Municipio Valpolcevera - 27 aprile 2021, 15:10

Quando via Porro era piazza d'armi, luogo di guerra, esercitazioni del regio esercito e campo di concentramento

Resa ingiustamente famosa dal crollo del Morandi è una zona che trasuda storia e quartiere di onesti lavoratori: Giacomo Ravera, ferroviere in pensione, ci è nato e cresciuto e ricorda i racconti dei suoi antenati

È forse un pezzo di storia di Genova che non conoscono in molti, ma via Porro era piazza d’armi e ci si esercitava, ai primi del ’900, l’allora Regio Esercito e, durante la Prima guerra mondiale diventò persino un campo di concentramento, triste e freddo, dove morirono molti soldati turchi, catturati durante il conflitto e confinati in quel punto come prigionieri di guerra.

È un amarcord a tutto campo quello di Giacomo Ravera, classe 1949, ferroviere in pensione ed ex capo piazzale a Rivarolo, con una vita trascorsa tra binari e locomotive e un emozionante racconto di ciò che era la zona, diventata suo malgrado famosa in Italia per il crollo del Morandi, prima di tale evento e quando vennero costruite le abitazioni in buona parte demolite insieme ai ruderi del viadotto e per costruire il nuovo San Giorgio.

Ricordi lucidi quelli di Giacomo, anche se in parte vissuti, in parte raccontati dai suoi genitori e nonni. Ricordi di quando non c’erano case e quando invece vennero costruite. Le cosiddette case dei ferrovieri, in quanto costruite per essere destinate a costoro, anche se poi i residenti furono di ogni tipo e praticavano varie attività.

Molte di queste lui le ha viste crescere giorno per giorno. Ricordi d’infanzia e di quando al posto del cemento, “case su case, catrame e cemento”, come cantava il grandissimo “molleggiato” Celentano, i ragazzini della zona giocavano a pallone. Poi vennero l’urbanizzazione, le autostrade e ponte Morandi sotto il quale abitavano anche lui e famiglia. E così via Porro e strade limitrofe, abitazioni di brava gente e onesti lavoratori, vennero consegnate alla cronaca per la tragedia del 14 agosto 2018 che ha ucciso 43 persone.

Via Porro divenne un emblema di questo dramma perverso e nella credenza collettiva fu assimilato dalla cronache come quartiere diventato fantasma, con persone costrette ad abbandonare le abitazioni e trascorrere momenti allucinanti forzatamente fuori casa.

Ma Giacomo, che vive a metà tra la casa genovese di via Porro e quella di Lurisia perché, afferma, “amo la campagna”, la sua gioventù la ricorda bene e ricorda pure quello che genitori e nonni gli narrarono di come era la zona prima che nascesse e quando era un bambino.

“Mi raccontarono che c’era una grande piazza dove si addestravano i militari ai primi del ’900 - conferma - allora militari del re; mentre poi divenne un campo di concentramento e so che molti videro morire di freddo tanti soldati, soprattutto turchi, finiti prigionieri nella grande guerra. Perché mi è stato raccontato che a stroncarli fu un anno in cui faceva particolarmente freddo”.

“In quei palazzi ci sono nato ed ho abitato, c’erano mio padre e mio fratello che abitavano sopra di me”. E siccome si dice che il mondo è piccolo e la vita regala incroci a volte persino più stupefacenti che la trama di una fiction, suo fratello, Franco Ravera, è un personaggio che ha avuto grande rilevanza dopo il crollo di ponte Morandi e si è battuto con grande passione a favore degli sfollati.

È infatti il presidente del Comitato degli sfrattati in zona rossa, molte volte nella cronaca per la sua attività a favore della gente di quel luogo, che il crollo per fortuna non ha ucciso come i 43 martiri del Morandi, ma ai quali ha certamente sconvolto la vita. La fuga improvvisa dai palazzi a rischio sotto il troncone del ponte, la vita cambiata in un attimo alla vigilia di Ferragosto di quasi tre anni fa, l’incertezza del futuro, l’abbandono delle proprie cose e del quartiere dove erano cresciuti e vissuti e con il quale c’era un grande sentimento di unione e amore.

Pure Giacomo fa parte degli ‘sfrattati’ di quel momento come il combattivo fratello. “Quei palazzi li ho visti in parte costruire - rievoca - e ho conosciuto tutti quelli che ci abitavano. Ero ragazzino. Da allora è cambiata tanta gente, molti sono morti, altri se ne sono andati, alla fine forse siamo rimasti in due famiglie dei vecchi residenti”.

La sua voce è piena di emozione ma anche quasi orgoglio ad essere ancora in via Porro, facendo il genitore e il nonno insieme alla moglie. “Quando posso vado a vivere in campagna. Mi piace molto - afferma - ma poi torno in via Porro per la famiglia, ci sono figli, nipoti. Ma il ricordo di quando giocavamo da ragazzini c'è sempre”.

Bel ricordo per Giacomo, che racconta passato e presente con tale coinvolgimento che a parlargli sembra di avere davanti quel ragazzino che giocava con gli amici e coetanei a pallone, in grande allegria e in quella grande piazza.

Dino Frambati