Cultura - 13 luglio 2025, 08:00

“Scrivere per restare intere”: Cinzia Pennati si racconta fra maternità, parole non dette, emancipazione e desideri

L'autrice e insegnante genovese è tornata in libreria con "Questioni di famiglia", un romanzo corale che mette al centro le donne, i legami, i segreti taciuti e quelli da svelare. “Vorrei che il mio lavoro aiutasse a dare dignità al sentire femminile”

Cinzia Pennati non ha mai amato i riflettori, eppure si trova, ancora una volta, a raccontarsi. Ma lo fa come sempre: con onestà, misura e profondità. Scrivere, per lei, è prima di tutto un modo per restare intera. Non è mai stato un vezzo, né un’ambizione letteraria. È stata piuttosto una necessità, una presa di coscienza. Una scelta per sopravvivere. “Ho iniziato a scrivere davvero quando mi sono separata - racconta -. È stato come aprire una finestra. Quel primo libro, in parte autobiografico, mi ha permesso di vedere più chiaro dentro di me. Quando l’ho finito, mi sono separata per davvero. Era come se mi avesse portato dove dovevo arrivare”.

Il suo ultimo romanzo, 'Questioni di famiglia' (edito da Sperling & Kupfer), si muove proprio su questo crinale: tra ciò che appare e ciò che sta sotto, tra la superficie dei legami e le tensioni che li attraversano. “È la storia della famiglia De Santis, ma più ancora è la storia delle donne che la compongono. Due le voci principali: Amanda, la figlia di mezzo, e sua madre. Amanda ha un matrimonio fallito alle spalle, un figlio adolescente che fa fatica, una bambina piccola con un carattere forte, e la sensazione costante di essere in difetto rispetto alle sorelle. Ma ha una dedizione smisurata per sua madre. Una madre che ha fatto della rinuncia e del sacrificio la propria cifra, che ha vissuto accudendo e non desiderando. E che solo a settant’anni, a cose fatte, inizia a sentire che qualcosa forse non è andato come doveva”.

Come sempre nei romanzi di Pennati, la storia personale si intreccia con un discorso più ampio. “Quella madre è una donna piena di segreti, e il romanzo è anche questo: un percorso verso la verità. Finché non si svelano i segreti, finché non si guarda in faccia ciò che è stato taciuto, non può esserci libertà. La verità, anche se faticosa, è sempre necessaria”. Una narrativa intima ma mai chiusa, portata avanti con la forza delle esperienze vissute di chi da trent’anni lavora nelle scuole, a Genova, nei quartieri più difficili.  “Ho cominciato presto a insegnare, appena finito l’istituto magistrale. Mi sono specializzata per lavorare con bambini con disabilità, e sono entrata alla scuola Daneo, dove insegno da trentadue anni. L’ho voluta io una scuola di frontiera. Avevo già lavorato a Teglia, a Rivarolo, volevo restare dentro a quel tipo di realtà. Ma non è solo una professione. È un pezzo di me. Anche lì metto la stessa energia che metto nella scrittura: relazione, ascolto, presenza”.

Ma la scuola e la scrittura sono solo due dei molti ruoli che Cinzia ha dovuto imparare a tenere insieme. C'è anche quello, faticoso e fondamentale, di madre sola. “Le mie figlie ora hanno vent’anni e ventitré: una studia pittura all’Accademia di Torino, e lavora come cameriera per mantenersi. L’altra fa il secondo anno di infermieristica. Le ho cresciute da sola. Non è stato semplice, e non lo è tuttora. Anche se sono più grandi, sono ancora nel pieno dell’accudimento, da tanti punti di vista. E devo farci stare dentro tutto: la scuola, la casa, la scrittura. Per questo scrivo la mattina presto, prima che inizi la giornata. Senza disciplina non ce la farei”.

La sua voce è carica di consapevolezza: mentre racconta il suo percorso, personale e artistico, Pennati non nasconde le difficoltà affrontate. “A casa mia non si leggevano romanzi, ma le enciclopedie sì, quelle che venivano vendute porta a porta. A scuola ero in difficoltà, e solo in prima superiore, grazie a un professore, ho iniziato a pensare che forse potevo davvero farcela. Solo da adulta ho scoperto di essere una DSA compensata: non ho memoria, non riconosco la destra dalla sinistra. Ho fatto il doppio della fatica”.

La scrittura, per lei, è stata anche questo: un modo per trovare un linguaggio possibile. “Scrivere mi aiuta a capire. A essere più clemente con me stessa, con mia madre, con le mie sorelle, con le mie figlie. È un contenitore. Se non scrivessi, davvero, trasborderei”.

Questa intimità profonda, però, non è mai chiusa su di sé. Da anni Cinzia Pennati ha un rapporto diretto con le sue lettrici (e qualche lettore) grazie ai social. La sua pagina Instagram si chiama SOS Donne, un nome scelto all’inizio quasi per caso, e poi rimasto come marchio di un’identità ben precisa. “Volevo aprire un blog, era il 2016. Avevo sempre pensato di non essere capace, di non avere talento. Poi, il 3 gennaio 2017, ho pubblicato un post che si intitolava "Ai figli ci sono cose da dire". È diventato virale. In pochissimo tempo è arrivato ovunque. Da lì non mi sono più fermata. Quel nome oggi ha senso: mi interessano le donne, mi interessa dare dignità al loro sentire”.

Nei suoi libri non troverete trame d’amore classiche né finali rassicuranti. “Raccontare l’amore è una questione femminista. Io non voglio scrivere romanzi rosa. Mi interessa mostrare che si può vivere una vita piena anche senza una relazione romantica, senza un uomo accanto, senza figli. Racconto donne che si emancipano, che si cercano, che imparano a desiderare. L’amore non può tutto. La nostra società ci racconta che valiamo solo se siamo in coppia, ma è una narrazione che serve al sistema. Serve ai governi, alla religione, all’economia. Le donne in coppia fanno figli, si occupano degli anziani, fanno un lavoro sommerso enorme. Le donne sole sono più libere, più centrate su di sé. E quindi fanno paura”.

Cinzia non nasconde le difficoltà anche del mestiere di scrittrice. “Molti pensano che pubblicare significhi guadagnare. Ma noi prendiamo un euro a copia. Senza gli anticipi non ce la farei. Eppure, non rinuncio alla mia voce. So che parlando di donne, scrivendo al femminile, mi gioco molte possibilità. So che i lettori uomini leggono soprattutto libri di altri uomini. Ma non potrei scrivere altro. Mi interessa parlare alle donne. Anche se significa faticare di più, anche se significa fare le presentazioni solo dove ti invitano e riescono a pagarti almeno il viaggio in treno”.

Eppure, il riscontro delle lettrici la ripaga. “Mi hanno detto che i miei libri sono politici. Ed è vero. Raccontare il privato delle donne è un atto politico. Nel romanzo precedente, 'In famiglia tutto bene', parlo della violenza economica: una donna che scopre che il marito ha svuotato i conti e si ritrova a dover ripartire da zero. È una storia che succede, spesso. Tante donne ancora oggi non hanno un conto personale, non decidono su come si spendono i soldi in casa. Raccontare queste cose è necessario”. Una lettrice le ha anche detto che il suo romanzo sembra un giallo. “Mi ha fatto sorridere, perché io amo i crime, le storie con un mistero. E in effetti anche le mie storie hanno segreti da svelare. Non sono capace a scrivere un giallo, ma mi piace pensare che anche i miei libri abbiano qualcosa da indagare”.

Cinzia Pennati non cerca premi, cerca verità. Non sogna bestseller, sogna che le sue parole arrivino a chi ne ha bisogno: “Ho scritto a mano una dedica alle lettrici all’inizio del libro. Senza di loro questo libro non ci sarebbe. Non sono dentro i giri, non ho agganci. Se i miei romanzi resistono, è perché qualcuno ci ha creduto, li ha letti, li ha consigliati. E questo, per me, vale più di tutto”.