Continua con questo lunedì, e andrà avanti per tutti i lunedì successivi, un servizio seriale de ‘La Voce di Genova’ dedicato alle Botteghe Storiche e ai Locali di Tradizione della nostra città. Vogliamo raccontare, di volta in volta, quelle che sono le perle del nostro tessuto commerciale, e che ci fanno davvero sentire orgogliosi di appartenere a questa città. Buon viaggio insieme a noi!
A volte i negozi sono punti di riferimento per la comunità prima ancora di essere attività commerciali. È il caso della Ferramenta Caffarena di via Chiabrera, in centro storico, guidata da Daniele Rizzo da ormai undici anni. Basta varcare la soglia per riconoscere l’impegno e la passione con cui, insieme a Sara, portano avanti una delle Botteghe Storiche più longeve della città.
“La bottega non è mia, è sempre stata della famiglia Caffarena. Sono subentrato io nel 2013, ma i muri sono ancora di proprietà della famiglia. L’attività, invece, l’ho rilevata. Quando sono andato a fare una visura alla Camera di Commercio ho scoperto che era stata registrata a nome dei Caffarena intorno al 1904 o 1905, ma in realtà la storia è più lunga. Prima di loro, nel locale c’erano i fratelli Canepa, che avevano aperto il negozio già nel 1855 o giù di lì. All’epoca non tutte le attività venivano registrate, quindi non si trova documentazione ufficiale, ma con un po’ di ricerche siamo riusciti a risalire a quegli anni” racconta Rizzo.

Da artigiano qual è, con alle spalle una falegnameria in centro e quarant’anni di esperienza sulle mani, Daniele ha scelto di mettersi in gioco in un momento non facile per i negozi di vicinato: “È stata una scommessa, più che rilevare un’attività, la vera sfida è stata il momento storico in cui ho scelto di farlo. Queste realtà stanno chiudendo una dopo l’altra. Ormai sono rimasti solo quelli che hanno locali di proprietà, o chi ha ereditato dai genitori e può contare su una solidità costruita nel tempo. Tutti gli altri hanno abbassato la saracinesca. Io ho scelto di resistere, anche se non è facile. Mi piacciono le sfide, non mi spaventa il lavoro, ma è un contesto durissimo” ammette.
A fianco a lui lavora Sara, con cui il titolare divide ogni mansione: pulizia della strada, gestione del magazzino, ordini, contabilità, relazione con i clienti. Tutto. “In queste realtà piccole non ci sono compiti fissi. Si fa tutto, punto. Io mi occupo un po’ di più degli acquisti perché ho più esperienza tecnica, ma il lavoro è condiviso”.
In un’epoca in cui tutto si compra online e si sostituisce più che riparare, Daniele racconta un modello di lavoro fondato sulla presenza costante, sulla fiducia e sull’ascolto: “Non credo ci sia un vero segreto per rimanere aperti. Forse è solo che noi ci siamo sempre. Siamo puntuali, affidabili e presenti. Bisogna rimanere concentrati, ascoltare il territorio, cercare di soddisfare i bisogni della gente. Una volta lavoravi solo con la ferramenta, oggi devi coprire più categorie: ferramenta, casalinghi, giardinaggio. Ogni stagione ha il suo settore forte. Se riesci a coprire tutto, puoi restare a galla. Bisogna essere sempre lucidi, aggiornati. E non è sempre facile”.

Negli ultimi anni, Daniele ha vissuto sulla sua pelle i cambiamenti del mercato. Il calo delle vendite, l’affermazione dei grandi magazzini, la trasformazione del quartiere in una zona sempre più turistica: “Oggi le persone pensano subito al supermercato o all’e-commerce. Qui vengono solo per l’urgenza. Chi ha bisogno subito di una presa, di una spina, di una chiave da duplicare. La spesa grossa non si fa più nei negozi di quartiere. È cambiato il consumo, è cambiato tutto. Una volta uno si costruiva una carriera sull’artigianato, oggi è tutto produzione industriale, tutto da buttare e ricomprare”.
Eppure c’è chi continua a venire da lui, anche da fuori Genova, per chiedere un consiglio, cercare un pezzo raro, fidarsi della competenza: “Chi entra sa che non lo fregheremo. Se vediamo che sta per comprare la cosa sbagliata, glielo diciamo. Se non abbiamo qualcosa, lo mandiamo da un collega. È un servizio, non solo vendita. Molti clienti tornano proprio per questo. Sanno che possono fidarsi”.
Poi c’è stata la pandemia. E, paradossalmente, per Daniele è stato un momento di grande lavoro: “Il Covid, a livello lavorativo, è stato un periodo di grande lavoro. Tutto era chiuso, ma noi potevamo restare aperti. In centro storico c’eravamo solo noi e un paio di altri negozi. Avevo la fila da San Lorenzo fino qui. La gente era a casa, faceva lavoretti, pitturava, sistemava, cucinava. Lavoravo tanto, ma ho scelto comunque di non esagerare: all’una chiudevo e andavo a casa. Avevo anche un ragazzo che mi dava una mano con un figlio piccolo, gli dissi di restare con la famiglia. È stato un momento strano”. Ma, appena i grandi magazzini hanno riaperto, la situazione è cambiata di nuovo: “Quel giorno ho visto chiaramente che il mercato non era più per negozi come questo. C’è stato un calo netto. Nonostante tutti i discorsi dei politici sul salvaguardare il commercio di prossimità, poi nei fatti nessuno fa niente”. 
Il suo negozio, però, è anche presidio sociale. Lo si capisce quando racconta del quartiere, del lento ritorno della vita: “Fino a cinque anni fa, in fondo a via dei Giustiniani, era tutto chiuso. Uno squallore. Poi sono arrivati alcuni negozi di design, piccole attività. Non fanno grandi numeri, ma le vetrine accese, pulite, danno un altro respiro alla zona. Sembrava abbandonata, ora si respira un po’ di vitalità”.
Daniele è realista, ma non rassegnato. Parla con onestà, senza fronzoli, anche della sua stanchezza: “Ho cinquantasei anni, lavoro da quando ne ho sedici. Ho dato tutto, e non so per quanto andrò avanti. Se la situazione dovesse diventare insostenibile, chiudo e vado a fare il manutentore. Il mestiere ce l’ho, gli amici artigiani anche. Ma mi dispiacerebbe per il negozio. È un posto con una storia vera”.
Una storia fatta di guerre e bombe, anche. Come quella volta, racconta, che durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale i proprietari scapparono lasciando la serranda alzata per la paura. Quando tornarono, nessuno aveva toccato nulla: “Questo negozio è stato un punto di riferimento. Un tempo, in centro, ferramenta significava Caffarena. Oggi ci sono realtà più grandi, più visibili. Ma noi abbiamo pezzi introvabili. Lavoriamo tanto con gli artigiani che cercano articoli particolari, che magari solo noi abbiamo”.
Il futuro? È incerto, ma non impossibile. “Secondo me un giovane, se ha voglia, qui può ancora farcela. Deve però saper dare dei servizi, uscire dal negozio, fare riparazioni, installazioni. Non basta più aspettare dietro il banco. Una volta, così, ti compravi una casa ogni due anni. Oggi, se non hai competenze, non arrivi neppure a fine mese. Io riesco a dare un valore aggiunto perché ho fatto l’artigiano per anni. Se uno viene e mi dice che sta montando un ventilatore a parete, io so di cosa parla, lo posso consigliare bene. E questo fa, ancora, la differenza”.













