Attualità - 08 ottobre 2025, 20:03

“Ci hanno trattati come terroristi”: il racconto di Pietro Queirolo Palmas dopo il sequestro della flottiglia per Gaza

L’attivista genovese: “Ci hanno presi in acque internazionali, picchiati e umiliati. Sentivamo le esplosioni su Gaza dalle celle. Ma lo rifarei: bisogna rompere il blocco illegale”

“Ci hanno trattati come terroristi”: il racconto di Pietro Queirolo Palmas dopo il sequestro della flottiglia per Gaza

Abbiamo subito un trattamento disumano. Gente con il diabete a cui venivano negati i medicinali, persone asmatiche senza la possibilità di usare le fiale. Abbiamo bussato per ore, richiamato i secondini, chiesto solo un trattamento umano. E quel trattamento non ci è mai stato dato”.
Pietro Queirolo Palmas, attivista genovese tornato da pochi giorni dopo essere stato arrestato e detenuto in Israele insieme ai membri della flottiglia per Gaza, intercettata in acque internazionali, torna ancora una volta sui terribili giorni scorsi. Oggi, in piazza Caricamento, ha partecipato al presidio in solidarietà ai 150 attivisti della Thousand Madeleine, sequestrati nelle ultime ore dalle forze israeliane.

Non è il momento di mollare - ha detto - ma di continuare. Quando torneranno, e spero presto, dovremo essere pronti a proseguire. Bisogna che gli Stati finiscano di avere accordi con le entità sioniste, civili, militari ed economiche”.

Raccontando i momenti dell’arrivo dell’esercito israeliano, Queirolo Palmas ricorda: “Il momento in cui ho avuto più paura è stato il passaggio dall’imbarcazione al porto: ci hanno messi a terra in ginocchio, passavano e ci tiravano schiaffi, ci trascinavano da un punto all’altro in modo violento. Arrivava il ministro a indicarci dicendo che eravamo dei terroristi, con le telecamere dietro per la loro propaganda. Ho provato a difendere una compagna a cui veniva strappata la kefia e per aver detto di essere meno violenti mi hanno tirato pugni e calci per due minuti”.

Essendo europeo e bianco - aggiunge - non ho avuto lo stesso trattamento dei compagni arabi o palestinesi. Un compagno è stato pestato per quindici minuti, aveva il fianco e le costole distrutte. È stato terribile, ma almeno sapevo che il mondo ci stava guardando”.

Durante la detenzione, racconta, “sentivamo gli aerei che bombardavano Gaza. Quando siamo stati intercettati alle sette del mattino e ci siamo avvicinati alle coste, vedevamo le esplosioni, sentivamo i colpi. Da una parte, Israele con grattacieli e porti; dall’altra, solo distruzione”.

Dopo lo sbarco, i prigionieri sono stati trasferiti in una struttura portuale, sorvegliati da un poliziotto ciascuno.

All’inizio perquisizioni, poi domande assurde: se fossimo maestri, se fossimo mai stati in Israele, perché eravamo lì. Poi un giudice, un traduttore, a volte un avvocato. Ma i traduttori non erano nella lingua richiesta, e l’avvocato non sempre ti veniva assegnato”.

Agli attivisti è stato chiesto di firmare due documenti: “Il primo dichiarava che eravamo entrati illegalmente in Israele - una menzogna, perché ci hanno sequestrati in acque internazionali. Quello non andava firmato. Il secondo chiedeva il rimpatrio volontario: io inizialmente non ho firmato, poi la console ci ha consigliato di farlo. Non ho avuto modo di completare la firma, ma sono contento di aver resistito: restare lì significava aumentare la pressione da terra, restare solidali con i compagni”.

Durante la detenzione, molti attivisti hanno intrapreso scioperi della fame e della setein solidarietà ai prigionieri palestinesi, per chiedere la fine del genocidio e dell’apartheid”.

Critico poi il giudizio sul ruolo delle istituzioni italiane.

Lo Stato italiano non ha fatto nulla per noi, se non cercare di sabotarci. Con l’accordo di Cipro ci volevano far consegnare gli aiuti a un ente ecclesiastico con il consenso di Israele. È come dire al carnefice di dare la carota dopo aver usato il bastone: un’assurdità”.

“Ho visto il console quindici minuti in quattro giorni - aggiunge - e non mi sembra che abbia fatto molto. Lo Stato italiano continua a essere complice del genocidio: ogni giorno vengono bombardate case, scuole, ospedali, e Roma resta in silenzio”.

Nonostante la violenza subita, Queirolo Palmas non esita a confermare la propria scelta: “Sì, rifarei tutto. Lo scopo della flottiglia era sfondare il blocco marittimo illegale che Israele impone dal 2008 alla popolazione di Gaza. Non era una provocazione: era un atto di solidarietà e di giustizia”.

Nel suo racconto, il momento del rimpatrio coincide con la consapevolezza che la battaglia continua anche da qui: “Quando ho capito che mi stavano per trasferire in Grecia ho provato sollievo, significava tornare a casa, riabbracciare i miei cari e continuare la lotta politica da terra. È la parte più importante: continuare qua quello che è stato iniziato là”.

Isabella Rizzitano - Federico Antonopulo

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