Continua con questo lunedì, e andrà avanti per tutti i lunedì successivi, un servizio seriale de ‘La Voce di Genova’ dedicato alle Botteghe Storiche e ai Locali di Tradizione della nostra città. Vogliamo raccontare, di volta in volta, quelle che sono le perle del nostro tessuto commerciale, e che ci fanno davvero sentire orgogliosi di appartenere a questa città. Buon viaggio insieme a noi!
Gli ippocastani, da sempre, proteggono la Trattoria del Bruxaboschi, locale storico di San Desiderio che dal 1862 porta avanti, di generazione in generazione, la tradizione gastronomica locale. A fondarla fu Giovanni Battista Peirano, detto “il Bruxaboschi” per un aneddoto che si tramanda nel tempo: “la storia narra che il nostro avo, dopo essere stato accusato di non svolgere alacremente le sue mansioni, in una notte abbia tagliato tutta l’erba del bosco di famiglia e da lì gli è stato affibbiato il simpatico nomignolo” racconta la famiglia.
E dopo aver visto passare l’Unità d’Italia, le guerre mondiali, le difficoltà del dopoguerra e, più recentemente, la pandemia, la trattoria è sempre lì, sulle alture di Sturla, come punto di riferimento dei tanti clienti che l’hanno eletta posto del cuore. A portarla avanti è la stessa famiglia, oggi alla quinta generazione, guidata da Matteo Losio insieme a Giovanni, Ada e Ivana.
“La frase che ci sentiamo dire più spesso è: 'da voi si va a colpo sicuro' - spiega Losio -. Ed è forse il complimento più bello, perché significa che chi torna trova quello che cerca: qualità costante, piatti uguali a quelli della volta precedente, un servizio preciso. Non è affatto semplice garantire questa continuità, ma è ciò che fa la differenza”.
La trattoria è sempre stata un rifugio di cucina genovese autentica. I piatti della tradizione, dai ravioli al risotto, dalla cima al fritto misto, restano intoccabili. “Molti clienti hanno un piatto del cuore. C’è chi viene da anni solo per il nostro risotto, chi per la cima, chi per il latte dolce. Spesso ci dicono: 'i ravioli qui sono sempre uguali'. Sembra banale, ma non lo è: mantenere lo stesso standard, giorno dopo giorno, non è per niente facile. Noi non siamo macchine, eppure dobbiamo riuscire a farlo”.
Accanto alla tradizione, c’è anche la stagionalità, con i funghi in prima fila: “Da settembre a dicembre sono i veri protagonisti: crudi, fritti, nei sughi, con la pasta. I funghi per noi sono quasi un marchio di fabbrica”.
I piatti del Bruxaboschi vengono serviti sia nel giardino esterno, sia all’interno dell’edificio, con saloni adornati da credenze dell’Ottocento, con utensili da cucina antichi, vecchie pentole in rame, e tanti articoli di giornale e fotografie che raccontano la storia del locale, quella di Genova e quella d’Italia. Qui, infatti, Giuseppe Mazzini e i fratelli Ruffini avevano gustato i piatti tipici della casa, mentre si incontravano segretamente nelle salette interne.
Dietro al fascino di un locale storico, però, ci sono anche le fatiche quotidiane, a cominciare dalla turnazione del personale: “Oggi per coprire i turni di sala servono molte più persone in sala e in cucina per avere una copertura totale dei turni”. Il presente non è privo di ombre:“Quest’anno i dati non sono confortanti: registriamo un calo di circa il 20%. La gente è in giro, ma spende meno. Gli stipendi sono fermi, i costi aumentano per tutti: dalle bollette agli ingredienti. Così quando si decide di uscire si sceglie il posto che dà sicurezza, non si rischia un esperimento. È comprensibile, ma per noi significa dover alzare ulteriormente l’asticella”.
Durante la pandemia, però, la trattoria ha mostrato una resilienza fuori dal comune: “Non ci siamo mai nascosti dietro la frase 'bisogna reinventarsi': l’abbiamo fatto davvero. Abbiamo organizzato un delivery complicatissimo, con piatti pastorizzati e monoporzione, ravioli precotti con il sugo a parte da rigenerare a casa. Non era come ordinare e ricevere subito, ma era un lavoro enorme che ci ha permesso di restare vicini ai clienti. Anzi, grazie a quel sistema abbiamo conquistato anche nuovi affezionati, consegnando in tutta la città, da Nervi a Bolzaneto”.
Non è mancata neppure la voglia di sperimentare, con l’apertura di un beer garden a San Desiderio in collaborazione con i ragazzi dei Troeggi: “Volevamo uno spazio all’aperto, informale, un po’ country. Ha funzionato benissimo, perché la gente cercava proprio momenti di convivialità diversi”.
Oggi, tra le difficoltà del settore, Matteo resta convinto che la forza del Bruxaboschi sia il legame con le radici. “Noi stessi, quando viaggiamo, cerchiamo ristoranti che sappiano farci stare bene. Le mode passano, dal gourmet al sushi, ma alla fine si torna sempre alle origini, ai piatti semplici e rassicuranti. Per me il minestrone è l’esempio perfetto: sembra una banalità, ma chi lo prepara più in casa con tre ore di cottura? Da noi lo trovi, come lo facevano i nostri nonni. È questo che rende il Bruxaboschi un posto speciale: non inventiamo, custodiamo”.