Cultura - 22 ottobre 2025, 16:41

“Paolo Di Paolo. Fotografie ritrovate”: a Palazzo Ducale la mostra che svela un tesoro dimenticato

Fino al 6 aprile 2026, il Sottoporticato ospita la grande retrospettiva dedicata al maestro del Novecento, che raccontò l’Italia con uno sguardo gentile e discreto attraverso trecento scatti, ritrovati dalla figlia Silvia: “Aprire quelle scatole è stato come ritrovare un’Italia intera vista con gli occhi di mio padre”

Nel centenario della nascita di Paolo Di Paolo, Genova celebra uno dei più grandi fotografi italiani del Novecento con una mostra che ha il sapore del destino: 'Paolo Di Paolo. Fotografie ritrovate', in programma al Sottoporticato di Palazzo Ducale dal 23 ottobre 2025 al 6 aprile 2026. Promossa da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura in collaborazione con Marsilio Arte, e curata da Giovanna Calvenzi e Silvia Di Paolo, la retrospettiva raccoglie oltre trecento fotografie, molte inedite e per la prima volta anche a colori, accanto a video, riviste, documenti e materiali d’archivio che restituiscono la voce a un autore rimasto troppo a lungo in silenzio.

Di Paolo il fotografo più pubblicato sul settimanale Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio, con cinquecentosettantatré fotografie in quattordici anni. Collaborò anche assiduamente con Tempo, firmando reportage e inchieste che contribuirono a definire l’immaginario dell’Italia del dopoguerra. Il suo stile era riconoscibile a colpo d’occhio: uno sguardo partecipe ma mai invasivo, capace di cogliere la verità senza forzarla, la poesia nascosta nei gesti più semplici. Ogni immagine di Paolo Di Paolo era costruita con armonia geometrica, senza però risultare fredda: la misura della composizione si sposava con la tenerezza del suo sguardo. Fotografava come si parla piano, con rispetto.

Questa esposizione non è solo una mostra, ma una storia, un romanzo visivo - spiega Ilaria Bonacossa, direttrice di Palazzo Ducale -. In un certo senso è la seconda mostra di Paolo Di Paolo, quella di un esordiente che avrebbe compiuto cent’anni. Un autore che, dopo un’intensa stagione di lavoro, decise di abbandonare la fotografia intorno ai quarant’anni e non la riprese mai più. La sua carriera si interruppe bruscamente, ma non la sua poesia. È stata la figlia, Silvia, a ridare vita a tutto questo, scoprendo un archivio che è una miniera di emozioni e di memoria. Con il suo gesto, non solo ha restituito un padre al mondo, ma ha restituito al mondo un pezzo della nostra storia collettiva”.

Questa riscoperta, prosegue Bonacossa, “ha qualcosa di fiabesco. È come se un autore che aveva scelto il silenzio tornasse a parlarci attraverso le sue immagini. È una vicenda che emoziona anche chi non conosce la fotografia, perché dietro le foto c’è una storia vera: un padre, una figlia, un archivio dimenticato in cantina per cinquant’anni. E poi c’è la magia del tempo che ritorna, la forza della memoria. Si entra in questa mostra e si ha la sensazione di attraversare un’Italia intera, dai ritratti dei grandi del cinema e della cultura ai volti comuni delle periferie, con lo sguardo gentile e poetico di chi sa osservare senza invadere”.

E quel senso di dolcezza, di leggerezza e di profondità insieme attraversa ogni sala del Sottoporticato. “Abbiamo cercato di costruire un percorso che accompagnasse il visitatore lungo l’intera parabola artistica di Paolo Di Paolo” racconta Silvia Di Paolo, figlia del fotografo e curatrice della mostra. “È stato un viaggio nella memoria, prima ancora che un lavoro di ricerca. Ho passato anni a rimettere insieme i pezzi di quell’archivio sterminato, oltre duecentomila negativi. Rivedere le immagini, selezionarle, riscoprire scatti che non avevo mai visto è stato come rivivere una vita parallela, la vita di mio padre prima che io nascessi”.

Di Paolo ricorda bene l’emozione del ritrovamento: “Il suo archivio era chiuso in scatoloni, in una cantina. Mio padre non ne parlava quasi mai, e quando gli chiedevo perché avesse smesso, mi rispondeva con poche parole, come se fosse una parte di sé che aveva deciso di dimenticare. Poi un giorno ho aperto quelle scatole. Dentro c’era un’Italia intera: le strade, i volti, la gioia, la fatica, la speranza. Da lì è cominciata la mia missione: far conoscere questo tesoro, non solo come figlia ma come testimone di un’epoca”.

La mostra segue un ordine che è insieme cronologico ed emotivo. “Si parte dagli esordi, con fotografie completamente inedite, che ho scoperto solo pochi mesi fa. Sono immagini ancora sperimentali, quasi astratte, lontane dallo stile che poi avrebbe reso mio padre riconoscibile: uno stile costruito intorno all’essere umano, al racconto racchiuso in un solo scatto. Poi si passa al periodo de Il Mondo, con Mario Pannunzio, che lo considerava il suo fotografo prediletto. Quelle immagini rappresentano la maturità artistica: un bianco e nero limpido, elegante, geometrico ma mai freddo. Poi arrivano i reportage per Tempo, le inchieste, i ritratti del cinema e dell’arte, le immagini che parlano di un Paese che stava cambiando pelle”.

Tra le sezioni più significative, quella dedicata a Genova e alla Liguria. “Abbiamo voluto rendere un omaggio speciale a questa città - racconta  ancora Silvia Di Paolo - Ci sono fotografie a colori scattate nell’estate del 1959: bambini che giocano in spiaggia, bagnanti, ragazze che ridono sulla costa di Santa Margherita. Sono immagini che trasmettono leggerezza e libertà, la nascita del turismo, di un’Italia che scopriva la vacanza e la spensieratezza. Ma accanto a queste c’è anche la Genova del lavoro: gli operai dell’Ansaldo, i cantieri, i volti segnati dalla fatica e dall’orgoglio. Abbiamo inserito alcune stampe vintage del 1964, realizzate per un’inchiesta sull’industria italiana. In una di esse, che abbiamo scelto come gigantografia, gli operai sorridono uscendo dalla fabbrica. È una delle immagini che più mi commuovono, perché racchiude la forza e la dignità del lavoro”.

Per Sara Armella, presidente della Fondazione Palazzo Ducale, “questa mostra è un atto d’amore verso la memoria collettiva. È una scoperta importante, un recupero di un’Italia che non esiste più. Rivedere le fotografie di Di Paolo significa guardare un Paese che stava ricostruendo sé stesso, sospeso tra incertezza e rinascita, ma anche pieno di curiosità, di energia, di fiducia. C’è un’Italia della ricerca, dello studio, della creatività, quella che scopriva la vacanza e la libertà. Ma c’è anche la sezione dedicata al lavoro, che ci restituisce l’immagine più autentica della nostra città: la Genova industriale, dei cantieri e della partecipazione operaia. È una parte della mostra che tocca nel profondo, perché racconta la nostra identità più vera”.

E a rendere tutto ancora più coinvolgente è la dimensione narrativa del percorso. “Sapere che queste immagini sono rimaste chiuse in un cassetto per così tanto tempo - riflette Giovanna Calvenzi - aggiunge un’emozione particolare. C’è quasi un senso di malinconia, come se avessimo voluto scoprirle prima. Ma allo stesso tempo non c’è nulla di nostalgico: questa è un’Italia luminosa, piena di vita, fotografata con un occhio curioso e affettuoso. Di Paolo era un fotogiornalista straordinario, capace di racchiudere in ogni immagine un piccolo racconto. La cosa sorprendente è che la sequenza delle fotografie è nata quasi da sola: mentre lavoravamo ai provini e alle stampe, ci siamo rese conto che era come se Paolo avesse già tracciato il percorso. In un certo senso, c’è anche la sua mano invisibile a guidarci in questo allestimento”.

E a chiudere la mostra, come una carezza, c’è un’immagine che è già diventata iconica: tre bambini di spalle che guardano Roma, con la cupola di San Pietro all’orizzonte. “Quella fotografia - spiega Silvia Di Paolo - racchiude tutto lo spirito di mio padre. È dolce, poetica, piena di speranza. All’epoca quel luogo era campagna, oggi è un quartiere popolato. Ma quei tre bambini che osservano la città dall’alto sembrano guardare anche il nostro futuro. È un’immagine che racconta la fiducia, il desiderio di rinascita, la purezza dello sguardo con cui Paolo osservava il mondo. È per questo che l’abbiamo scelta come manifesto della mostra: rappresenta l’essenza del suo lavoro, e forse anche dell’Italia stessa in quel momento storico”.

Quello che mi emoziona di più - conclude Ilaria Bonacossa - è vedere come il pubblico si avvicina alla fotografia. In questi anni il Sottoporticato è diventato un luogo riconoscibile per le mostre fotografiche: da Lisetta Carmi a Letizia Battaglia, da Steve McCurry fino adesso a Paolo Di Paolo. La gente entra con fiducia, sapendo che troverà storie vere, umane, commoventi. E in questa mostra c’è tutto: la vita, il cinema, la cultura, la fatica, la speranza. È un’Italia che non c’è più, ma che grazie allo sguardo gentile di Paolo Di Paolo continua a parlarci, luminosa come la luce di una mattina d’inizio estate”.


 

Chiara Orsetti

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A NOVEMBRE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
SU