Attualità - 25 aprile 2025, 08:00

24 aprile 1945, Genova insorge e si libera da sola

Dalla rivolta all’alba alla resa del generale Meinhold il 25 aprile: la Liberazione di Genova fu una conquista popolare e partigiana, un evento unico nella storia europea. Il ricordo dell’insurrezione che restituì dignità e libertà a una città ferita

24 aprile 1945, Genova insorge e si libera da sola

La notizia dell’arrivo delle truppe alleate stava correndo veloce in tutto il nord Italia.

Ma se per alcuni quelli erano giorni di attesa e trepidazione, per i Genovesi le ore immediatamente precedenti al 25 aprile hanno segnato l’avvio di un’insurrezione che porterà il capoluogo ligure a liberarsi da solo, un evento unico nella storia d’Europa.

È ancora buio, la mattina del 24 aprile 1945, quando la città viene scossa dal suono dei fucili: per le strade arrivano i primi colpi, quello è il segnale che l’insurrezione è cominciata.

Qualche ora prima, la sera del 23 aprile, CNL e Comando Militare Regionale hanno deciso di far partire l’offensiva contro i tedeschi.

I partigiani, organizzati e determinati, vengono affiancati da operai, cittadini, donne e giovani, tutti uniti per raggiungere un unico obiettivo: liberare la città dalle truppe naziste del generale Günther Meinhold. Questi, alla richiesta di resa, aveva risposto con una minaccia: far saltare il porto.

Ma Genova non indietreggia e inizia un lavoro di strategia. I partigiani decidono di sabotare le locomotive, rimuovendo bielle e valvole per bloccare i rifornimenti tedeschi, paralizzando i nazisti già in ritirata. Il CLN, Comitato di Liberazione Nazionale, taglia collegamenti telefonici e ferroviari, il tutto mentre le barricate si alzano e con esse si alzano le armi. 
Inizia una lotta casa per casa per riconquistare ogni spazio: il Municipio, la Questura, piazza De Ferrari. Nelle delegazioni come Voltri, Prà e Sestri, la popolazione si solleva e i partigiani prendono il controllo del territorio, mentre il CLN cattura ben 700 soldati tedeschi.

Nel frattempo, i combattimenti proseguono anche sulle alture: Castello Raggio diventa un punto strategico. Da lì i partigiani coordinano l’assalto finale, mentre la città è stretta nella morsa della battaglia.

Il generale Meinhold, messo con le spalle al muro, accetta l’apertura di una trattativa. A incontrarlo a Savignone, nelle valli genovesi, è Carmine “Stefano” Romanzi, con sé porta due lettere: una del cardinal Boetto e una del CLN. La resa viene nuovamente richiesta. Meinhold, disarmato, viene fatto salire su un’ambulanza e portato in gran segreto a Villa Migone, nel quartiere di San Fruttuoso, scortato da partigiani travestisti da infermieri per evitare scontri durante il tragitto.

Ad attenderlo ci sono i rappresentanti della Genova libera: il cardinale Pietro Boetto, il console tedesco, i membri del CLN Remo Scappini, Enrico Martino, Giuseppe Savoretti, e il maggiore Mauro Aloni.

È il 25 aprile, primo pomeriggio, e le trattative sono tese. Mentre una bandiera bianca con lo stemma crociato di Genova sventola per segnalare la presenza di negoziatori, Meinhold sembra voler resistere ancora, ma alla fine firma la resa. Lo fa solo dopo aver ottenuto la garanzia per la vita dei suoi uomini.

Il generale tedesco compie poi un gesto simbolico e consegna la pistola personale, una Walther P38, nelle mani di Romanzi.

Genova, prima città d’Europa a liberarsi da sola da un esercito d’occupazione, è libera.

La notizia viene diffusa da Radio Genova, che trasmette dalle alture di Granarolo. A parlare è la voce del partigiano Pittaluga, pseudonimo di Paolo Emilio Taviani, futuro senatore della Repubblica:

Popolo genovese, esulta. L’insurrezione, la tua insurrezione, è vinta. Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d’esercito agguerrito e ancora bene armato si è arreso dinnanzi a un popolo. Genova è libera. Viva il popolo genovese. Viva l’Italia”.

Gli alleati arrivano da La Spezia solo la sera del 26 aprile, per qualcuno addirittura il giorno dopo, trovando una città già liberata dove i tram sono tornati a circolare grazie all’organizzazione e alla cooperazione tra partigiani e operai in un tentativo di ritorno alla normalità.

La gente, accorsa lungo le strade, sventola bandiere tra le rovine. 

Per il coraggio e la determinazione della sua popolazione, Genova riceverà la Medaglia d’oro al Valor Militare il 1° agosto 1947. Le motivazioni, commosse e solenni, ne riconoscono la grandezza morale e civile:

“Amor di Patria, dolore di popolo oppresso, fiero spirito di ribellione, animarono la sua gente nei venti mesi di dura lotta [...] Il valore, il sacrificio e la volontà dei suoi figli ridettero alla madre sanguinante la concussa libertà e dalle sue fumanti rovine è sorta la nuova vita, santificata dall’eroismo e dall’olocausto dei suoi martiri”.

La Resistenza genovese realizzò un’unità eccezionale, dagli ufficiali badogliani agli operai comunisti”, disse Nilde Iotti. Paolo Emilio Taviani, qualche tempo dopo, non perse l’occasione per sottolineare come l’insurrezione di Genova ‘riscattò l’onore di un popolo smarrito l’8 settembre’, influenzando la Costituzione italiana. 

Cruciale è stato l’apporto delle donne che, oltre a partecipare attivamente ai combattimenti, gestirono infermerie clandestine nelle case e si adoperarono per fabbricare munizioni artigianali. Donne come Lina Merlin, futura senatrice, lavorarono per organizzare le reti di supporto logistico.

Il bilancio in termini umani fu pesante: 1936 caduti, 2250 deportati. 300 morti e 3000 feriti sono stimati solo nel corso dei tre giorni di insurrezione, dove molte vittime civili, specie tra gli operai del porto, non sono mai state censite.

La città non ha mai dimenticato e oggi più che mai ricorda il suo passato e quella lotta, combattuta metro per metro, per riconquistare la libertà.