- 25 marzo 2023, 09:30

Dritto al punto... con la psicologa - Il rimpianto esiste davvero?

Nostalgia, rimorso, rimpianto sono una nostra creazione, un nostro modo per andare avanti, o per rimanere indietro?

Molte canzoni, film, libri, parlano del rimpianto. Se ne parla in modo sempre molto toccante e può riguardare eventi di vita che segnano le persone, le famiglie, i gruppi. Il rimpianto, o rimorso, o nostalgia, richiama in qualche modo il passato, qualcosa che torna sempre su come un sentore che impariamo a conoscere bene e al quale facciamo spazio sempre, anche dopo tanto tempo, dentro di noi.

Ma cosa significa davvero questo movimento mentale? Esiste in quanto tale o si tratta di un modo, di una strategia che utilizziamo per altri obiettivi che non siano solo quello di ricordare?

La risposta della clinica è la seconda. Certo esistono diversi aspetti nell'arco della vita che ci possono tornare alla mente; ricordi o episodi, d'altra parte siamo fatti di esperienze, di tempo vissuto. Ma che questi bagagli vecchi siano presenti dentro di noi in un modo malinconico, appartiene ad un altro discorso, ben più profondo.

Ciò che noi viviamo e che poi abbandoniamo, o che anche se non lo abbandoniamo in prima persona finisce (pensiamo prima di tutto alle relazioni, ad un posto di lavoro, un'amicizia profonda che si rompe, un cambiamento radicale che decidiamo di attuare), finisce anche  perché non lo vogliamo più noi per primi, più o meno consciamente. Anche se sono gli altri ad allontanarci, in dinamiche relazionali anche complesse, o ci sentiamo "obbligati" per determinare condizioni a lasciare il campo, è perché in qualche modo lo vogliamo anche noi. Spesso infatti, anche se un po' forzati da una situazione imposta, scegliamo noi stessi il nostro benessere e abbandoniamo il campo. Questo è sano e si chiama autoconservazione. Bene, e quindi perché rimpiangere? Perché ricordare, rimembrare a volte in modo insistente? In altre parole, perché non riusciamo a "viaggiare leggeri" e lasciare andare? 

Perché spesso facciamo fatica ad accettare che le cose, gli altri, si muovono per conto loro, di un movimento diverso o molto lontano dal nostro. E questa cosa ci lascia soli, ci lascia sguarniti. Può essere solo accettata. Ed è difficile. Prendiamo le relazioni come esempio più immediato e che avrà riguardato tutti, almeno una volta. 

Quante volte è capitato di dover accettare, anche con malessere, che la persona che noi avevamo dentro di noi costruito in un certo modo, funzionasse poi in un altro? O che mettesse in atto atteggiamenti nuovi, mai visti, sconosciuti che ci hanno anche fatto male? Spesso o poco che sia, capita. Perché l'altro lo si conosce nel tempo, nell'arco della vita, e ciò che accade crea sfumature nuove nelle personalità. Persone con cui potevamo trovarci molto a nostro agio in qualche tempo possono non fare più per noi, e questo è anche sano. Si cresce, si cambia, ma soprattutto si è diversi. Aspetto da accettare, da accogliere. Sembra facile ma non lo è per niente.

Il rimorso in questo discorso non è altro che la nostra ombra, ovvero la fatica di andare avanti da soli, di riprenderci tutti i nostri investimenti fatti sulla relazione (ad esempio), e  accettare che la diversità dell'altro ci lascerà sempre un pochino soli, in modo fisiologico, e che questo è un dato di cui tenere conto. Se vogliamo è quasi un nostro capriccio, in qualche modo una resistenza forte a non guardare veramente e fino in fondo chi abbiamo a fianco. È un sentore in qualche senso egoistico, centrato su di sé. Quindi, in questo senso, si può dire che per certi versi il rimorso sia un fattore individuale, dove il nostro interesse nostalgico benché aderisca a "quello che è stato", piuttosto rpiguardi quello che è, e riguardi noi, ovvero la nostra difficoltà di accettazione, la nostra difficoltà di stare nella frustrazione. 

Ci può essere utile chiederci in quel momento cosa ci manca, se davvero la distanza e la diversità dell'altro, o il nostro senso di completezza.