La fumata nera non spegne la protesta e dopo la notizia, che niente sposta, arrivata ieri sera dal confronto tra il governatore ligure e i commissari di Acciaierie d'Italia sull'ex Ilva di Genova, la tensione è tutt'altro che riassorbita. Ore difficili per gli operai e per la città, mentre la mobilitazione non accenna a fermarsi e questa mattina si tornerà in assemblea per stabilire le prossime mosse, in vista di domani e di un'altra giornata impegnativa con lo sciopero generale di tutti i metalmeccanici genovesi, e verso il nuovo incontro a Roma di venerdì.
Il piano locale compatto, "non ci fermiamo" spiegano i lavoratori e così anche gli enti locali che continuano a cercare soluzioni sulla vertenza genovese. Mentre però la situazione si complica.
E gli occhi tornano a 20 anni fa, a quell'unità di intenti che portò alla firma dell'accordo di programma che per quattro lustri ha vegliato su Cornigliano.
"Qua siamo di fronte ad un dramma sociale gigantesco. Il governo deve affrontare un tema che è di politica industriale: rinunciamo alla filiera dell'acciaio italiano, la più grande filiera dell'acciaio che c'è in Italia? La prima scelta è questa qui. Rinunciamo a questa filiera oppure ci mettiamo mano, da soli o in collaborazione pubblico-privato? Ma devono dirlo perché da questa scelta discende tutto".
Parole di Claudio Burlando, ex governatore ligure, ex ministro, ed uno dei soggetti che firmò l'accordo per Cornigliano nel 2005 che cambiò il destino e la storia dell'acciaio a Genova.
Scorrere le foto del tempo è un viaggio nella memoria, nell'area a caldo che si spegne attorno a un proposito di riconversione, un tavolo e sei uomini. Da destra l'ex sindaco Beppe Pericu, l'ex presidente della provincia Alessandro Repetto, Emilio Riva, Claudio Scajola, e Claudio Burlando. Che di fronte alla gestione complessiva della situazione, oggi, si dice "esterrefatto".
"Qua siamo di fronte a un dramma sociale gigantesco e nemmeno te lo dicono - commenta l'ex governatore ligure, reduce da un incontro con i cappellani del lavoro della diocesi, su una situazione potenzialmente preoccupante per tutta la città - e una cosa di cui non mi capacito è l'assenza della presidenza del Consiglio, di Giorgia Meloni. Questa è la più grande filiera industriale del Paese, o era, e quando firmammo l'accordo di programma non lo firmai mica io da solo. Il presidente del Consiglio dell'epoca, Berlusconi, se ne occupò, lo seguì passo passo. Letta mi ha chiamato ancora pochi giorni fa".
Il tema centrale è uno: "Il governo deve affrontare una questione che è di politica industriale - dice Burlando - vale a dire: rinunciamo alla filiera dell'acciaio italiano, la più grande filiera dell'acciaio che c'è in Italia? La prima scelta è questa. Qui rinunciamo a questa filiera oppure ci mettiamo mano. Da soli o in collaborazione pubblico-privato. Ma devono dirlo, cosa vogliono fare, perché da qui discende tutto".
E invece la giornata d'attesa, la seconda in sciopero per la risposta sulla mediazione avanzata, che riguardava l'invio eventuale di almeno 50 mila tonnellate di acciaio zincato da Taranto per garantire la produzione genovese fino a febbraio, si è trasformata in altra attesa. Assenza di risposte e quelle che sono arrivate, sono un déjà-vu delle notizie da Roma di venerdì scorso. Altre incognite, una possibile pausa fino a febbraio ed un riavvio dell'altoforno 2 pugliese, circondato da incognite. Mentre per giovedì è già annunciato un corteo per la città verso la prefettura sulla vertenza genovese.
"Bisogna mettere in fila le cose - avverte Burlando - l'accordo di vent'anni fa era un accordo che presupponeva che si verticalizzasse su Cornigliano: banda, latta e zincato alimentati da Taranto e quello lì poteva anche funzionare. Aveva funzionato anche come riambientalizzazione di spazi. Quello che è successo è che a Taranto non è stato fatto nulla, questo è il punto. Ma gli ultimi mesi sono una cosa incomprensibile".
A partire dall'accordo estivo e dalla visita di settembre del ministro Adolfo Urso, "venuto qui a Genova - sottolinea l'ex governatore - a chiedere un sì o no al forno elettrico. Bucci dice sì, Salis dice voglio vedere chi fa il progetto e gli aspetti ambientali. E la risposta però è che nessuno lo fa. Non c'è uno che abbia offerto di intervenire su Genova, e di fare il forno elettrico. Quindi questa cosa al momento non esiste. Se poi fanno il ciclo corto e vendono i coils sul mercato vuol dire chiudere, non in prospettiva ma chiudere domani".
"Io capisco che è difficile trovare un soggetto che faccia la riconversione di Taranto e dell'intera filiera. E' complicato, così come lo è diciamo nazionalizzare o far entrare CDP al 100%. Ma quello che è stato fatto ultimamente è una provocazione. Prima chiedi a Genova di accettare un impianto complicato, senza sapere se c'è un'impresa disponibile a realizzarlo, e quando dicono vediamo il progetto scopri che non c'era? E' una provocazione".
"Devono dire che cosa vogliono fare -ribadisce Burlando - le vie sono tre: tutta la filiera rimane attiva, rimane attiva solamente Genova e il nord, oppure tutto si dà per perso e tutto chiude. Se si vuol fare la prima cosa, bisogna trovare chi investe, pubblico-privato, fare un piano industriale ambientale e vediamo in che tempi".
"Se si abbandona la filiera-conclude- si deve fare una riconversione ecologica, ambientale secondo lo scenario e se si reputa che Taranto non sia recuperabile e per qualche mese ancora si va avanti alimentando Genova e poi Taranto chiude, si apre allora un processo di bonifica di conversione e di protezione sociale. Questi tre sono gli scenari possibili. E se l'orizzonte è chiudere tutto poi si devono affrontare le conseguenze, impostare un lavoro di protezione sociale e bonifica. Invece non si capisce veramente dove vogliano arrivare".






