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Attualità | 13 dicembre 2019, 17:56

Uno, nessuno, centomila. Facciamo quattrocento, circa

Il numero odierno dei pendolari genovesi che utilizzano il treno per raggiungere il posto di lavoro a Milano è di circa 400; tra loro ci sono 3 categorie: "saccentuoli pressapochisti", "bagagli umani" e "mugugnoni"...

Uno, nessuno, centomila. Facciamo quattrocento, circa

Certamente la vita da pendolare non è una “passeggiata di salute” e il rischio di “dare i numeri” non è così remoto, ma forse citare uno dei più grandi autori della letteratura italiana può apparire eccessivo e anche irriverente. Eppure non nascondo che proprio il protagonista del più famoso romanzo pirandelliano, che pone numerosi interrogativi al lettore e che descrive una sensazione di vuoto mentale, è una sorta di testimonial d’eccellenza del pendolare odierno. Quante volte per la testa di ognuno di noi passano domande del tipo: “Ma chi te lo fa fare di viaggiare tutti i giorni in treno?” oppure più banalmente: “Stasera, riuscirò ad arrivare a casa ad un'ora decente?” Tutti interrogativi che, seppur diversi tra loro per contenuto e profondità, sono accomunati dalla consapevolezza di non poter dare una risposta plausibile e dalla conseguente sensazione di vuoto interiore.

Ciò detto, mi ricollego a quanto detto nella puntata precedente (“Lascia o raddoppia? Quadruplica!”) per evidenziare che il numero odierno dei pendolari genovesi che utilizzano il treno per raggiungere il posto di lavoro a Milano e dintorni è di circa 400 (tra i quali vanno ricompresi anche i pochi ma tenaci colleghi delle due riviere), numero che si è sensibilmente ridotto negli anni. Le ragioni le ho già esposte nelle precedenti puntate e non voglio ripetermi: ci tengo solo a ribadire ciò che risulta a dir poco avvilente ossia che la situazione del trasporto ferroviario, non solo sulla tratta Genova-Milano così come in altre regioni d’Italia (dove lo stato dei trasporti ferroviari è semplicemente inqualificabile in quanto a vetustà del materiale e ad inadeguatezza delle infrastrutture), non solo non fa registrare dei segnali di miglioramento ma progressivamente ed inesorabilmente regredisce. Ho citato quanto accaduto il 3 dicembre scorso ma anche venerdì 6 dicembre, per concludere “degnamente” una pessima settimana, un guasto ad un convoglio precedente al nostro treno nella tratta Tortona-Arquata Scrivia, ha determinato il pressoché totale blocco della circolazione non potendo i treni che lo seguivano essere deviati sull’altro binario. Conclusione: l’InterCity 679 sul quale viaggiavamo non solo noi pendolari ma anche molti viaggiatori del weekend è arrivato Genova con oltre un’ora di ritardo, con uno stato d’animo che era un mix tra l’incazzatura e la depressione più totale. La rabbia, al di là dell’emotività del momento, è peraltro ampiamente giustificata dal fatto che è assolutamente evidente che se nel corso degli anni fossero state già realizzate le opportune (anzi, necessarie) infrastrutture tra Genova ed il capoluogo lombardo (ossia: “Terzo Valico” e Quadruplicamento della Tortona-Milano), problemi tipo quelli accaduti la scorsa settimana sarebbero gestibili in modo decisamente più efficace. Sono anni che si parla di realizzare tali fondamentali infrastrutture ma il traguardo della loro definitiva realizzazione è ancora ben lontano.

Ora, è proprio a causa di situazioni come quelle accadute la scorsa settimana che nel corso degli ultimi anni molti genovesi e residenti nelle due riviere, aventi la propria sede di lavoro a Milano, si sono arresi rinunciando a sobbarcarsi il quotidiano su e giù in treno: troppo stress, troppi problemi sul posto di lavoro per coloro (e sono la maggioranza) tenuti a timbrare il cartellino e soprattutto l’impossibilità di condurre una vita normale: dopo aver trascorso una giornata intera tra il posto di lavoro ed il treno (ove mediamente ci passi almeno 4 ore al netto di ritardi vari), arrivi a casa certo nelle condizioni non ottimali per dedicarti ai tuoi interessi e alle tue relazioni personali. Chi ha potuto ha stabilito la propria dimora a Milano e dintorni (ove peraltro, come noto, i prezzi sono mediamente molto elevati) mentre pochi “eletti” hanno successivamente trovato lavoro a Genova. Certamente, come ho già scritto in precedenti occasioni, il viaggiare in treno tutti i giorni ha anche i suoi aspetti positivi e in questo caso il vedere il bicchiere mezzo pieno non è determinato solo dal piacevole rituale dell’aperi-treno: si possono fare nuove conoscenze e stringere amicizie e, perché no, allacciare relazioni di un certo interesse (ehm, ehm… ci siamo capiti), e si ha molto tempo a disposizione per dedicarsi alla lettura di un buon libro o alla visione di un film sul tablet. Ma certo ciò non è sufficiente per definire piacevole fare il pendolare.

Ho già scritto del mio modo di vivere la quotidianità del viaggiare in treno e, in particolare, del fatto che l’ascolto della mia musica preferita e la lettura di una rivista o di un libro mi aiutano a trascorrere meglio tutto quel tempo ma devo dire che trovo comunque interessante anche osservare il campionario umano che offre la platea dei pendolari, genovesi e non. Ironicamente (ma non troppo) ho fatto cenno nella scorsa puntata del neodarwinismo e del fatto che non pochi esponenti del pendolarismo ferroviario presentano connotati tali che richiedono quanto meno una profonda analisi psicologica (a volte anche psichiatrica) in quanto essi smentiscono le teorie evoluzioniste.

In particolare si possono individuare della macro categorie di pendolari genovesi e liguri che presentano caratteristiche degne di essere analizzate da antropologi molto preparati. Vediamole:

  1. i “saccentuoli pressapochisti”: sono quelli che, pur non documentandosi per nulla e nutrendosi di loghi comuni degni di chi non hai mai utilizzato un treno nella propria vita, fanno delle considerazioni sulle tematiche (e problematiche) del trasporto ferroviario che sono avvilenti per non dire irritanti. C’è un tasso di supponenza e presuntuosità tale nelle loro affermazioni che, avendone la voglia e la pazienza, devi impiegare non poco del tuo tempo a spiegare che stanno asserendo delle grandi castronerie. Eppure sono convinti di sostenere argomenti ragionevoli e dotati di un qualche fondamento: è faticoso per il mio “socio” del Comitato “Genova-Milano Newsletter” e per il sottoscritto far comprendere la complessità di temi che non possono essere trattati con un pressapochismo sconcertante. E spesso parliamo di persone dotate, almeno sulla carta, di titoli di studio che dovrebbero consentire loro di fare dei ragionamenti di un certo spessore.

  2. i “bagagli umani”: sono in parte accomunati alla categoria precedente dal fatto di viaggiare da molto tempo sulla stessa tratta utilizzando gli stessi treni ma, a differenza dei precedenti, hanno almeno il buon gusto di non propinarti pseudo argomentazioni spacciandole per considerazioni approfondite e documentate. No, loro sono proprio assenti sui temi del trasporto ferroviario: non distinguono quasi un InterCity da un Regionale Veloce, non ricordano i numeri dei treni che utilizziamo prevalentemente (la cosa non è banale: se devi regolarti per decidere all’ultimo minuto, in caso di problemi di linea o di ritardi, quale treno prendere utilizzando le app ad hoc, non sapere il numero del treno non è irrilevante), tanto meno si rendono conto, anche con la luce del giorno, in quale punto della tratta Genova-Milano ci si trova. E parliamo di persone che viaggiano da molti più anni di me (spesso oltre 10 o addirittura 15 anni!). Alcuni di loro, peraltro, li conosco bene e fanno parte oramai delle mie amicizie pendolaristiche e quindi vivo il loro “assenteismo” con una certa benevolenza.

  3. i “mugugnoni”: beh, potevano mancare tra i pendolari genovesi quelli che fanno del mugugno un modus vivendi e quasi una ragion d’essere? Certo che no! Per carità, di lamentarsi ne abbiamo tutti ben donde, le condizioni di viaggio sono quelle che sono come credo di aver ormai illustrato ampiamente. Ma un conto è fare delle valutazioni mirate e documentate e farsene portavoce nelle sedi opportune, pur nella consapevolezza che la nostra forza “contrattuale” è decisamente scarsa, un altro è mugugnare sempre e comunque, anche quando oggettivamente non ce ne sono i presupposti, salvo poi guardarsi bene dall’essere partecipi alle iniziative che pure dovrebbero vedere tutti coinvolti. Invece totale disinteresse sul merito delle problematiche relative al trasporto ferroviario (nessuno nasce preparato, come si suol dire, ma documentarsi su questioni che ti riguardano da vicino sarebbe espressione di un modo consapevole di vivere la propria vita di cittadino e di utente) ma grande reattività e prontezza quando c’è da lamentarsi, a prescindere dalla fondatezza del proprio mugugno. Emblematiche, ad esempio, le situazioni nelle quali alcuni pendolari, a fronte dei soliti problemi di linea o delle carrozze, inveiscono sui Capi Treno (degli InterCity in particolare) che in determinate circostanze non hanno praticamente nessuna responsabilità né possono più di tanto incidere positivamente su certe situazioni. Ovviamente ci sono esponenti del P.D.B. (Personale di Bordo) che a volte sono irritanti per la loro sprovvedutezza e per il loro atteggiamento quasi indisponente, ma occorre dire che la stragrande maggioranza di essi sono persone che svolgono il loro lavoro con grandi professionalità e dedizione, spesso facendosi carico con abnegazione di problematiche che solo una discutibile gestione da parte dell’azienda ferroviaria fa ricadere completamente sulle loro spalle.

Occorre poi dire che oltre a queste macro-categorie, vi sono dei casi singoli che veramente definirei “clinici” così come ve ne sono altri che avrebbero stimolato la narrazione romanzata di un grande scrittore come Luigi Pirandello. Anche su questi avrò modo nelle prossime occasioni di farne cenno perché sono sicuramente meritevoli di essere portati all’attenzione dei lettori di questa rubrica.


The Voice: Benissimo Egomet, molto interessante questa analisi antropologica del pendolare genovese. Ma lei, a quale categoria pensa di appartenere? Come si definirebbe?

Egomet: Domanda legittima, indubbiamente. Come definirmi? Un saccentuolo bagaglio umano che, a volte, mugugna. Insomma, un ibrido!

The Voice: Non esageri, Egomet! Non ci sembra che lei assembli in sé tutte queste connotazioni non certamente molto positive…o no?

Egomet: Ovviamente! Come avrà certamente capito, credo di essere una persona dotata di grande auto-ironia. Venendo alla sua domanda, premesso che definire sé stessi è una cosa non facile, le posso rispondere dicendo solo ciò che cerco di essere e che è tutt’altro che banale e semplice: un cittadino, un utente ed un pendolare consapevole e non inerte.


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