Prosegue questo mercoledì ‘I mestieri di una volta’, un ciclo di servizi de ‘La Voce di Genova’ dedicato a chi ancora svolge quei mestieri antichi, con il medesimo impegno e la medesima passione. Ogni settimana vi racconteremo storie di ingegno, di orgogliosa resistenza, di rinascita, di ritorni alla moda: storie fatte di mani sapienti, di teste pensanti, di tantissimo amore e attaccamento alle proprie radici. Buona lettura!
Uno tra i mestieri più antichi della storia, quello del vetraio, di infinita pazienza e cura di tutti i minimi particolari che, secondo alcuni fonti storiche, risalirebbe al 1700 a.C. e che, ancora oggi, è una vera e propria forma d’arte. Il 'cuore' pulsante oggetto di lavorazione è un materiale modellabile, non certamente indistruttibile ma resistente, riciclabile e certamente moderno: il vetro.
E c’è chi, nell'epoca contemporanea, come nel caso di Armando Crisà, titolare della storica attività 'Vetreria Crisà' a Sestri Ponente, precisamente in Via Travi, porta avanti questo antichissimo e affascinante mestiere che, nonostante il processo di modernizzazione e industrializzazione lavorativa, mantiene ancora una vena personale e creativa in tutte le sue realizzazioni, facendosi custode di tutti quei segreti 'del mestiere'.
Il lavoro, anni fa, prevedeva una certa manualità e artigianalità, a differenza di oggi che gran parte del lavoro è ‘delegato’ alle macchine, ma che consente lo stesso, nel caso di Crisà, una dose artistica personale: “Dovevi assolutamente saper lavorare il vetro - racconta il titolare -. Oggi, francamente, se hai bisogno, puoi prendere un collaboratore che sappia semplicemente lavorare al computer. Ai miei tempi, dovevi prima entrare come apprendista, imparando da subito tutte quelle che sono le tecniche di lavorazione, mentre oggi praticamente lo fa direttamente il macchinario. Penso che in questo periodo storico la conoscenza del vetro e le relative tecniche stanno andando sempre più a sparire. Chiaramente, l’uso di macchinari consente una lavorazione precisa e millimetrica, ma rimane necessaria la nostra presenza: penso, ad esempio, al confronto con il cliente piuttosto che la necessità di effettuare dei sopralluoghi”.
I clienti sono sia il singolo privato che la grande azienda e, tra tutti i lavori eseguiti, Crisà ne ricorda un paio in particolare: “Ho realizzato i vetri della Cupola di Santa Zita - afferma -. Oppure, mi sono occupato sempre di realizzare i vetri del museo dell’Augusta vicino alla loro sede, ma anche dei cristalli curvi presso un loro stand dove all’interno avevano messo in esposizione degli elicotteri. Comunque, io non ho mai mandato indietro nessuna richiesta in generale. Il privato, tendenzialmente, chiede dalla semplice cornica alla finestra. Negli ultimi tempi, devo dire che si presentano anche diversi architetti, che studiando l’arredo dell’appartamento, mi chiede un qualcosa di particolare non tanto remunerativo ma che possa essere soddisfacente. Per quanto riguarda, invece, le macro realtà, mi sono occupato anche di fornitura navale, per yatch, fino a vetri per capannoni”.
Per Armando Crisà, che ha approcciato a questo lavoro “per caso”, si tratta di un mestiere che “al di là dei lavori di routine, necessita studi costanti e riflessioni doverose in riferimento al come fare un lavoro al fine di realizzarlo nel migliore dei modi”, precisa, aggiungendo che dietro le quinte c’è altresì “uno studio, una creatività e un costante aggiornamento”.
Una qualità, quella di oggi, che per Crisà è “molto scesa rispetto ai tempi passati”: “Oggi, con tutta onestà, molti guardano troppo il prezzo e poco la qualità - afferma il titolare della vetreria -. Questo comprendo assolutamente, perché è difficile, mettendosi nei panni del cliente, giudicare se quello che ti sta chiedendo di più, a livello di costi, è perché veramente sa fare di più. Si vive, in generale, troppo di computer: tutti pensano di sapere tutto ma dal dire e il fare c’è un abisso di conoscenza, esperienza e studi”.
Per quanto riguarda il futuro, Armando Crisà è netto: “Non so quanto ma andrò prima o poi a chiudere l’attività e a tirare i remi in barca - chiarisce -. Mi spiace, perché amo il mio lavoro, però a livello gestionale è diventato oggi troppo pesante. L’ultima cosa, nel concreto, è il tuo lavoro: prima devi fare tutto dietro al tavolo, una sorta di commercialista o ragioniere. Io nella mia vita non ho studiato perché mi piaceva lavorare, mentre oggi mi ritrovo a fare più dietro la scrivania che lavoro operativo in fabbrica".