Attualità - 02 luglio 2025, 17:00

Genova e il suo gigante dimezzato: le aree ex Ilva e la nuova scommessa della siderurgia sostenibile

La politica ha chiaramente detto che la vocazione resterà industriale, ma non tutto dipende dalle decisioni prese tra Comune e Regione

Genova e il suo gigante dimezzato: le aree ex Ilva e la nuova scommessa della siderurgia sostenibile

Un milione di metri quadrati affacciati sul porto, sospesi tra passato industriale e futuro incerto. Le aree ex Ilva di Genova, cuore storico della siderurgia italiana, sono oggi al centro di una partita complessa che intreccia crisi occupazionale, scelte ambientali e visioni urbanistiche. Un racconto che parte da lontano, tra ville nobiliari e altoforni, e arriva a un presente fatto di attese, bonifiche e ipotesi di rilancio. In fondo, è la storia di Cornigliano e di Genova tutta.

Quando Cornigliano era un giardino sul mare

Prima che il ferro e il carbone ne cambiassero l’orizzonte, Cornigliano era un’altra cosa. Un borgo di terra e di ville, un quartiere disteso tra i colli e il mare, dove l’aristocrazia genovese trascorreva le estati al riparo dai rumori del centro. Villa Durazzo Bombrini, Villa Spinola Canepa, Villa Serra: residenze nobiliari affacciate sul blu, ornate da giardini e scalinate, teatro di villeggiature e ricevimenti. In quel tempo, Cornigliano era ancora sinonimo di bellezza, non di fumo e rumore.
Poi l’industria. Prima l’Ansaldo, con le sue officine meccaniche. Poi, nel 1934, la SIAC (Società Italiana Acciaierie Cornigliano), voluta da Oscar Sinigaglia, ha preso forma su iniziativa dell’IRI. Per farle posto, il quartiere è stato riempito a mare, Castello Raggio è stato abbattuto, le ville inglobate o sacrificate. Un altro paesaggio ha preso forma, fatto di altoforni, gru, capannoni e rotaie. Sembrava che il prezzo da pagare per una modernità fosse accettabile.

Lo stabilimento che è diventato città

Negli anni Cinquanta, con la ricostruzione post-bellica e l’arrivo del Piano Marshall, il sogno industriale ha trovato concretezza. L’acciaieria è stata inaugurata nel 1953 ed è diventata uno dei cuori pulsanti dell’Italsider. Aveva tutto: altoforni, cokerie, laminatoi, raccordi ferroviari, banchine portuali. Ma non era solo una fabbrica, era una città nella città, con turni, sirene, mense, circoli ricreativi, perfino un teatro aziendale.
Ci lavoravano in migliaia e intorno alla fabbrica è cresciuto un intero quartiere operaio, vite intere scandite dal suono dell’industria. Per decenni, Cornigliano ha rappresentato l’identità profonda della Genova industriale. Ma ha anche conosciuto il rovescio della medaglia: l’inquinamento, l’usura ambientale, il prezzo da pagare sulla qualità della vita. Eppure, per molti, restava un prezzo accettabile in nome del lavoro.

La lunga crisi dell’acciaio e l’inizio della transizione

Negli anni Ottanta sono arrivati i primi segnali di crisi con una siderurgia in difficoltà, impianti invecchiati, un mercato in cambiamento. È così iniziata una lunga fase di privatizzazioni, prima con il gruppo Riva, poi con Ilva. A Cornigliano, tra il 2002 e il 2005, si sono spente le cokerie e l’ultimo altoforno, il ciclo integrale è stato dismesso. In cambio, circa 400mila metri quadrati sono stati formalmente restituiti alla città, attraverso un accordo di programma tra istituzioni e azienda.
Da quel momento, lo stabilimento ha continuato a vivere, ma in una forma diversa: niente più acciaio a caldo, solo lavorazioni a freddo, come zincatura e laminazione. Le maestranze sono diminuite, gli spazi si sono fatti più vuoti, il legame con il quartiere si è allentato. Ma l’acciaieria non è mai scomparsa. È rimasta lì, a presidiare una fetta di Cornigliano, con operai, incertezze, conflitti. Un gigante dimezzato.

Un milione di metri quadrati in bilico

Oggi, le aree ex Ilva sono un territorio strategico, urbanisticamente e politicamente. Si parla di un milione di metri quadrati affacciati sul porto, attraversati da ferrovie, vicini al casello autostradale e all’aeroporto. Uno spazio che fa gola a molti. Ma c’è un vincolo: l’accordo di programma del 2005 impone che quelle aree restino a destinazione industriale e, più precisamente, siderurgica. E finché non sarà chiaro il destino del gruppo Acciaierie d’Italia (ancora al centro delle trattative per la cessione), la linea del Comune, portata in Sala Rossa dal vicesindaco Alessandro Terrile e ribadita dalla sindaca Silvia Salis, è netta: non si tocca nulla, la vocazione resta industriale (leggi l’articolo cliccando QUI). Mentre il presidente della Regione Liguria, Marco Bucci, si lancia in rosee previsioni, ma mancano ancora dei passaggi cruciali (leggi l’articolo cliccando QUI).
Nel frattempo, però, crescono i segnali di crisi. La produzione è rallentata, Taranto è in difficoltà, gli impianti sono logori. I sindacati parlano di “situazione drammatica”, con la cassa integrazione che torna a mordere. Eppure, tra le ipotesi di rilancio, si fa strada quella del forno elettrico: una soluzione più sostenibile, meno inquinante, capace di riattivare la produzione a caldo senza riportare indietro l’orologio ambientale. Il Governo ci crede, Comune e Regione pure. Ma la partita è ancora tutta da giocare.

Non si può parlare del futuro di Cornigliano senza fare i conti con il suo passato. Una terra che ha conosciuto l’aristocrazia e la fabbrica, le feste barocche e le sirene di turno, la polvere di ferro e le bandiere dei cortei. Ha visto nascere e morire idee di sviluppo, visioni di progresso, illusioni collettive: lo specchio delle tante anime di Genova.

Pietro Zampedroni

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