Long Covid, la patologia non riconosciuta. Ne parla Francesca Barbieri, genovese, che nel marzo 2020, insieme ai due figli e al marito, ha contratto la Sars-CoV-2. Una volta guariti si sono resi conto che gli strascichi di questa nuova infezione, di questo virus inedito, stavano accompagnando la loro nuova vita. Oggi, a oltre due anni dall’infezione e guarigione, il Long Covid fa parte della loro quotidianità.
“Parlando con altre persone come noi - spiega Francesca - ci siamo resi conto che molti si sono adattati a ‘non essere più come prima’, ma noi no. Non pretendo di guarire subito, ma vorrei piano piano stare meglio”. Così, tra problematiche costanti, quello che aggrava la salute e la mente è il sentirsi abbandonati e a questo Francesca non si vuole abituare.
Tra i vari sintomi del Long Covid già riscontrati in questi mesi da diversi guariti, c’è anche la stanchezza perenne, ma anche un affaticamento mentale (una sorta di nebbia), la difficoltà di memorizzazione e di concentrazione, o un’espressione verbale diversa rispetto a prima della malattia.
“Serve più tempo per esprimere un concetto e per trovare le parole adatte”. C’è chi non ricorda il nome di un amico che frequenta abitualmente, o cosa si era in procinto di fare. E se per gli adulti questa situazione rappresenta già un problema, per chi frequenta ancora la scuola come i figli di Francesca, uno prossimo alla maturità e l’altro in seconda liceo, è anche penalizzante. Ancor più penalizzante è la mancanza di un riconoscimento di questa nuova patologia a livello sanitario. Le autorità conoscono l’esistenza di questi casi, ma non esiste un riconoscimento ufficiale sulle persone affette dalla nuova malattia.
“Per farci riconoscere questa patologia ci siamo rivolti a un professionista privato che, per fortuna, ha messo per iscritto quali sono i nostri problemi di salute. Però per andare avanti più sereni ci vorrebbe un riconoscimento dalla sanità pubblica: ‘Affetto da Long Covid’. Questa potrebbe essere l’unica strada per essere capiti nella società. Invece sebbene il nostro percorso sia a tutti gli effetti tracciato ed evidente, manca ancora questo nome e la vita è davvero faticosa”.
A scuola i ragazzi spesso si sentono dire ‘non hai niente’, o ‘vedi di guarire’ e questo li mortifica. I genitori si ritrovano a tirare su il morale a questi giovani poiché la Pubblica Istruzione non ha ancora istituito alcun protocollo in tal senso e la loro certificazione, essendo privata, non ha il valore che merita.
“Ma in emergenza lo Smart Working e la Dad andavano bene: perché allora non riconoscere oggi la patologia? È pur sempre una situazione nuova che riguarda la salute”. All’inizio per il Long Covid venivano seguiti i pazienti che erano stati ospedalizzati: oggi, dopo due anni, i centri che seguono chi ha avuto il virus a casa sono pochi in confronto alla richiesta e le persone sono costrette ad arrangiarsi.
Nella famiglia Barbieri, dove la parola ‘vergogna’ non trova posto, da subito è stato annunciato il cambiamento, anche a scuola. Si è avvisato il corpo docenti dei frequenti ‘vuoti’ e blackout: conosco l’argomento, ma mi manca la parola. Così sono state proposte delle ‘mappe concettuali’ per agevolare i ragazzi, che tuttavia sono poco efficaci. Occorre che le istituzioni pongano attenzione a questo disagio, predisponendo piani didattici personalizzati per criticità temporanee, per un bisogno educativo speciale momentaneo. Spesso i ragazzi non riescono ad offrire una prestazione convincente a causa degli strascichi da Covid, ma ciò non significa che non abbiano studiato. Eppure sono sempre loro, gli stessi studenti che nel 2019 erano a quel banco ed erano chiaramente diversi. Vanno capiti.
“Per noi oggi è irricevibile sentirsi dire ‘non hai niente’ oppure ‘non hai studiato’, come non accettiamo lo scetticismo”. Comprensione e riconoscimento, sono questi i cardini su cui si fonda l’accoglimento del Long Covid. Mamma Francesca, non come una chioccia, ma da madre, chiede che i ragazzi possano vivere serenamente l’ambiente scuola, senza sentirsi inadeguati perché non hanno colpa di come stanno oggi. Le diagnosi ci sono, stilate da professionisti, ma la scuola purtroppo sembra inadeguata: “Tutti sono adatti ad andare a scuola, perché scuola è inclusione, ma per noi oggi no”.






