Botteghe storiche e locali di tradizione - 04 agosto 2025, 08:00

Botteghe storiche e Locali di tradizione - ‘Casa del Bottone’, dal 1948 una parete di memoria e ricordi

Settantamila pezzi in negozio e un numero imprecisato in magazzino raccontano tre generazioni tra guerra, moda e passione artigiana: “Qui c’è la storia del gusto e della manifattura italiana”

Continua con questo lunedì, e andrà avanti per tutti i lunedì successivi, un servizio seriale de ‘La Voce di Genova’ dedicato alle Botteghe Storiche e ai Locali di Tradizione della nostra città. Vogliamo raccontare, di volta in volta, quelle che sono le perle del nostro tessuto commerciale, e che ci fanno davvero sentire orgogliosi di appartenere a questa città. Buon viaggio insieme a noi!

Alla domanda “Ma quanti ne avete in negozio?”, Fabrizio Pianetti, titolare della Casa del Bottone di Genova, in via Barabino, all’angolo con via Cipro, risponde con un sorriso: “Saranno settantamila solo quelli in negozio, esclusi quelli in magazzino… sono incontabili”. E per metterli tutti insieme, in quello che molti turisti chiamano ‘The Wall’, il muro, c’è voluta una vita intera. Anzi, più di una.

Ufficialmente la Casa del Bottone ha aperto nel 1948, ma già prima mio padre e mia nonna avevano avviato una bottega in via Fieschi. Erano gli anni della Seconda guerra mondiale. Il primo negozio fu bombardato. Il giorno dopo erano già lì a ripulire. Ma lo ribombardarono ancora. Così decisero di spostarsi: prima in via Luccoli, poi in via Ceccardi, dove siamo rimasti per oltre mezzo secolo. Negli anni Ottanta c’era la fila fuori dal negozio. Anche dieci o dodici persone a lavorare. Mio padre fu uno dei primi a introdurre il numerino. Il martedì era il giorno più affollato, ma non abbiamo mai capito perché. Io, da bambino, stavo lì sotto i portici. Era normale: chi aveva bottega portava i figli con sé. C’erano i giornalai, i fruttivendoli, i negozi di stoffe. Un microcosmo che oggi non esiste più”.

Cinque anni fa, dopo un periodo di chiusura, la riapertura alla Foce: “È cambiata la sede, ma è rimasto tutto il resto. La Casa del Bottone è questa parete piena di scatolette, colori, materiali. Ci sono bottoni dagli anni Trenta a oggi. I giapponesi, quando entrano, la chiamano ‘The Wall’: è una parete che racconta la storia del costume, della moda, del gusto, anche della manifattura italiana. Qui dentro ci sono pezzi che arrivano a costare 60 o 70 euro. Sono bottoni per capi importanti. Non puoi metterli su un maglione qualunque. Devono avere un senso”.

L’eredità è concreta: milioni di bottoni, la maggior parte conservati in magazzino, migliaia solo quelli visibili. “Molti pezzi arrivano dal bottonificio che mio padre aveva in via Galata, e ognuno ha una storia. E anche se è impossibile sapere da dove venga ogni pezzo, i bottoni italiani sono sempre stati riconosciuti come prodotti di qualità. È un mondo che ha avuto la sua dignità industriale, anche se oggi nessuno ci pensa più”.

Col tempo, però, la clientela è cambiata, così come le abitudini di consumo: “Le sartorie sono quasi scomparse: qualcuna sopravvive, ma con ritmi lenti e pochissimi clienti. Oggi vengono soprattutto persone che cuciono per sé: signore di una certa età, appassionati di maglia, che spendono 80 o 100 euro in lana e vogliono concludere il lavoro con un bottone bello, che abbia personalità. Un bottone può rovinare o valorizzare un capo. Anche se costa 5 euro, deve essere quello giusto”.

In negozio si trovano anche cerniere, patch, qualche filo, ma Fabrizio ci tiene a precisare: “Non siamo una merceria. Non lo siamo mai stati. Facciamo solo quello che sappiamo fare bene. E preferiamo non vendere piuttosto che mandare via un cliente con un prodotto che non vale”.

Accanto ai bottoni, c’è anche un lato creativo e affettivo. È il caso di ‘Questione di feeling’, che vende magliette, caschi e gadget di ogni sorta con sopra il ‘Gallinaccio’, il grifone stilizzato con i colori rossoblù diventato marchio registrato e oggi parte della linea ufficiale del Genoa: “L’ho disegnato vent’anni fa, per gioco. Era un simbolo dimenticato. Ci ho messo la faccia, ci ho lavorato sopra. Poi l’ho regalato al Genoa, senza chiedere nulla in cambio. È una cosa di cuore, sono un grande tifoso. Ora sono negozio ufficiale del club. Ma tutto è nato da lì, da un’idea fatta per passione”.

Oggi in negozio lavora un’altra persona oltre a Fabrizio, ma nel periodo natalizio diventano tre o quattro: “A dicembre lavoriamo più con il Genoa che con i bottoni - sorride amaramente - Ma ormai il lavoro è cambiato. I negozi chiudono, gli affitti sono alti”.

Eppure, dentro quelle pareti, passano ancora persone in cerca di qualcosa. A volte per sistemare un cappotto della nonna. A volte solo per vedere. “Negli anni ne sono passati tanti: Gino Bramieri, Angelo dei Ricchi e Poveri, attori francesi, personaggi del mondo del teatro. Una volta tra i clienti c’era anche la sartoria di Berlusconi. Spedivamo bottoni alla Costa Crociere, per le divise. Oggi, molto meno. Ma ogni tanto qualcuno torna. Qualcuno ricorda”.

Fabrizio guarda avanti senza troppe illusioni: “Mio figlio ha dodici anni. Non credo che vorrà fare questo lavoro, e non glielo posso neanche chiedere. Ma se un giorno qualcuno vorrà continuare, il materiale c’è”.
 

Chiara Orsetti

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