Riceviamo e pubblichiamo la lettera sfogo di una nostra lettrice che mette in luce le carenze della sanità genovese.
"Questa è una di quelle storie di ordinaria follia della sanità della nostra città, come se ne sentono e leggono molte da tempo, una di quelle che però si pensa sempre debbano capitare agli altri. Proviamo però per un attimo a metterci nei panni di questi altri.
Mettiamoci nei panni di una ragazza di 16 anni che negli ultimi giorni di questa estate che sembra non finire mai, invece di pensare all'imminente inizio delle scuole, si ritrova ad essere sballottata tra medici, pronto soccorso affollati e disservizi, a stretto contatto con un personale sanitario costretto a lavorare in condizioni estreme, a causa di carenze di personale, in strutture ospedaliere sempre più prossime al collasso.
L. è la mamma combattiva di M., un'adolescente sempre sorridente e serena, che sta sperimentando sulla propria pelle un vero e proprio calvario, che racconta con rabbia e disperazione questa brutta pagina di malasanità genovese.
"Tutto inizia giovedì 31 agosto quando mia figlia si sente male sul pullman. Dopo averle misurato la temperatura scopro che ha la febbre oltre i 39 gradi, accompagnata da tosse, mal di testa ed episodi di vomito. Credevo si trattasse di una brutta influenza, ma dopo una nottata in bianco il venerdì mattina decido di contattare il medico di famiglia, che viene a casa a visitarla", racconta L.
Il responso del medico è chiaro: scarlattina. A questa segue un'iniezione per alleviare il vomito e la prescrizione di un antibiotico. Nonostante la somministrazione dei farmaci la febbre non scende, anzi la temperatura sfiora i quaranta gradi. E qui inizia il calvario: "Nel tardo pomeriggio il medico mi consiglia di chiamare l’ambulanza che ci porta all’ospedale di Sestri Ponente. Quando si arriva al pronto soccorso, spaventati e preoccupati, ci si augura sempre di essere trattati con umanità, soprattutto nel caso di una ragazzina di 16 anni, invece veniamo accolti al triage con una frase che ci lascia di stucco!".
'Noi però alle 20 chiudiamo': ecco cosa si sentono dire. Nonostante l'orario di chiusura incomba, M. viene ricevuta dall’otorino che, dubbioso della diagnosi di scarlattina, rimanda la ragazza al punto di primo soccorso dove le viene misurata la febbre, che risulta ora essere scesa ad una temperatura di 37.3 gradi. Il tempo stringe, ad M. vengono fatti alcuni esami di laboratorio che, stranamente vista lentezza che spesso si riscontra nel pronto soccorso, arrivano subito. Segue una flebo fatta in fretta e furia perché il tempo scorre veloce. Sono le 19:45 e alla famiglia viene consigliato di recarsi al Pronto Soccorso dell'Ospedale Scassi di Sampierdarena, per continuare con le flebo ed eventuali altri controlli.
"Insisto perché misurino nuovamente la temperatura e a tale richiesta mi invitano a riprovarla a casa. Insisto ancora, inalberandomi, e questa volta mi ascoltano. A questo punto risulta una temperatura molto più alta, di ben 39.4 gradi. Mia figlia viene mandata a casa con la febbre alta, ma la reale temperatura non viene segnata sul foglio di dimissione, perché già stampato nel momento in cui la misurazione segnalava 37.3 gradi".
L'odissea continua nella notte: L. decide di rivolgersi al più vicino ospedale di Voltri, effettuando una telefonata per avvertire dell'arrivo di M., accompagnata dal papà S. Qui vengono rimandati a casa perché, "in caso di scarlattina, il Pronto Soccorso non può prendersi carico di una paziente infetta, onde evitare la proliferazione del virus". continua L.
"Voglio precisare che nessun medico di Voltri ha controllato se effettivamente mia figlia fosse affetta o meno da scarlattina". Ma non è finita: "In maniera aggressiva mi viene consigliato di tornare a casa e di chiamare la guardia medica",continua L.
Passa la notte, tra difficoltà, stanchezza e sofferenze e la mattina successiva L. si rivolge alla guardia medica, attendendo al telefono per ben venti minuti: "Il medico che mi risponde precisa subito che visto lo stato di salute della ragazza (febbre intanto salita alla pericolosa temperatura di 40.5 gradi, con vomito persistente) avrebbero inviato direttamente un’ambulanza".
Altro giro in ambulanza, altro ospedale, questa volta il Galliera: "Arriviamo al Pronto Soccorso verso mezzogiorno e mezza di sabato 2 settembre e a mia figlia vengono presi subito i parametri. Confermano febbre alta e vengono fatti subito degli esami del sangue".
Qui la diagnosi è diversa: non si tratta di scarlattina, ma di una brutta infezione. Intanto si fanno le 17 e M. e la mamma vengono fatte accomodare (si fa per dire!) in un'affollata sala d’attesa dove viene avviata una prima flebo di antibiotico, in attesa di effettuare altri esami, tra cui un'ecografia. Sembra l'inizio di un normale percorso all'interno di un grande ospedale cittadino e invece arriviamo fino a martedì 5 settembre. Da sabato M. trascorre le ore su una barella del Pronto Soccorso, perché i letti non ci sono, tra persone che soffrono e si lamentano, tossicodipendenti e ubriachi in evidente stato di alterazione, assistendo ad un continuo viavai di ambulanze, senza la possibilità di riposare, esposta ad ogni tipo di virus.
M. cerca di farsi forza, rallegrata per qualche ora dalla presenza del fratello maggiore, che trascorre con lei una notte, ma L. è arrabbiata e avvilita, a tal punto che pensa anche di rivolgersi ai Carabinieri: "In questi giorni deliranti sono stata testimone delle disastrose conseguenze dei tagli alla sanità pubblica che rendono gli ospedali luoghi di dolore, come se già non lo fossero abbastanza. I Pronto Soccorso soprattutto ormai sono alla deriva più totale".
L. però non vuole intraprendere una crociata contro il personale sanitario anche se, in alcuni casi non si può dire che si sia comportato nel più esemplare dei modi: "Voglio che la mia testimonianza possa essere utile a far luce sulle condizioni di lavoro di medici e infermieri che, spesso stremati dai turni massacranti che li vedono esercitare una difficile e nobile professione in regimi di carenza di organico, non riescono a dare il giusto supporto ai pazienti. Voglio inoltre dare voce a mia figlia, un'adolescente che per più di tre giorni è rimasta su una barella di un Pronto Soccorso per mancanza di letti. Io vivo a Sestri Ponente e posso confermare che proprio il ponente genovese, di fatto, ormai non ha più un Pronto Soccorso a disposizione! Quello più grande e presumibilmente più affidabile a cui rivolgersi è quello dell'Ospedale Scassi, ma anche lì mancano i letti e il personale è stremato".
All'alba della serata di martedì 5 settembre M. è stata finalmente inviata nel reparto di osservazione breve dove il personale l’ha accolta con gentilezza e professionalità, nell'attesa di risolvere questo problema di salute in fretta e di riprendersi al più presto".






