Tra i tanti modi di dire particolari che Genova offre, ce n’è uno che più di altri sa rendere bene un concetto, uno stato d’animo, meglio di mille giri di parole.
Si pronuncia magari con una smorfia, mentre l’alzata di spalle sembra quasi più d’obbligo: “Licche lacche”. Così e così. Né bene né male. Accettabile, ma senza particolare entusiasmo.
Un giudizio sospeso che bene incarna lo spirito genovese, senza illusioni e senza entusiasmo.
Oggi forse meno diffuso, ‘Licche lacche’ si sente ancora pronunciare dai più anziani, intervallato dal solito e certo mugugno.
Ma da dove viene questo modo di dire?
L’espressione affonda le sue radici nel genovese antico: “licche” rimanda probabilmente a liccio, cioè uno straccio logoro, un cencio sporco; “lacche”, invece, richiama il lacchè, il servo malvestito, termine arrivato dal francese laquais, il domestico in livrea ormai consunta.
Due immagini quasi ‘rattoppate’, lontane da qualsiasi idea di splendore. Accostate, queste due parole restituiscono una realtà modesta ma capace di resistere dove certe cose non brillano ma ‘fanno il loro dovere’.
L’espressione si diffonde tra XVII e XVIII secolo, quando Genova, sulla scia del Secolo che fu suo, continuava a vivere e crescere appoggiandosi al suo porto.
A fissare “licche lacche” nella memoria scritta è stato Franco Bampi, che nel 2008 gli ha dedicato un intero volume, inserendolo nel grande repertorio dei modi di dire genovesi del maniman, del “così così” come filosofia di vita. Accanto a paragoni netti, “licche lacche” resta in bilico, sospeso, mai definitivo.
Oggi “licche lacche” si usa meno tra i più giovani ma sembra essersi tramutato in un perfetto elemento di enfasi tipica genovese che guarda la realtà senza particolari fronzoli.
In fondo, dentro queste due parole c’è una lezione antica: non tutto deve essere eccellente per essere accettabile, e non tutto ciò che è mediocre è da buttare.






