stefano Tavilla, toccato undici anni fa dalla perdita della figlia diciassettenne, Giulia. La ragazza, affetta da bulimia, è stata portata via dalla malattia poco prima di entrare in un clinica specializzata. Poche settimane dopo la tragedia il padre decide di attivarsi per far sì che si faccia informazione e prevenzione sui disturbi del comportamento alimentare per evitare altre tragedie come quella accaduta a Giulia. Poco dopo nasce l'Associazione no-profit "Mi nutro di vita" che oggi è un importante punto di riferimento di tantissime famiglie alle prese con figlie e ragazzini, magari da poco entrati nel tunnel di questa subdola malattia. La sua analisi sul problema è tranciante e disarmante.
"La situazione è critica su tutto il territorio italiano - commenta Tavilla - Ci sono già poche strutture specializzate in Italia ed ora alcune di queste chiudono. A tal proposito abbiamo fatto un esposto/denuncia poiché in Lombardia, il San Raffaele Turro, fiore all'occhiello, sta chiudendo. Purtroppo queste sono malattie che non pagano, dietro non c'è un supporto farmacologico che possa far pensare ad un investimento. Per questo problema c'è il grande impegno con risorse umane ma le amministrazioni vedono solo i costi. Il problema è che, non mi stancherò mai di dirlo, più andremo avanti e più questi disturbi e le persone che ne soffrono sarà un costo sociale per la nostra società. Non abbiamo ancora compreso la portata enorme di queste patologie che riguardano sempre più persone e sempre più giovani e solo perché si parla di salute mentale.
Se hai una malattia fisica sei considerato un combattente, un resiliente, ma se hai un problema mentale dipende solo e quasi tutto esclusivamente da te e dalla tua volontà. Non è così. E soprattutto è che quello che non riusciamo ad intercettare oggi, ovvero tutti quei giovani che non riusciamo a curare oggi, saranno un problema per i prossimi dieci o quindici anni. La salute mentale sarà la vera e propria emergenza sanitaria dei prossimi anni. I numeri resi noti dalla Regione, che parlano di oltre 1200 ragazzi affetti dalla malattia emergono da coloro che sono presi in carico dalle strutture del sistema sanitario nazionale il che significa che non si tiene presente di tutto ciò che viene convogliato al privato - da chi ha disponibilità economiche (ndc). Ed anche un numero che non tiene presente tutto ciò che non arriva né all'uno nè all'altro sistema perchè sono malattie che vivono nel primo periodo, esclusivamente in famiglia e quando si arriva ai servizi a volte è tardi. Non si tiene conto, ad esempio, di coloro che abbandonano o vengono 'abbandonati' dai servizi. L'equazione è semplice: il cinque per cento della popolazione italiana soffre di questa patologia: oltre tre milioni di persone.
Basta fare un rapporto con la popolazione della Liguria e parliamo di almeno il quadruplo dei numeri ufficiali. Il codice Lilla purtroppo non è attuato da nessuna parte d'Italia. Ci siamo battuti per una legge regionale bipartisan, passata nel 2019, per ottenere un ambulatorio specifico all'ospedale pediatrico Gaslini ma ancora oggi un ospedale che è un' eccellenza non ha un reparto dedicato, non ha un ambulatorio. Ti inviano fuori regione quando esci dal Gaslini. Nelle ultime settimane le cronache ci hanno parlato di diverse vicende sconcertanti: un mental coach, sui social, che fingendosi medico dava consigli per dimagrire e poi adescava le ragazzine facendole fotografare nude. Una nota trasmissione televisiva ha cercato di fare un casting con ragazze anoressiche. Ed infine alla Camera dei Deputati è stato invitato un medico il quale ha dichiarato che i disturbi alimentari non sono malattie ma provengono da una disfunzione ormonale. In questo ultimo caso come Associazione siamo riusciti ad ottenere che i parlamentari, che avevano invitato quel personaggio, prendessero le distanze da quanto dichiarato. Abbiamo, come Associazione, denunciato che il San Raffaele Turro di Milano sta chiudendo il reparto. La Regione Lombardia che si vantava appena due anni fa di aver fatto una legge con la quale investiva due milioni di euro annui per i disturbi alimentari chiude i reparti. Azioni, queste, che devono essere spiegate ai genitori di quei ragazzi che sono in un tunnel alla fine del quale si rischia di trovare la morte. Come Associazione siamo tutti giorni a combattere per giovani affetti dalla malattia che nella stragrande maggioranza dei casi prima di trovare la giusta strada vengono rimpallati fra ospedali e cliniche psichiatriche senza essere seguiti da un team multidisciplinare specializzato".
Una riflessione, per terminare: nelle pieghe della Costituzione l'articolo 32 recita come la Repubblica tutela la salute e il diritto alla salute è un fondamentale diritto, interesse della collettività, e le cure vanno garantite anche agli indigenti.