C’è un modo di raccontare la medicina che non passa dai bollettini clinici né dalle statistiche, ma dalle notti insonni, dai cieli attraversati in elicottero e da quei silenzi densi che accompagnano chi lavora ogni giorno sul confine fragile della vita. Piume, il libro del dottor Carlo Bellini, storico neonatologo dell’Istituto Giannina Gaslini di Genova e figura di riferimento nazionale nel trasporto neonatale, nasce esattamente da lì: da ciò che di solito resta fuori dalle pubblicazioni scientifiche.
“Io sono recidivo", dice Bellini sorridendo, raccontando di non essere alla sua prima esperienza editoriale. Ma questa volta il registro cambia. Dopo oltre trecento lavori scientifici, Piume segna un passaggio verso la ‘medicina narrativa', quella che mette al centro l’esperienza vissuta. “Scrivere è sempre stato parte del mio lavoro, ma qui ho raccolto cose che nelle riviste non entrano: le parole che restano nella penna, quelle che tagli perché hai solo cinquecento caratteri”.
Il titolo è già una dichiarazione poetica e concreta insieme. Le “piume” sono i neonati estremamente prematuri, quelli sotto i cinquecento grammi, leggeri come l’aria eppure capaci di tenere sospesa un’intera squadra medica. "In inglese li chiamano così. Tiny newborns. Sono davvero come piume: basta un niente e se ne vanno”. Ed è proprio attorno a questi bambini che Bellini ha costruito una vita professionale durata trent’anni, dal primo febbraio 1995: oltre ottomila trasporti neonatali tra ambulanze, elicotteri e aerei militari.
Il libro prende forma da episodi sparsi, appunti persi, messaggi auto-inviati e poi smarriti, ricordi riemersi per caso. Il primo capitolo nasce quasi come una provocazione, una riflessione sulla “bellezza dell’inutile”: fare solo ciò che è utile può essere produttivo, ma non è vivere. Da lì, il resto si è imposto da sé.
Tra le pagine del volume edito da De Ferrari, come nell’intervista, emerge con forza una cifra stilistica che è anche etica: il rifiuto della retorica. Bellini non ama l’idea del medico empatico a tutti i costi. "Io sono un tecnico. La gente non si aspetta che io sia simpatico, ma che aggiusti le cose. ‘Mamma, chiama il dottor Bellini che aggiusta i bambini’: è la cosa più bella che mi sia mai stata detta”. Il distacco, per lui, non è freddezza ma rispetto. "Onestà, trasparenza, fare bene il proprio lavoro. Tutto il resto è sovrastruttura”.
Eppure Piume non è un libro freddo. Al contrario, è attraversato da immagini potentissime: l’elicottero che si solleva “come se facesse un inchino”, le autostrade liguri bloccate, le madri a cui viene strappato un figlio pochi minuti dopo il parto, i viaggi impossibili, come quello fino a Shanghai, trentotto ore di volo continuo per trasportare un neonato. Episodi che non cercano l’eccezionalità, ma il senso. “Molti fatti, presi da soli, non significano nulla. Il significato arriva dopo”.
Bellini è stato uno dei protagonisti della nascita e dello sviluppo del servizio di trasporto neonatale in Liguria, attivo dal 1° febbraio 1995. In trent’anni, i numeri parlano di 8.000–8.500 trasporti, circa 250–300 all’anno. Ma Piume non è un libro di numeri. È un libro che smonta l’idea eroica del medico e restituisce un mestiere profondamente artigianale, fatto di talento, sofferenza, tecnica affinata sul campo e amore per ciò che si fa.
“Serve talento. Se ce l’hai, ce l’hai. Altrimenti puoi diventare un buon manovale, ma il talento è un’altra cosa”. E come ogni artigiano, insiste sull’importanza dei sensi, dell’osservazione diretta, contro un eccesso di fiducia nella tecnologia: “Ai miei specializzandi dicevo: oggi non potete guardare i bambini. Li toccate, li sentite, li annusate. Poi dite cosa avete capito. La medicina è anche questo”.
Nel libro trovano spazio riflessioni scomode, quasi controcorrente: sul concetto di diritto, sulla solitudine come condizione necessaria, sull’illusione dell’onnipotenza medica. “Non siamo bravi quanto crediamo. Se fossimo capaci di fare miracoli, li faremmo sempre”. È una voce “di vecchia scuola”, come lui stesso si definisce, che non chiede consenso ma autenticità.
Su tutte dunque si affaccia il concetto di umanità e il rapporto che Bellini, nel corso del suo lavoro, ha instaurato con essa.
Per lui prima di tutto viene la tecnica, senza confusione di ruoli, nell’amicizia con le famiglie, nella partecipazione emotiva come valore assoluto. Lo ribadisce: quando si porta via un neonato a una madre che ha appena partorito, ciò che quella madre vuole non sono parole: è sapere che il figlio è in mani capaci. Non importa il volto del medico, il colore dei capelli.
È una posizione che divide, che può sembrare dura, ma che nel libro si rivela profondamente onesta. Bellini non si assolve né si mitizza. Si interroga, dubita, racconta anche il disagio di essere ricordato con affetto da chi lui non riesce più a collocare nella memoria. È lui quello sbagliato? O è il prezzo inevitabile di chi attraversa migliaia di vite senza potersi fermare in nessuna?
Tutti i proventi del libro sono devoluti in beneficenza con l’obiettivo di far conoscere un lavoro invisibile, un reparto che ogni anno entra nella vita di poche centinaia di famiglie, spesso nel momento peggiore. “Siamo orfani di visibilità. Anche questo libro serve a dire: esistiamo”.
Piume è, in fondo, un libro sulla coerenza. Tra ciò che si pensa e ciò che si fa. Tra la leggerezza apparente e il peso reale delle responsabilità. Un racconto ruvido e necessario, che non cerca consolazione ma verità. E che, proprio per questo, resta addosso.






