Attualità - 25 giugno 2025, 13:33

“Non è un favore, è un diritto”: la sindaca Salis registra i primi figli di due mamme

Cerimonia storica a Palazzo Tursi, dove sono stati ufficializzati i primi riconoscimenti di figli nati da coppie di donne, applicando la recente sentenza della Corte Costituzionale sulla doppia maternità. “È un atto dovuto, non una concessione: i diritti non si negoziano”. Emozione tra le famiglie presenti: “Oggi finalmente siamo riconosciute per ciò che siamo: madri”

Non stiamo facendo un favore a nessuno, è un atto dovuto”: così la sindaca di Genova Silvia Salis durante la cerimonia di registrazione dei primi riconoscimenti ufficiali di figli nati da coppie di donne, svoltasi questa mattina nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi. “Ci sono delle urgenze in città, e molto gravi, ma questo è un atto di civiltà: bisogna ricominciare a parlare di diritti, che non sono concessioni”. La decisione dell’amministrazione rende quindi concreta la sentenza della Corte Costituzionale, la numero 68/2025, che ha dichiarato illegittimo il divieto per la madre non biologica di riconoscere il figlio fin dalla nascita. Una pronuncia che ha ribaltato l’orientamento restrittivo seguito da molti Comuni negli ultimi anni e ha ristabilito il principio chiave per cui a prevalere deve essere l’interesse del minore.

Oggi semplicemente applichiamo una sentenza alla Corte Costituzionale, non stiamo facendo un favore a nessuno - continua a spiegare Salis -. Oggi facciamo quello che deve fare un'amministrazione comunale nel 2025: io non mi voglio occupare di quello che è stato il passato, voglio occuparmi del presente e di quello che sarà il futuro di questa città. Finché io sarò la sindaca sarà una città che non farà politica sulla pelle dei bambini e dell'amore che le famiglie provano per per i propri bambini. La giunta che rappresenta questa città è una giunta progressista, una giunta che vive nel 2025 per cui che si uniforma una sentenza della Corte costituzionale”. 

La posizione della prima cittadina in merito è molto chiara, ed è visibile l’emozione negli occhi delle mamme presenti in sala e che da anni stanno aspettando di veder riconosciuti i propri diritti: “I feedback ricevuti in merito a questa decisione sono stati molto positivi da parte di tutte quelle persone che capiscono che non è una lotta degli uni contro gli altri, ma è una questione di uniformarsi a una sentenza della Corte Costituzionale, ed è andare incontro quello che è la società contemporanea. Purtroppo si fa sempre del grande populismo su questo tema e si cerca anche qui di creare delle tifoserie degli schieramenti. Io non permetto di fare politica sulla pelle delle bambine e dei bambini questo deve essere al centro della nostra operazione. Io sono una madre per cui non non credo che il mio modello debba essere il modello che debba indicare la strada. Le madri sono madri, sono tutte madri. Prima di tutto, vanno tutelati i diritti delle bambine e dei bambini va messo al centro il progetto di vita, il progetto d'amore che riguarda i bambini e le bambine”. 

Il percorso, fino a oggi, per queste famiglie è stato tutt’altro che semplice: “Abbiamo affrontato questo percorso così rapidamente perché, essendo io la madre biologica di Pietro, ero l’unica ad avere la responsabilità legale su di lui - spiega Giorgia, una delle mamme presenti -. Se mi fosse successo qualcosa, l’altra mamma non avrebbe avuto alcun diritto, nemmeno per un minuto. Era quindi necessario fare questo percorso, e farlo in fretta. Adesso, almeno, questo problema non si pone più: da oggi in poi, grazie a questo passaggio, siamo finalmente tranquille. Essere qui è un momento meraviglioso, perché oggi Anna passa dall’essere madre adottiva a essere riconosciuta madre dalla nascita. Abbiamo affrontato un lungo e complesso percorso di adozione che ci ha costrette a confrontarci con i servizi sociali, partecipare a molti incontri, superare tante difficoltà. Alla fine siamo arrivate davanti a un giudice, che ci ha detto: “Va bene così”. Ma non sarebbe dovuta andare così: avrebbe dovuto essere tutto chiaro fin dall’inizio. E invece abbiamo dovuto passare attraverso tutto questo. Siamo felici che almeno ora, grazie a questa sentenza, altre mamme non dovranno più affrontare questo stesso percorso. È un giorno importante per noi, ma anche per tutte le altre famiglie presenti e future”.

Alla cerimonia l’assessore ai Servizi demografici e Diritto di cittadinanza Emilio Robotti e Ilaria Gibelli, avvocata di Rete Lenford e attivista Lgbtqia+. E proprio la coppia formata da Gibelli e dalla compagna è stata la prima a vedere la registrazione ufficializzata, tra gli applausi e la commozione della sala. “Oggi qui ci sono undici famiglie - racconta -, ma a Genova in tutto sono almeno una cinquantina. Questo numero andrà a crescere, perché quando i diritti sono legittimati le persone hanno anche il coraggio di portare avanti loro vite liberamente”. 

Non manca l’attacco alla precedente amministrazione, che non ha riconosciuto questo diritto alle coppie formate da due donne: “È nello stile di Bucci aver definito offensivo e divisivo questi riconoscimenti: io penso che la città che deve sentirsi offesa è la città che si trova rappresentata da queste persone che portano la non laicità all'interno delle istituzioni. Chi di noi decise di dare appello e di andare in Cassazione ha dovuto anche pagare le spese al Comune. Due mamme devono ancora spiegare di essere genitori, ma oggi però possiamo prenderci una pausa e dire grazie. Grazie a tutte le mamme che hanno avuto il coraggio di affrontare questo percorso. È grazie a loro che oggi, tutte le figlie e i figli che nasceranno in Italia potranno, si spera, evitare di dover giustificare la propria maternità. Come abbiamo sempre detto, qui non si tratta dell’interesse privato di un singolo genitore: è un interesse collettivo. È l’interesse della società intera che tutte le persone che vivono in questa città siano riconosciute con gli stessi diritti e gli stessi valori. Tutte e tutti dobbiamo poter usufruire della cosa pubblica, dei servizi, delle tutele. E adesso, anche noi abbiamo finalmente il diritto di essere riconosciute come tutte le altre persone”.

Finalmente la Corte Costituzionale ha fatto chiarezza su una questione che, fino ad oggi, poteva essere affrontata in due modi: da un lato, non rifiutando la dichiarazione della madre intenzionale; dall’altro, accogliendola pienamente - spiega Emilio Robotti, assessore ai Servizi demografici e Diritto di cittadinanza -. Diverse amministrazioni hanno fatto scelte differenti e, in particolare, quella genovese – come sappiamo – ha ingaggiato una vera e propria battaglia giudiziaria. C’è da dire che la Corte Costituzionale ha dissipato ogni dubbio. Ma, allo stesso tempo, quello che adesso possiamo fare – e che farà la sindaca in qualità di ufficiale di stato civile, con effetti anche per tutte le altre mamme – è qualcosa che era già perfettamente possibile, se solo si fosse guardata la normativa con un’interpretazione costituzionalmente orientata. È quello che la Corte ha ribadito, ma che sosteneva anche la dottrina più autorevole, così come alcune procure: l’interesse del minore deve prevalere. E in questo caso, non c’erano ostacoli normativi. Ostacoli che, invece, esistono in altri contesti, come per le famiglie omogenitoriali maschili, dove – per motivi biologici – è necessario ricorrere alla maternità surrogata, che oggi è vietata dal nostro ordinamento".

Le scelte "che facciamo oggi si potevano fare anche prima. Alcune amministrazioni le hanno già fatte, anche in territori vicini, come Savona, con una visione simile. Ed era una scelta importante, proprio per dare una risposta a quello che, ripeto, è l’interesse del minore. Poi è vero: fare una cosa del genere significa anche vedere la felicità di queste mamme, che ora hanno finalmente il diritto di essere riconosciute come tali, come genitori a pieno titolo dei propri figli. Ma l’interesse del minore è un principio assolutamente fondamentale, saldo sia nel nostro ordinamento che a livello internazionale. Dunque, fare scelte diverse – che qualcuno ha presentato come scelte di prudenza – io credo che in molti casi siano state, in realtà, scelte prettamente politiche”, conclude. 

Chiara Orsetti

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