Prosegue oggi, e continuerà per tutti i venerdì successivi, ‘Alla scoperta dei Forti’, un servizio seriale de ‘La Voce di Genova’ dedicato a una delle ricchezze più straordinarie del nostro territorio: il sistema fortificato che abbraccia la città dalle alture. Un patrimonio unico, che racconta secoli di storia militare, politica e sociale. Un viaggio tra Medioevo e Ottocento, tra leggenda e realtà, sempre con lo stesso filo conduttore: l’amore per Genova e per le sue eccellenze. Buon viaggio insieme a noi, alla scoperta dei Forti!
Da oltre due secoli, Forte Quezzi osserva dall’alto Genova. Pur essendo considerata una delle fortificazioni meno note del sistema difensivo cittadino, lontana dall’immaginario più frequentato dei Forti sulle alture occidentali, non per questo è meno significativa. Oggi si presenta in condizioni di forte degrado, quasi nascosta dalla vegetazione e dall’espansione urbana, ma la sua storia è strettamente intrecciata con le trasformazioni militari, sociali e urbanistiche della città.
L’idea di costruire una fortificazione sul Colle della Calcinara, in Val Bisagno, nasce nel 1747, in un momento di grande tensione per la Repubblica di Genova, minacciata dall’avanzata austro-piemontese durante la guerra di successione austriaca. Per rafforzare il fronte orientale della città e controllare l’accesso lungo la vallata, venne incaricato l’ingegnere militare Jacques de Sicre di progettare una serie di opere difensive sulle alture. Forte Quezzi, insieme ad altre ridotte come quella di Richelieu, avrebbe dovuto fungere da baluardo avanzato contro possibili incursioni nemiche.
I lavori iniziarono ufficialmente il 27 agosto 1747, ma si scontrarono presto con difficoltà economiche e limiti progettuali. Per decenni l’opera rimase incompiuta e in stato precario, tanto che alla vigilia dell’assedio francese del 1800 il forte era poco più di un rudere. Fu il generale Andrea Massena, incaricato della difesa di Genova, a ordinarne il ripristino in tutta fretta: secondo le cronache dell’epoca, il forte venne rimesso in funzione in pochi giorni, utilizzando materiali di fortuna e il lavoro incessante dei soldati.
Durante il periodo napoleonico, nel 1809, la struttura venne ampliata con la costruzione di una caserma su due piani e di una casamatta voltata. Dopo il passaggio di Genova al Regno di Sardegna nel 1814, il Genio militare sabaudo intervenne nuovamente, dotando il forte di alcuni pezzi di artiglieria. Tuttavia, già nella prima metà dell’Ottocento, relazioni ufficiali ne ridimensionavano l’importanza strategica, giudicandolo di scarsa utilità e in progressivo stato di degrado. Anche il tentativo insurrezionale mazziniano del 1857, fallito sul nascere, contribuì a fissarne un ruolo più simbolico che realmente militare.
Il Novecento segnò l’inizio del definitivo declino: dismesso dal sistema difensivo italiano, il Forte Quezzi venne progressivamente abbandonato. Durante la Seconda guerra mondiale alcune parti furono demolite per installare postazioni contraeree, ma nel dopoguerra l’intera area fu lasciata all’incuria, al saccheggio e a utilizzi impropri. Oggi restano mura spezzate, terrapieni e ruderi che raccontano, in silenzio, una lunga parabola di abbandono.
Nel frattempo, proprio sotto quelle stesse alture, la città stava cambiando volto. Tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta sorse il grande quartiere residenziale INA-Casa di Forte Quezzi, meglio conosciuto come il “Biscione”. Progettato da Luigi Carlo Daneri, uno dei protagonisti dell’architettura moderna italiana, il complesso rappresentò un ambizioso esperimento di edilizia pubblica del dopoguerra: oltre ottocento alloggi, spazi comuni, servizi e una struttura sinuosa pensata per seguire l’andamento del terreno e dialogare con il paesaggio.
Il nome stesso del quartiere richiama il forte sovrastante, anche se tra le due realtà, la fortificazione settecentesca e l’architettura modernista, non si è mai davvero costruito un rapporto organico. Il Biscione ha incarnato, negli anni, speranze di riscatto sociale e forti criticità legate alla manutenzione, all’isolamento e alla qualità della vita, diventando un simbolo complesso e controverso della Genova del secondo Novecento. Sopra, quasi a vegliare, il Forte Quezzi è rimasto una presenza muta, sempre più distante dalla quotidianità del quartiere che ne porta il nome.
Negli ultimi anni, tuttavia, l’attenzione verso queste alture è tornata a crescere. Amministrazioni e associazioni guardano al Parco Orientale dei Forti come a un possibile spazio di connessione tra memoria storica, ambiente e vita urbana. Progetti come il masterplan della pineta di Quezzi e l’idea di percorsi storico-naturalistici mirano a restituire accessibilità e senso a luoghi oggi marginali, cercando di ricucire il rapporto tra il forte, il quartiere e la città.
Forte Quezzi non è soltanto un rudere militare, ma una chiave di lettura per comprendere le stratificazioni di Genova: dalla città fortificata della Repubblica, alla sperimentazione urbanistica del dopoguerra, fino alle sfide contemporanee della valorizzazione e della cura del territorio.