Inizia oggi l’appuntamento con ‘Dal seme al piatto’, una rubrica di approfondimento legata alle antiche varietà coltivate nel genovesato e nata dalla collaborazione tra il contadino genovese Marco Loconte e la classe 3B dell’Istituto Bergese, EV percorso di Esperto in valorizzazione dei prodotti enogastronomici del territorio ligure avviato in via sperimentale con camera di commercio di Genova e il marchio Liguria Gourmet.
Ogni mese la scoperta di un’antica varietà con ricette della tradizione e spunti di riflessione sulle coltivazioni storiche genovesi accompagneranno i lettori a scoprire la storia dell’agricoltura all’ombra della Lanterna.
Che sia panissa, farinata o ceci in zemin, è impossibile non pensare al cece come elemento tra i più apprezzati e impiegati nell’alimentazione ligure.
Questo piccolo seme, umile, versatile e resistente, ha una storia millenaria capace di attraversare secoli e civiltà, radicandosi nella cucina genovese e ligure.
Oggi, grazie anche all’attento lavoro di riscoperta dei sapori autentici, il cece torna protagonista grazie al suo bagaglio di cultura, tradizione e agricoltura resiliente.
Il viaggio del cece comincia nel Neolitico preceramico, attorno all’8400 a.C., nelle terre oggi divise tra Siria e Turchia. Il cece coltivato è uno dei primi legumi addomesticati dall’uomo e le sue qualità lo hanno reso da subito ideale per le civiltà sedentarie.
Dall’Anatolia, il cece prende il largo, approda nel Mediterraneo e si radica tra i popoli della Mezzaluna Fertile, dell’Egitto faraonico, della Grecia classica e infine di Roma. Il poeta latino Orazio lo cita come spuntino fritto, mentre il nome stesso di Cicerone sembra derivare da una verruca “a forma di cece” di un suo antenato.
In Liguria, il cece arriva probabilmente in tempi remoti, sospinto dagli scambi via mare. Ma è nel Medioevo che si fa spazio nella vita quotidiana grazie ai traffici marittimi della Repubblica di Genova: farine, spezie, legumi e saperi culinari circolano lungo le rotte tra Levante e Ponente, e i ceci trovano qui una nuova patria.
In apparenza la Liguria, con i suoi pendii e i pochi spazi pianeggianti, non è terra da legumi. Ma proprio per questo il cece, rustico e frugale, vi trova un suo spazio. Non teme i suoli magri né l’aridità: si semina a fine inverno, cresce senza irrigazione e restituisce al terreno fertilità grazie alla simbiosi con i batteri azotofissatori.
Tra le varietà locali spicca il cece rosso di Orco Feglino, una rarità della provincia di Savona. Piccolo, rosato, con una storia che affonda nella memoria orale dei contadini, oggi è tutelato da Slow Food come reliquia agricola.
Il vero trionfo del cece in Liguria è in cucina. La farinata è la regina grazie all’amalgamarsi di farina di ceci, acqua, sale e olio extravergine. Leggenda vuole che sia nata per caso nel 1284, dopo la battaglia navale della Meloria, quando l’acqua di mare mescolò in stiva farina e olio. I marinai genovesi lasciarono asciugare al sole quella poltiglia e ne ricavarono una focaccia inaspettatamente buona. Battezzata per scherno “l’oro di Pisa”, la farinata è oggi un’icona del cibo da strada, che si lega imprescindibilmente alle sciamadde.
Accanto alla farinata, ecco la panissa: una sorta di polenta fredda di farina di ceci, da gustare al naturale o fritta in listarelle croccanti, dette panissette, servite in cartoccio, nei panini o come stuzzichino da friggitoria. E poi il zemin di ceci, piatto invernale, denso e saporito, in cui i ceci si stufano con bietole e pomodoro, in una tradizione che richiama influssi arabi e portuali.
Negli ultimi decenni, il cece ha vissuto una stagione difficile he lo ha visto finire ai margini, soppiantato, come accaduto ad altri legumi, dalle proteine animali. Oggi, però, il consumo di ceci è in crescita, anche per motivi ambientali: coltivarli arricchisce il suolo, riduce l’uso di concimi e acqua, aiuta la biodiversità. In un mondo sempre più attento alla sostenibilità, il cece torna a essere una risposta concreta, un seme antico per un’agricoltura nuova.
LA RICETTA
Questa la ricetta della Zuppa di Ceci del Ratto
“Prendete quella quantità di ceci che volete e sfrofinateli con sale macinato in acqua tiepida: mettete quindi la pentola al fuoco con acqua sufficiente, nella quale, quando sarà tiepida, gettare i ceci con sale e li farete bollire per due ore e mezzo; vi aggiungerete in seguito molto olio, funghi secchi, salvia, sedano e aglio ben tritolai, qualche pomidoro, oppure conserva disciolta, e qualche cardo ma nel garzuolo, e farete cuocere ancora una mezz’ora. Si mangiano in zuppa con pane o senza”.






