“La cosiddetta città da 15 minuti viene venduta ai cittadini come una rivoluzione positiva per la qualità della vita, ma dietro questa facciata utopica si nasconde un modello urbano che rischia di trasformare la nostra città in un insieme di compartimenti stagni, dove la libertà individuale viene sacrificata sull’altare dell’efficienza digitale e della sicurezza artificiale”.
Lo dichiara Erica Martini, candidata consigliere comunale per Democrazia Sovrana e Popolare.
Il nuovo piano urbanistico di Genova, presentato dall’assessore Mascia e allineato agli indirizzi del progetto “Genova 2050”, promuove la smart city, la digitalizzazione spinta, la transizione ecologica e la sicurezza come pilastri.
Ma Martini mette in guardia: “Si tratta di una narrazione accattivante che cela un piano ben diverso: una città monitorata, iper-regolata, dove ogni spostamento può essere potenzialmente tracciato, e dove il concetto di prossimità si trasforma in vincolo e confinamento”.
“Il problema non è voler portare i servizi più vicino al cittadino – continua Martini – ma il fatto che questa visione viene imposta senza un vero dibattito pubblico, senza spiegare le implicazioni sociali, tecnologiche e politiche di una città divisa in micro-aree funzionali, dove tutto ciò che serve ‘deve’ essere raggiungibile in 15 minuti. E se non lo è? Se un cittadino vuole esercitare la propria libertà di muoversi, di scegliere?”.
Secondo la candidata, il rischio concreto è quello di “costruire quartieri-ghetto sotto costante sorveglianza, con l’alibi della sostenibilità e della coesione sociale”.
“Questa non è urbanistica partecipata, è ingegneria sociale - aggiunge - ed è un approccio pericolosamente vicino ai modelli promossi da élite globaliste, come il World Economic Forum, che in nome dell’efficienza vogliono ridurre le città a meccanismi di controllo automatizzato”.
Infine, Martini lancia un appello ai cittadini: “Non lasciamoci abbagliare da slogan e render digitali. Una città viva è una città libera, dove il cittadino non è un QR code da scansionare ma un essere umano con diritti, bisogni e aspirazioni. Serve un modello di sviluppo centrato sulle persone, non sui dispositivi. Genova ha bisogno di partecipazione, trasparenza e sovranità. Non di una gabbia dorata a 15 minuti di distanza”.