Cultura - 24 novembre 2025, 11:57

Resistere e Creare: alla Tosse il mondo si racconta attraverso il corpo, la parola e la memoria

Danza, teatro, poesia e ricerca: Genova diventa crocevia internazionale di linguaggi e umanità

Resistere e Creare: alla Tosse il mondo si racconta attraverso il corpo, la parola e la memoria

Una settimana di appuntamenti, incontri, dialoghi e spettacoli per parlare di frontiere e migrazione, senza confini.

Dal 24 al 29 novembre il Teatro della Tosse apre le sue sale a ‘Resistere e Creare’, un incontro tra arti performative e pensiero critico per ascoltare e imparare la lingua dell’altro, portando nel cuore della città voci, gesti e storie provenienti da Iran, Libano, Turchia, Corea, Belgio, Togo e da molte altre geografie reali ed emotive.

Non è un semplice cartellone teatrale, ma una chiamata collettiva alla presenza, una settimana in cui la scena diventa spazio politico nel senso più alto e umano del termine per lasciare che l’arte e il teatro diventino cardini della comprensione dell’altro da sé.

In stretto dialogo con la programmazione di Resistere e Creare, negli spazi della Tosse si inserisce il progetto internazionale Solroutes, ricerca sociologica art based curata dal DISFOR dell’Università di Genova, coordinata dal professor Luca Queirolo Palmas. Un lavoro che intreccia studio e creazione, dati e vissuti, mettendo al centro le frontiere, reali e simboliche, e i corpi che le attraversano ogni giorno.

Al mattino il teatro ospita il convegno internazionale “Naming, Infrastructuring, Gendering freedom of movement”, con studiosi provenienti da Europa, Americhe, Asia e Africa; dal pomeriggio la ricerca si trasforma in esperienza sensibile attraverso etnografia performativa, scrittura, fotografia, documentario, illustrazione e teatro. Un dialogo continuo che conferma come la cultura, oggi più che mai, sia un esercizio di responsabilità condivisa.

GLI SPETTACOLI

Tra i momenti più intensi della settimana spicca We Came to Dance (26 e 27 novembre, Sala Campana), ideato dalla drammaturga iraniana Nasim Ahmadpour e diretto da Ali Asghar Dashti. Lo spettacolo pone una domanda radicale e disarmante: cosa significa essere danzatori quando danzare è proibito?

In scena, due corpi immobili raccontano i movimenti che farebbero se potessero ballare. Una coreografia solo immaginata prende forma attraverso la parola, costruendo una danza che nasce dall’assenza e dalla negazione, e proprio per questo risulta di una potenza struggente. La narrazione si intreccia con episodi reali del recente passato iraniano, trasformando lo spazio scenico in un luogo di testimonianza, resistenza e dignità.

È un teatro che non alza la voce ma incide, che non cerca l’effetto ma scava, che restituisce allo spettatore la responsabilità dello sguardo e dell’ascolto. Un atto poetico e politico insieme, che parla non solo del divieto di ballare, ma del diritto universale all’espressione.

Il 27 novembre alla Claque, la parola si fa corpo attraverso In tutte le ore e nessuna, progetto ispirato all’opera di Aslı Erdogan, scrittrice, fisica ed ex prigioniera politica turca. Un omaggio delicato e ferocemente necessario a una donna che ha trasformato la scrittura in strumento di resistenza contro la cancellazione dell’identità.

Attraverso immagini d’archivio, letture dal vivo e una partitura sonora che accompagna il flusso visivo, prende forma un ritratto intenso e mai retorico: quello di una voce che continua a scrivere per non smarrire se stessa, per non lasciare che il silenzio imposto diventi oblio.

“La penna è l’unico strumento che ho”, ricorda Erdogan. E a Genova quella penna diventa un filo che cuce il tempo e gli spazi per ribadire che la libertà è sempre da difendere.

Chiude la settimana Beytna (28 e 29 novembre, Sala Trionfo), creazione di Omar Rajeh, tra i più importanti coreografi del mondo arabo. Più che uno spettacolo, un’esperienza collettiva che dissolve i confini tra palco e platea, tra arte e vita quotidiana.

Beytna - che significa “la nostra casa” - è una festa, un banchetto, un momento di incontro reale. Cibo, danza e musica diventano strumenti di relazione, canali attraverso cui culture diverse si riconoscono e si raccontano senza semplificazioni. Sette performer provenienti da Libano, Belgio, Corea, Palestina e Togo condividono gesti, memorie e ritmi, costruendo un linguaggio comune fatto di presenza e ascolto.

Rajeh si ispira ai ricordi d’infanzia, alle domeniche trascorse nella casa del nonno, dove ogni incontro diventava celebrazione e rito. È un invito alla convivialità come pratica politica, al prendersi cura reciproco come gesto artistico.

I.R - C.O.

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