A Genova, come nel resto della Liguria, il carcere assomiglia sempre di più a uno specchio opaco in cui si riflettono tensioni, provenienze, traiettorie di vita interrotte: popolato da giovani, spesso stranieri, sempre più soli. Lo scrive il Garante regionale dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Doriano Saracino, nella sua prima relazione biennale analizzate e approvata oggi dal consiglio regionale della Liguria. Un documento che fotografa la realtà del sistema penitenziario ligure tra il 2023 e il 2024: sei istituti, oltre 1.300 persone detenute, più della metà con cittadinanza non italiana.
“Emerge un quadro di peculiarità della regione, con un livello di sovraffollamento medio alto ed una elevata quota di stranieri, diffusa in modo omogeneo in tutti gli istituti - scrive Saracino - la Liguria è sostanzialmente diversa anche da regioni con numeri assoluti simili”.
I numeri dicono che a Marassi, il carcere più grande della Liguria, ci sono 686 detenuti per una capienza regolamentare di 535. A Pontedecimo, dove è ospitata anche la sezione femminile, l’indice di sovraffollamento supera il 160%. A Sanremo, invece, il 62% dei detenuti è straniero. Nonostante ciò, figure essenziali come i mediatori culturali sono presenti a singhiozzo, quando non del tutto assenti. Nel 2023 un bando regionale ha assegnato un mediatore arabofono a Chiavari, dove i detenuti nordafricani erano 15, e nessuno a Marassi, dove erano oltre 150. A Imperia, un mediatore con lingue slave, pur in assenza di detenuti di quell’area.
“Il ruolo di tali mediatori è fondamentale anche nell’ambito della sanità - si legge ancora nel documento - eppure, pur essendo espressamente previsti dalle linee guida ministeriali, non sono ricompresi nel personale Asl che opera presso gli istituti penitenziari liguri”.
Nel complesso, la fotografia del sistema penitenziario ligure al 31 dicembre 2024 parla chiaro: le persone detenute erano 1.334, di cui ben 719 di cittadinanza straniera, pari al 53,9% del totale. L’indice medio di sovraffollamento si attestava al 126,9%, con punte significative a Genova Pontedecimo (163,5%) e Marassi (125,8%). La Liguria è la terza regione italiana per incidenza di detenuti stranieri, dietro solo a Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta.
I dati anagrafici confermano una popolazione carceraria giovane: il 21,3% dei detenuti ha meno di trent’anni. Per la sola componente straniera, l’indice di vecchiaia (che misura il rapporto tra over 60 e under 25) è tra i più bassi d’Italia, pari a 18,8%. Un segnale chiaro della presenza giovanile molto marcata, soprattutto dal Nord Africa. Le lingue più parlate tra i detenuti sono arabo, francese, spagnolo, rumeno. Eppure, nel 2024, erano presenti mediatori linguistici per un massimo di 64 ore mensili ciascuno, e non sempre con competenze linguistiche adeguate alla realtà degli istituti.
Ci sono poi i numeri che restano fuori dai riflettori: a fine 2024, in Liguria, circa 350 persone avevano un fine pena inferiore ai 18 mesi. Teoricamente, avrebbero diritto alla detenzione domiciliare. Ma la misura, prevista dalla legge 199/2010, resta poco utilizzata. Le cause? Mancanza di un domicilio idoneo, reati ostativi, ritardi burocratici. E così, anche chi potrebbe uscire resta dentro, in celle già affollate, in istituti che faticano a gestire numeri e storie.
La relazione del Garante si sofferma anche sulla durata delle pene: crescono gli ergastolani (da 11 a 16 in un anno), aumentano i condannati a pene superiori ai 20 anni: Marassi e Sanremo accolgono la parte più consistente di questi detenuti. Al tempo stesso, quasi un terzo delle persone in carcere sconta pene inferiori ai due anni. Una forbice che rende difficile ogni programmazione: tra chi entra per poche settimane e chi resta per decenni, il carcere si trasforma in un contenitore incapace di adattarsi ai bisogni reali.
“Per queste persone con pene brevi, la struttura carceraria non è in grado di predisporre alcun progetto di rieducazione. A volte il tempo stesso di valutazione supera la durata della detenzione prevista”, scrive Saracino, citando anche il Garante nazionale.
È in questo spazio che la figura del Garante cerca di inserirsi. Non per offrire soluzioni immediate, ma per accendere una luce. Sui vuoti normativi, sull’assenza di rete, sulla necessità di costruire un dialogo vero tra carcere, territorio, servizi. La Liguria, con la sua posizione geografica di passaggio e di confine, si conferma un laboratorio complesso.