Cultura - 12 novembre 2025, 08:00

Saverio La Ruina racconta tempo, radici e vita di quartiere nel nuovo spettacolo ‘Via del Popolo’

Dal 12 novembre, alla Sala Campana, il monologo vincitore che usa una strada del Sud come metafora della globalizzazione, della solitudine moderna e del tempo divorato dalla fretta

La storia di una via di una cittadina del Sud, un tempo piena di botteghe, relazioni e umanità, e oggi diventata solamente una strada da percorrere, a passo svelto, senza nessuno con cui fermarsi a chiacchierare, è al centro di Via del Popolo, il monologo scritto, diretto e interpretato da Saverio La Ruina, vincitore del prestigioso Premio Ubu 2023 come Miglior nuovo testo italiano.

Una narrazione profonda, poetica e ironica che affronta i cambiamenti sociali e culturali degli ultimi decenni, arricchendoli con ricordi autobiografici e sfumature personali, cercando risposte agli interrogativi sul tempo e sul concetto moderno di ‘fretta’. Lo spettacolo, produzione di Scena Verticale, sarà in scena dal 12 al 14 novembre alla Sala Campana dei Teatri di Sant’Agostino.

Mi ha ispirato un sentimento di tristezza - racconta La Ruina - guardando una sera via del Popolo dalla mia terrazza: tutte le luci spente, solo tre o quattro finestre illuminate, quelle delle amiche di mia madre. Era una via piena di vita, di botteghe, di artigiani. Oggi la si attraversa in due minuti, mentre decenni fa la stessa camminata richiedeva trenta minuti, scanditi dalle soste per salutare amici e conoscenti. Era un luogo di relazioni”.

Quella strada, nella Castrovillari degli anni Sessanta e Settanta, diventa così una metafora universale: della globalizzazione che ha cancellato la vita di quartiere, dei centri commerciali che hanno preso il posto delle botteghe, delle comunità che si sono sfaldate. “C’è stato un passaggio dalla microeconomia alla macroeconomia, il grande è diventato sempre più grande, il piccolo sempre più marginale. Le città si progettano pensando al profitto, non all’uomo. Così nascono luoghi dormitorio e centri commerciali dove l’unico fine è il guadagno. L’uomo resta sempre più solo”.

La propria infanzia e il legame con il padre sono tra i fili più forti dello spettacolo. “I miei genitori venivano dalla Basilicata, contadini che emigrarono a Castrovillari e aprirono un bar. Io avevo sei anni e sono diventato il più piccolo cameriere d’Italia. Mentre gli altri bambini giocavano, io servivo i clienti e studiavo al bancone, accanto al jukebox. Da lì passava tutto il paese ed è diventato il centro della mia infanzia e adolescenza”.

Il jukebox, la giacca bianca da cameriere, la vetrina piena di paste che da bambino sognava di poter mangiare: tutto questo rivive in scena, in un allestimento essenziale ma denso di simboli. Le luci, firmate da Dario De Luca, disegnano la strada, mentre lentamente si spengono, come a evocare la scomparsa di un mondo. “Quelle lucette richiamano via del Popolo, ma anche la sua trasformazione in una Spoon River di provincia: una collina di ricordi scivolata in pianura”.

Nel racconto, il tempo scorre in due direzioni: dall’oggi all’ieri, dall’adulto al bambino. Il tempo, in fondo, è il vero protagonista: “Siamo tutti vittime di questa corsa continua - dice l’autore - ma mio padre mi ha insegnato a vivere il momento presente. Non si chiedeva mai se fosse troppo vecchio o troppo tardi. Prendeva le cose come venivano. C’è una scena che racconto, in cui lui scompare e io lo ritrovo dopo ore, caduto in una scarpata. Gli chiedo come sta, e lui risponde: ‘abbastanza bene’. Quel suo modo di stare al mondo è per me un insegnamento: vivere il tempo, non inseguirlo”.

Il Premio Ubu 2023 come Miglior nuovo testo italiano ha segnato la carriera dell’autore, ma non ha cambiato il suo approccio al teatro. “I riconoscimenti non ti rendono più forte - dice La Ruina - ma ti responsabilizzano: la responsabilità è calibrare il lavoro senza perdere quella scintilla di incoscienza necessaria all’arte. Parlo del mio villaggio, ma come dice Tolstoj, se ne parli in modo autentico, sarà universale”.

Via del Popolo è così un viaggio nelle radici, nei ricordi e nelle contraddizioni di una società in trasformazione, un invito a guardare la realtà con attenzione, a riflettere sulle comunità, sul valore delle relazioni e sul tempo che passa, senza mai perdere il gusto della narrazione, dell’incontro e della poesia del quotidiano.

Dopo la replica del 12 novembre, il pubblico potrà partecipare all’incontro “A caldo. Chiacchiere ed elisir dopo lo spettacolo”, un nuovo progetto di comunità curato da Elisa Sirianni e promosso dalla Fondazione Luzzati Teatro della Tosse: un’occasione di dialogo aperto e informale tra spettatori, davanti a un bicchiere di vino o una tisana, per riflettere insieme sui temi emersi in scena.

Chiara Orsetti

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