Ogni domenica 'La Voce di Genova', grazie alla rubrica ‘Gen Z - Il mondo dei giovani’, offre uno sguardo sul mondo dei ragazzi e delle ragazze di oggi. L'autrice è Martina Colladon, laureata in Scienze della Comunicazione, che cercherà, settimana dopo settimana, di raccontare le mode, le difficoltà, le speranze e i progetti di chi è nato a cavallo del nuovo millennio.
Negli ultimi anni il Natale sembra avere un sapore diverso. Non peggiore, forse, ma sicuramente cambiato. C’è chi continua a viverlo con entusiasmo, aspettandolo come un rifugio emotivo, un momento di pausa e condivisione, e chi invece fatica persino a percepirne l’arrivo. Le settimane che precedono le feste scorrono spesso tutte uguali, immerse nella frenesia del lavoro, dello studio e degli impegni quotidiani, e il Natale finisce per arrivare quasi all’improvviso, più come una scadenza che come una festa.
C’è chi già dai primi giorni di dicembre sbuffa all’idea di ciò che verrà: i regali da comprare, i soldi da spendere, le cene, i pranzi, i cenoni che sembrano non finire mai. Un accumulo di pensieri che rischia di soffocare quello che dovrebbe essere un momento leggero. Eppure, allo stesso tempo, c’è ancora chi aspetta con gioia quei giorni, chi non vede l’ora di sedersi a tavola con i propri cari, di ritrovare gesti, rituali e tradizioni che resistono al tempo. Per qualcuno il Natale resta un’occasione preziosa per rallentare, per sentirsi parte di qualcosa, per tornare – anche solo per poco – a una dimensione più semplice.
A cambiare è stato anche il modo in cui viviamo l’attesa. Le città non si riempiono più come una volta di persone cariche di buste, che entrano ed escono dai negozi con l’aria trafelata. Sempre più regali vengono comprati online, con pochi clic e consegnati direttamente a casa. È comodo, veloce, spesso necessario, ma toglie al Natale quella dimensione visiva e caotica che per molti faceva parte della magia: il freddo in centro, le vetrine illuminate, la corsa contro il tempo. Oggi tutto sembra più silenzioso, più ordinato, quasi meno condiviso.
Poi ci sono quelli che il Natale lo vivono in movimento. Chi prende un treno, un aereo o la macchina per raggiungere la famiglia lontana, chi attraversa l’Italia o torna nel proprio paese d’origine, e chi invece sceglie di partire per allontanarsi da tutto. Per alcuni viaggiare durante le feste è l’unico modo per sentirsi davvero liberi, per evadere, esplorare, o semplicemente riposarsi lontano da obblighi e aspettative. Il Natale diventa così un momento personale, da reinterpretare secondo i propri bisogni.
In questo discorso rientrano anche i fuorisede, per i quali le feste non sono sempre sinonimo di ritorno a casa. Non tutti riescono a rientrare: i costi dei biglietti sono spesso proibitivi, gli impegni lavorativi non coincidono con le ferie, gli esami o i turni non aspettano il calendario. C’è chi passerà il Natale nella città in cui studia o lavora, magari condividendo un pranzo improvvisato con altri nella stessa situazione. Un Natale diverso, meno tradizionale, ma non per forza meno significativo.
C’è poi chi sceglie consapevolmente di non passare il Natale con la famiglia. Non per mancanza d’affetto, ma per il bisogno di proteggere uno spazio personale. Chi preferisce una cena a casa con gli amici, per evitare domande scomode, confronti non richiesti o quella pressione sottile fatta di “e il fidanzatino?”, “quando ti sistemi?”, “che progetti hai?”. Per alcuni il Natale è anche questo: il desiderio di stare bene, senza doversi giustificare. E c’è chi, pur sedendosi al tavolo del cenone, guarda l’orologio aspettando solo il momento di uscire, incontrare gli amici e vivere la serata in modo più leggero, lontano dai ruoli familiari.
Infine ci sono i cosiddetti “Grinch”, quelli che il Natale non lo sopportano proprio. Non per forza per provocazione, ma perché non si riconoscono in quell’atmosfera forzatamente felice, nei ritmi imposti, nelle aspettative sociali. Anche questo è un modo legittimo di vivere le feste. Non tutti sentono il bisogno di luci, regali e grandi tavolate per stare bene, e forse accettare questa pluralità di sguardi è parte del cambiamento che stiamo vivendo.
Forse il punto è proprio questo: il Natale non è sparito, ma si è frammentato. Non esiste più un unico modo di viverlo, un sentimento collettivo che accomuna tutti allo stesso modo.
Ognuno lo attraversa a modo suo, con entusiasmo, distacco, nostalgia o indifferenza. E forse va bene così. In mezzo a un mondo che corre veloce, il Natale resta uno specchio: riflette ciò che siamo, il momento che stiamo vivendo e il bisogno – o meno – di fermarci. Anche quando la magia sembra più silenziosa, c’è ancora spazio per darle un significato nuovo.






