Economia - 05 novembre 2018, 04:00

Quando la baby sitter è 'in regola'

Quando si parla di baby sitter non sempre c’è chiarezza su quello che riguarda i contratti.

Quando si parla di baby sitter non sempre c’è chiarezza su quello che riguarda i contratti.

La baby sitter è infatti una di quelle collaborazioni per le quali le famiglie si affidano ad amici, a passaparola, a parenti con del tempo libero e che vogliono guadagnare qualcosa. In realtà è una professione vera e propria che spesso coinvolge persone qualificate e che hanno frequentato corsi specifici per svolgerla, e che prevede un contratto di categoria. Per mettere in regola la baby sitter ci sono tre possibilità: un contratto di categoria vero a proprio, come quello che regola il lavoro domestico, che stabilisce la paga minima (si parte da 5,36 euro all’ora per chi senza esperienza) e prevede i riposi, le malattie e le ferie.

C’è poi, come seconda soluzione, il Libretto famiglia indicato per chi vuole fare questo lavoro in modo occasionale. Dato che i voucher o buoni lavoro non esistono più, il Libretto permette di regolarizzare anche un collaborazione non continuativa. Dopo che la baby sitter e la famiglia si registrano al sito dell’Inps (nella sezione ‘Prestazioni occasionali’), per la tata è fissato un compenso, stabilito dalla legge, di 10 euro all’ora: 8 vanno a finire alla lavoratrice, due

per pagare i contributi e per la copertura assicurativa. Il tetto massimo di guadagno annuo è 5mila euro lordi l’anno. Infine esiste la partita Iva che è consigliabile solo se si lavora in una struttura vera e propria come una ludoteca: il consiglio è di verificare bene quali siano le spese e quindi i guadagni, dato che l’apertura della partita Iva non ha costi ma vi sono molte variabili di cui tenere conto.

Chissà le famiglie che cercano una baby sitter a Genova come si comportano abitualmente?

Secondo il rapporto Censis, il numero dei collaboratori domestici irregolari è molto alto in Italia.

Le categorie stanno cercando delle soluzioni: una proposta di Assindatcolf sarebbe quella di rendere gli importi versati per retribuire i lavoratori domestici totalmente deducibili, mentre ora si possono dedurre solo i contributi. Questa misura costerebbe alle casse dello Stato 675 milioni di euro, ma considerando gli effetti positivi diretti e indiretti come l’emersione di 340mila occupati irregolari, l’occupazione aggiuntiva e il gettito Iva da nuovi consumi delle famiglie, il costo finale si ridurrebbe in modo interessante.

 

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