Attualità - 19 novembre 2022, 09:30

La comunicazione come strumento di relazione

Spesso si dà per scontato che comunicare sia qualcosa di automatico e innato dentro di noi. Lo facciamo da sempre, lo utilizziamo per sempre. Ma siamo così capaci a farci capire? O a capire l'altro?

La comunicazione come strumento di relazione

Alcuni studiosi della scuola di Palo Alto negli anni '60 si erano riuniti per studiare proprio questo processo, riordinarlo, e offrire uno schema preciso di come si dovrebbe comunicare in modo utile. Più che assiomi, oggi, vorrei riflettere su alcuni aspetti, più interni, che riguardano ciascuno di noi da vicino nel momento in cui comunichiamo con qualcuno. 

Cosa importante è fare attenzione a quanto, nel portare la nostra opinione, il nostro sentire, vediamo l'altro e quello che a sua volta sente o percepisce. In altre parole, dobbiamo fare attenzione a portare avanti un atteggiamento empatico. Sembra molto semplice ma è difficile quando qualcosa ci preme (o ci dà fastidio, ci riguarda da vicino), tollerare la frustrazione dell'incomprensione e del conflitto, e stare attenti al punto di vista dell'altra persona.

Altra cosa  facile alle volte, è usare un modo concitato o simil arrabbiato per dire qualcosa che in realtà non prevede rabbia, ma se mai tristezza, dispiacere, delusione. Spesso rischiamo di confondere, nell'esprimerci, il dispiacere (ad esempio per qualcosa che l'altra persona ci ha causato), con la rabbia. Certo che siamo anche arrabbiati in quel momento, ma arrabbiati perché delusi. E quindi tristi, in qualche modo, e forse più soli di prima. Prima di tutto è bene quindi capire il punto vero di quello che sentiamo, dare un nome preciso all'emozione di quel momento. E il modo fa tanto, spesso infatti, la maggior parte del messaggio che passa è influenzata dal modo che viene usato per produrlo. Se quindi ci rivolgiamo con rabbia, valutiamo se sia davvero quello il sentimento che vogliamo comunicare, perché rischieremo di ottenere una chiusura o una difesa dalla controparte, e quindi, una non comunicazione.

Un' altra possibilità quando si comunica è, viceversa, rischiare di non dire cosa si prova davvero, se lo abbiamo chiaro dentro, per paura di ferire l'altro. Attenzione anche a questo. Alle volte è scomodo, è vero, alle volte è portatore di incomprensioni, quello che proviamo. Ma dire alla persona che è con noi cosa si pensa, vuole dire essere veri e quindi avvicinarsi. Sebbene sia la cosa più difficile alle volte,  penso sia bene e soprattutto la cosa più utile, portare sé stessi con quello che si pensa (prima è quindi necessario fare chiarezza dentro in modo da capirlo con precisione), e poi portare quello che abbiamo dentro, così come è, con un modo che chiaramente tenga conto dell'altra persona, ma d'altra parte con una certa libertà. 

Chi abbiamo di fronte a quel punto potrà scegliere di tenerci vicino, cioè di dare spiegazioni, fare considerazioni, riflettere insieme a noi. Oppure potrà scegliere di non darci peso o alle volte svalutare un po' quello che portiamo, e "voltarsi" emotivamente dall'altra parte. Anche per noi sarà fondamentale capire come reagirà l'altro, quale direzione di queste prenderà. Così da poter, a nostra volta, avendo messo sul piatto tutta la nostra verità, riflettere se ci teniamo ad avere quella persona vicino o meno. 

In ogni caso, non usare strategie e parlarsi chiaramente, senza prove o tranelli, attese o mezze verità, penso sia l'unico strumento che abbiamo per creare delle relazioni vere, che ci riempiano veramente e che non ci lascino soli. 

Cristina Fregara

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