Sono stati 45 in tutto a livello nazionale i suicidi in carcere dall'inizio dell'anno, undici di questi registrati solo tra giugno e luglio. Uno, in una struttura della Liguria. Ma non solo solo i numeri freddi a fotografare la situazione dopo la pubblicazione dei dati del dossier 'Ristretti Orizzonti' curato da Antigone. Ma è un tema di allarmi che da anni arrivano dai territori, compreso quello Ligure, sulle politiche e le gestioni carcerarie, la mancanza di prospettiva dopo il fine pena, le condizioni interne alle strutture sia per i detenuti che per il personale che vi opera, e che riguardano anche nella Liguria, che solo un mese fa ha visto una rivolta epocale per dimensioni nella casa circondariale di Marassi a Genova, che ha sollevato una storia di soprusi e violenze.
"Per quanto riguarda la Liguria quest'anno abbiamo registrato un solo suicidio in carcere contro i 7 del 2024. Anche un solo suicidio è un suicidio di troppo e non dobbiamo abbassare la guardia, perché comunque le condizioni di difficoltà nelle carceri liguri ci sono e occorre sempre molta attenzione perché non si verificano nuovi casi". A poche ore dalla firma dell'appello, promosso da Defence for Children Italia insieme ad Antigone e Libera, a dirlo è Doriano Saracino, garante regionale per le persone private della libertà personale, che commenta così il Report che fotografa la situazione nelle carceri italiane.
"Casi numerosi - sottolinea - e io penso che vanno viste insieme le cose: l'aggressività verso altri e l'auto-aggressività, gesti di auto-lesionismo fino ai suicidi, che sono in parte collegati fra di loro. In Liguria abbiamo avuto la vicenda della rivolta, delle proteste violente a Marassi a giugno che hanno in parte canalizzato certe tensioni e certe problematiche. Ma si tratta di un problema di tipo diverso".
Sul fronte della prevenzione, qual è lo scenario attuale? "Sono stati ridotti i protocolli preventivi - dice Saracino - e bisogna che questi protocolli non siano soltanto un'applicazione burocratica, quando si individua un rischio. Serve una reale presa in carico delle persone, quindi credo che questo sia un punto fondamentale. Il problema non è soltanto la vigilanza che consiste nella sorveglianza passando ogni quarto d'ora davanti alla cella della persona a rischio, ma serve soprattutto fornire speranza. Non basta controllare e non si può nemmeno ridurre il problema a una dimensione psichiatrica".
"C'è una sofferenza, un carico di sofferenza a cui non si riesce più a far fronte e talvolta i suicidi avvengono e nella fase iniziale della detenzione ma anche nella fase finale - continua il garante - quello avvenuto quest'anno ha riguardato un detenuto quasi a fine pena, forse esposto alla domanda su quale sarebbe stato il suo futuro fuori, dopo tanti anni in carcere".
Il lavoro deve dare una prospettiva oltre la detenzione? "Assolutamente sì: la scuola, la valorizzazione della formazione anche professionale - conclude - occorre uno sforzo per fare bene tutto questo, però le misure ci sono. Si tratta di metterle in campo. L'estate non aiuta, non per le condizioni difficili in sé ma perché diminuiscono le occasioni di contatto sociale con altre persone, diminuisce la presenza della scuola, diminuisce la presenza dei volontari, diminuisce la presenza di tutte le persone e si è più soli. Nella solitudine maturano spesso dei gesti di questo tipo".