Quando un romanzo amato profondamente, sin dall’adolescenza, incontra il palcoscenico del teatro senza essere tradito, accade qualcosa di unico, nell’accezione più bella del termine.
È successo alla prima nazionale di Sputnik Sweetheart, in scena alla Sala Mercato di Genova, tratto da La ragazza dello Sputnik di Haruki Murakami, nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova che ha segnato l’esordio alla regia di Francesco Biagetti.
“È successo davvero un piccolo miracolo”, racconta Biagetti il giorno dopo la prima. “Il tempo non è stato tantissimo, la materia è complessa, ci sono stati incidenti come sempre accade, ma siamo riusciti a fare tutto quello che ci eravamo prefissati. E il pubblico ha risposto". La sensazione, più che di una “prima”, è stata quella di una festa collettiva, di un lavoro condiviso che finalmente si espone, con tutta la vulnerabilità che comporta: “Mostrare il proprio lavoro è come spogliarsi sul palco. È straniante. Ma ieri è stata davvero una festa”.

La scelta di Murakami non è una facile trappola per ammiccare all’intellettualismo, né un accessorio di moda che compare fuori contesto. È una necessità vitale. Biagetti ricorda perfettamente il momento in cui ha incontrato il romanzo, letto a tredici anni, tutto in una notte, dopo averlo acquistato in una piccola libreria romana. “Ho avuto la sensazione di avere tra le mani qualcosa di pericoloso. Quel libro mi ha cambiato. Me lo sono portato dietro per anni, in ogni valigia. Sentivo che dentro c’era qualcosa di me”.
Da lì nasce un legame che diventa studio, immersione totale, fino alla sfida più ardua: portare Murakami in scena senza addomesticarlo. L’adattamento, curato da Biagetti insieme ad Alfonso Pedone, rinuncia alla voce narrante e affida tutto ai dialoghi, intrecciandoli come nel romanzo, in un flusso continuo che tiene tutti i personaggi sempre presenti in scena. “Non ci siamo inventati nulla", spiega il regista. “Abbiamo cercato di mettere d’accordo la sua intuizione letteraria con le regole della scena”.
Il risultato è uno spettacolo che restituisce quella sensazione di mistero verticale di cui parla Biagetti: “Murakami è un pozzo. La storia sembra semplice, ma ha infiniti livelli di lettura".

Se la drammaturgia è la colonna attorno al quale ruota il tutto, a tenere insieme questo vorticare è la musica. Murakami è un autore ossessivamente musicale e Sputnik Sweetheart non fa eccezione. Biagetti sceglie una fedeltà quasi filologica: “Tutte le musiche citate nel romanzo entrano nello spettacolo”. Bossa nova, jazz, Beethoven, Bobby Darin: suoni che a volte sembrano stranianti, ma che, come nei libri dello scrittore giapponese, finiscono per risultare inevitabili.
Accanto a questo, il lavoro di Daniele D’Angelo costruisce una seconda dimensione sonora: tappeti elettronici, pulsazioni, ambienti acustici che nascono da un’idea potente e perturbante, il suono reale del satellite Sputnik. “È un suono terribile, sembra un urlo”, racconta Biagetti. Da lì nascono battiti cardiaci, risonanze, pianoforti che “suonano nello spazio”, accordati sulla stessa frequenza del satellite, con riverberi campionati da quel segnale lontanissimo. “Forse nessuno se ne accorgerà consapevolmente”, ammette il regista, “ma noi sappiamo che quel pianoforte è lì, con lui”.
La musica, così, diventa collante emotivo, capace di tenere insieme le sospensioni narrative, le sparizioni, i silenzi.

La scenografia di Lorenzo Russo Rainaldi costruisce un non-luogo: un parco giochi abbandonato, una cabina telefonica senza plexiglass, panche e uno scivolo. Un’infanzia svuotata, che conserva l’eco ma non la protezione. Le luci di Francesco Traverso e i costumi di Lorenzo Rostagno che evocano la moda anni Novanta, rafforzano la sensazione di un tempo di confine, prima dell’era dei cellulari, quando comunicare era un gesto profondamente diverso.
Quando Biagetti racconta di questo spettacolo, torna spesso al ‘noi’. Non una retorica ma una necessità e una riconoscenza per evidenziare un lavoro corale. “Il teatro non si fa da soli. Mai. È una cattedrale costruita da molti”.
Sputnik Sweetheart nasce infatti dal Collettivo Aruanda, formato da ex allieve e allievi della Scuola del Teatro di Genova, e questo spirito attraversa tutto lo spettacolo.
Alla domanda su quale sia il sogno per il futuro, Biagetti risponde senza enfasi: “Vorrei che questo spettacolo parlasse alle persone. Che qualcuno provasse la stessa vertigine che ho provato io da ragazzo leggendo questo libro. Se succede anche solo a una persona, abbiamo vinto”.
La trasposizione a teatro diventa proprio questa calamita: che si conosca o meno l’opera di Murakami, vederne la sua traduzione sul palco si tramuta in una curiosità verso la storia, verso le riflessioni che la stessa suscita, spingendo alla scoperta e alla rilettura.
Sputnik Sweetheart resterà in scena alla Sala Mercato fino a martedì 23 dicembre. Non offre risposte, non chiude i misteri. Camminando accanto a Murakami, apre varchi. E chiede allo spettatore di affacciarsi, con coraggio, dentro il pozzo.






