Botteghe storiche e locali di tradizione - 24 novembre 2025, 08:00

Botteghe storiche e locali di tradizione - Trattoria Da Genio, dove la storia si racconta a tavola

Fondata da un marinaio con la passione della musica, la trattoria di salita San Leonardo raccoglie un’eredità antica nei locali aperti nel 1893

Botteghe storiche e locali di tradizione - Trattoria Da Genio, dove la storia si racconta a tavola

Continua con questo lunedì, e andrà avanti per tutti i lunedì successivi, un servizio seriale de ‘La Voce di Genova’ dedicato alle Botteghe Storiche e ai Locali di Tradizione della nostra città. Vogliamo raccontare, di volta in volta, quelle che sono le perle del nostro tessuto commerciale, e che ci fanno davvero sentire orgogliosi di appartenere a questa città. Buon viaggio insieme a noi!

Salita San Leonardo ancora oggi conserva quel tipico aspetto delle creuze.

Mattoni e ciottoli che, insieme, si inerpicano verso il complesso monumentale di Sant’Ignazio, oggi sede dell’archivio di stato.

Ma questo particolare tappeto rosso sembra condurre davanti alla porta della trattoria Da Genio. Non una trattoria come tante, ma una stanza delle meraviglie che, tra i cimeli e i piatti, racconta la storia della città.

Tutto inizia nel 1893. Allora non era ancora "Da Genio", ma poco ci mancava: una semplice mescita di vini, una cantina popolare in via Giulia (l’attuate via XX Settembre), angolo di vita quotidiana e rifugio per viaggiatori e marinai. Fu Eugenio Camarata, navigante dall’anima musicale, a trasformarla nella prima vera osteria con cucina di Genova. Chitarrista, intrattenitore, oste nel senso più romantico del termine, faceva della convivialità una forma d’arte.

Questa non era neppure un’osteria all’inizio, era una tabaccheria - racconta Michele Rifardi, che oggi assieme alla sorella Ines porta avanti il locale -. Poi diventò cantina, con la mescita di vini. Il primo vero oste con cucina a Genova qui è stato Eugenio Camarata, navigante, uno che suonava la chitarra, intratteneva la gente, il vecchio oste di una volta. Quando è mancato lui, nel ’67-’68 la moglie ha ceduto e mio padre passava di qui per caso… vide il cartello vendesi e disse a mia mamma: ‘Possiamo provare ad andare a Genova?’”.

Gianni viveva a Pieve Ligure con la sua famiglia e li gestiva una trattoria ma quel cartello, quell’idea di ‘andare a Genova’, di misurarsi con la città, non lo lasciava in pace.

Era pronto a dare una nuova vita alla trattoria Da Genio, correva l’anno 1967.

L’osteria faticò a decollare, sembrava quasi voler respingere il cambiamento: “Non partiva mai, era lenta, tanto che volevano quasi tornare indietro. Poi dopo un anno iniziarono a portare la prima cucina della Riviera a Genova: pansoti fatti a mano, ravioli, trofie, focaccette al formaggio. All’epoca la gente non usciva come adesso, andare a Recco o a Sori era complicato. Così portarono qui la Liguria vera”.

Così Da Genio divenne un luogo familiare.

Michele e Ines sono cresciuti tra i profumi della cucina, il rumore delle stoviglie e il vociare dei clienti. Non esisteva separazione tra vita e lavoro: la trattoria era casa. I pomeriggi d’infanzia trascorsi a sparecchiare, a sistemare tavoli, a osservare mani esperte impastare pansoti.

"Io non mi ricordo di aver fatto un pomeriggio a casa. Finivo la scuola e venivo qua: mettevi i tavoli, sparecchiavi, aiutavi. Era tutto. Dormivo persino nella cesta del pane. Mi ci mettevano dentro con le tovaglie sporche sopra. Questa poi è la mia storia”.

Una famiglia allargata che ruotava attorno alla cucina: zie, cugini, parenti, tutti impegnati nei rituali quotidiani di un locale che non ha mai smesso di essere casa.

Questo è un posto dove se non ci sei devi chiuderlo. La gente se ne accorge se non vede la faccia di famiglia. Non puoi delegare: questo locale vive di presenza”.

Per quarant’anni il famoso menù fisso a 10.000 lire ha accolto dirigenti, operai, professionisti e imprenditori. “Mangiavano tutti allo stesso modo. Direttori dell’Ilva, dell’Ansaldo, Siemens… venivano qui e si sedevano sempre allo stesso tavolo”.

Oggi il mondo è cambiato: le aziende hanno chiuso, le abitudini alimentari sono mutate. “La gente non mangia più primo, secondo e dolce a pranzo. Ora vogliono cose leggere, insalate, rossetti, pesce spada. È cambiato il modo di mangiare, non il cliente”.

Solo una cosa è rimasta uguale: da Genio non si rincorrono le mode. A comandare è la stagione che detta il tempo sui piatti da proporre. "Il giovedì sono trippe, il venerdì stoccafisso, quando ci sono i funghi si fanno i funghi, quando ci sono i carciofi si fanno i carciofi. Tutto stagionale. Io mi alzo alle cinque e vado al peschereccio, non al mercato”.

Michele difende con orgoglio la cultura gastronomica ligure: “Quella genovese non è cucina di mare. Noi siamo a ridosso delle montagne. Prebuggiun, pansoti, torte di verdura, stoccafisso, brandacujun. Il pesto qui è sacro. Non ne trovo uno buono come il nostro neppure quando vado a mangiare fuori”.

E racconta con passione il significato delle parole antiche: “Prebuggiun non è solo un ripieno, vuol dire erba prebollita. E le trenette avvantaggiate? È l’arte di non buttare via niente, di ricavare valore anche da ciò che resta”.

Tra queste mura hanno camminato personaggi che hanno fatto la storia: Alberto Sordi, Gino Paoli, Fiorello, Papa Giovanni Paolo II, Francesco Totti, Cicciolina, i New Trolls, Vanda Osiris, i calciatori di Genoa e Sampdoria. Ma anche dirigenti, operai, famiglie, tifosi, studenti, solitari viandanti.

È qui che Mantovani scelse di incontrare i tifosi per fare pace con la città, ed è sempre qui che nacque l’inno del Genoa. Qui la Sampdoria, quando ancora non aveva neppure da mangiare, venne sfamata dal padre di Michele, che invitò tutta la squadra come si fa con una famiglia in difficoltà.

Alle pareti, gli attestati raccontano ciò che le parole non bastano a dire: premi, riconoscimenti, fotografie ingiallite che sono finestre su epoche lontane.

Qui la gente non viene solo a mangiare. Viene a stare. Io non faccio doppi turni. Se una coppia vuole godersi la serata, resta. Magari gli offro un bicchiere, magari si fermano a parlare. È questo il senso”. 

Michele rifiuta il culto dei social: "Io non uso Instagram, non voglio dare aspettative finte. Qui non c’è filtro: quello che vedi è. Racconto per passione, come mi hanno insegnato i miei genitori".

Vorrei continuare così, senza mollare. Non inciampare per colpa delle spese, dei problemi, dei dipendenti. Tenere la rotta. Io ci sono cascato qua dentro. Nessuno mi ha dato un’alternativa B”.

E forse è proprio questo che rende la Trattoria Da Genio una bottega storica vera: non un locale qualunque, ma un pezzo di Genova viva, che resiste nel tempo con la forza della memoria, della famiglia e della verità.


 

Isabella Rizzitano

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