Cultura - 04 luglio 2020, 14:00

Il libro, Alberto Bruzzone: "Racconto Multedo, l'angolo felice nel cuore della città"

Venerdì 10 luglio alle 21, nel campetto sportivo accanto ai giardini Lennon, in via dei Reggio, la presentazione di "Nostra Signora dei Galletti" con Lucia Caponetto, Jacopo Saliani e Valeria Corciolani

Alberto Bruzzone

Alberto Bruzzone

Lui che è la ‘voce’ del Ponente all’interno della ‘Voce di Genova’ non poteva che scrivere Nostra Signora dei Galletti. Storie e personaggi di un quartiere’ (De Ferrari Editore). Quale quartiere? Multedo, ovviamente, anzi Murtiòu, dove è nato e cresciuto e di cui è cronista appassionato. Alberto Bruzzone, infatti, giornalista e autore del seguitissimo blog New York Tales, finalmente si è deciso e ha pubblicato il primo libro dedicato a quest’“angolo felice, di vicinanza e umanità, nel cuore della grande città”.

Venerdì 10 luglio alle 21, nel campetto sportivo accanto ai giardini Lennon, in via dei Reggio, si terrà la presentazione, a cura dell’Associazione Comitato di Quartiere Multedo e patrocinata dal Municipio VII Ponente. Ma non aspettatevi nulla di convenzionale, bensì uno storytelling in cui i racconti e i personaggi sembreranno magicamente materializzarsi grazie alle letture dell’attrice Lucia Caponetto e al dj set di Jacopo Saliani. Con l’autore sarà presente anche Valeria Conciolani, che ha scritto la prefazione a quest’opera in cui si descrive un quartiere, che forse, almeno in parte, non esiste più, ma in cui tutti, dopo aver letto ‘Nostra Signora dei Galletti’, vorrebbero sicuramente vivere.


Perché Multedo è un posto bellissimo, come si legge nella prefazione?

“Perché, a differenza dei cosiddetti quartieri dormitorio, Multedo è una piccola realtà ed è rimasta come se fosse un paese di campagna dell’entroterra. Tutti si conoscono, si chiamano per nome e si aiutano: se arrivi a casa dopo il lavoro e hai finito le uova, più di uno sarà pronto a dartele. Certo, un posto così ha i suoi pro e contro, perché tutti sanno tutto di tutti, è il regno del ciæto, ma c’è la solidarietà, che è rimasta e rappresenta l’eredità dei nostri nonni e dei nostri padri, sopravvivendo alla decadenza che c’è stata negli anni. Questo lo rende un posto speciale: è un angolo felice, di vicinanza e umanità, nel cuore della grande città. Forse un clima simile, come scrivo nei miei articoli, c’è a Palmaro: sono due quartieri del ponente che si somigliano, come storia e cose perdute, come il mare, ma anche, appunto, per cose mai perse. Su questa lunghezza d’onda anche Crevari è rimasta com’era una volta. Multedo non sarà bella esteticamente, perché ci sono il porto e i depositi costieri, ma conserva un’umanità che, per chi la sa apprezzare, è la base della vita”.


Attraverso i personaggi tratteggi un paesaggio soprattutto sentimentale, ma com’è Multedo oggi rispetto agli anni Ottanta?

“Un pochino più anonima. Anche se chi è arrivato dopo si trova bene, apprezzando la comunanza che esiste tra le persone, è chiaro che rispetto agli anni Ottanta tante cose sono cambiate, a cominciare dal fatto che una delle storiche associazioni del quartiere, il Circolo Mario Tedeschi, ha chiuso i battenti tempo fa. Da bambini giocavamo per strada, si andava alle piscine, come scrivo nel racconto sui gol leggendari, mentre oggi per strada ce ne sono sempre meno. C’è rimasto il Circolo San Luigi, che è il principale punto di aggregazione, in cui ci si ritrova un po’ tutti, e dov’è rimasto lo stesso spirito di intenti. Si è spento, invece, l’ardore intorno alla parrocchia, perché forse i preti sono divenuti meno carismatici, non più com’erano don Ferraro e don Luigi, ma anche perché la cultura è cambiata, ci si è allontanati dalla chiesa e la società è diventata più relativista. Rimane un filo di nostalgia, specie per chi ha vissuto i tempi belli. Come quanto descritto nel racconto su ‘Nostra Signora dei Galletti’: tutto quello non c’è più ed è un peccato, perché costituiva l’identità del quartiere, anche se l’anno scorso c’è stato un moto d’orgoglio col rientro della Cassa processionale, restaurata e riportata in parrocchia. Se c’è la volontà, però, qualcosa di bello si può ancora fare: per esempio grazie al pub Molly Malones, che organizza le feste cui partecipano tante persone che arrivano anche da fuori, o al Multedo 1930, e sicuramente alla ex piscina, che quando riaprirà come centro polisportivo dovrebbe essere un motore di ripartenza. E sarebbe bello, mio parere personale, se in futuro arrivasse un aiuto pastorale giovane e motivato: un nome ce l’ho in mente. E poi la scuola Alfieri: è l’altro punto di riferimento importantissimo, sempre in bilico, che invece va difesa con le unghie e i denti”.


Perché hai scelto di descrivere quelle persone e non altre? Tra l’altro, purtroppo, molte di loro non ci sono più. Rappresentano la tua Multedo o effettivamente la Multedo di tutti?

“Sicuramente qualcuno ci resterà male perché non c’è e magari si aspettava d’esserci: ma potrei anche fare una seconda edizione! Ho scelto i miei affetti personali, com’era era giusto, e perché coincidono con i miei ricordi, e poi ho descritto persone che hanno lasciato a proprio modo un segno. Attilio, per esempio, con la sua capacità manuale era importante per la parrocchia, e per me, e per la sua morte tragica ha lasciato un segno: l’incidente alla Carmagnani ha determinato il prima e il dopo del quartiere. Poi ci sono i due ragazzi giovani, Alessandro, che era di Pegli, ma capitano del Multedo, quindi uno di noi, e Gianni, che ci è venuto da bambino e ci è rimasto, sempre aperto e disponibile: una risorsa importantissima e un punto di riferimento. E poi non si poteva non parlare dei due sacerdoti che sono stati dagli anni ‘60 ai primi anni ‘90 davvero il fulcro del quartiere. Grazie a Don Luigi, che regalava i libri ai chierichetti anziché la mancetta, tanti hanno iniziato ad apprezzare la lettura, compreso me. E poi quando pensi a Don Ferraro pensi subito al gavettone che gli venne riversato addosso. Ho cercato di raccontare anche storie a cui tengo, come quella di Lido, che ha più di 100 anni e che è tornato dalla Russia evitando le fucilate e con il piede pieno di piaghe, di cui porta ancora i segni, solo con la speranza di rivedere la madre. Poi ci sono episodi più divertenti, che sono ricordi più di ragazzo e che ho descritto anche per differenziare i luoghi, dai circoli, alla piscina alle piazzette”.


Chiaramente è tutto vero quello che scrivi: ma ci sono parti romanzate?

“Sicuramente, anche perché quando ho detto che avrei scritto il libro molti del posto tenevano al fatto che raccontassi di quando c’era la spiaggia. Da qui, per esempio, nasce l’episodio della ‘muscolata del secolo’, che mi ha raccontato mia zia, che è del 1942, descrivendomi i personaggi come la signora del minestrone e della grattachecca: ci ho messo un po’ del mio, anche per quanto riguarda la muscolata. Poi tendenzialmente è tutto vero, dal cartolaio che mi ha regalato la Costituzione al gavettone al don - per il quale ci siamo sempre giurati di non dire chi fossero i colpevoli - fino al pomeriggio ‘epico’ del mobile portato a spalla al settimo piano, ma nella scala sbagliata”.


Meglio Multedo o New York? Di’ la verità.

“Multedo è la mia casa, il posto in cui sono nato e cresciuto. New York è il luogo della vacanza che, a forza di andarci, è diventata la città cui mi sento di appartenere. Sono cresciuto un po’ col mito dell’America, appassionandomi alla storia americana con le sue tradizioni, stranezze e passioni: aspettavo sempre di leggere gli articoli di Vittorio Zucconi su ‘la Repubblica’ per saperne di più. Andandoci ho scoperto che quello che leggevo era vero. Di New York non mi piace la competitività e il vivere sempre in modo frenetico, ma mi piace la sua varietà, le idee, le novità artistiche, la vitalità. E poi la ricchezza umana e le tante culture presenti: forse è l’unico posto del mondo dove le incontri tutte in una volta sola”.

Medea Garrone

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