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Eventi | 10 giugno 2024, 18:23

Teatro Nazionale di Genova, presentata una stagione ricca di emozioni e novità

Settanta spettacoli, grandi nomi e collaborazioni internazionali per una programmazione che punta su innovazione e giovani talenti

Teatro Nazionale di Genova, presentata una stagione ricca di emozioni e novità

Il Teatro Nazionale di Genova, diretto da Davide Livermore, presenta la stagione 2024/25 con un calendario eccezionalmente variegato e stimolante. Con 70 spettacoli, di cui 18 produzioni, la nuova stagione offre collaborazioni con le principali realtà teatrali e mette in luce voci femminili e giovani compagnie emergenti. Tra le proposte, opere di autori come Shakespeare, Pirandello, Eduardo De Filippo e moderni classici come David Bowie e Neil Simon.

Sul palcoscenico dei teatri Ivo Chiesa, Eleonora Duse, Gustavo Modena e Sala Mercato si alterneranno noti artisti come Lino Guanciale, Silvio Orlando, Sonia Bergamasco e Michele Placido. La stagione sarà inaugurata il 12 ottobre con un progetto di Livermore su Henry James, che unisce prosa e opera.

Davide Livermore dichiara: 

“Alla follia di una società che continua a fare guerre, che infierisce contro il pianeta, che dimentica il senso di comunità a vantaggio di un individualismo galoppante, vogliamo contrapporre la forza rivoluzionaria e lo sguardo critico del teatro. Desideriamo che le follie della nuova stagione teatrale siano quelle di uomini e donne capaci di vincere la banalità con l’amore e la creatività. Follie di cuori che spezzano le ipocrisie. Follie di artisti certi che raccontare storie possa nutrire l’anima del mondo”.

La campagna abbonamenti si apre con ottimi dati dalla stagione 2023/24, che ha visto oltre 115.000 spettatori e una crescita degli abbonati under 30. Gli abbonamenti a 8 e 15 spettacoli e l’abbonamento Under30 a 6 spettacoli sono in vendita dal 10 giugno al 12 luglio 2024, con una promozione che permette di risparmiare fino al 70% sui biglietti dei singoli spettacoli. I biglietti per il doppio spettacolo Giro di vite / The Turn of the Screw sono già disponibili.

IL PROGRAMMA

12 – 27 ottobre Teatro Ivo Chiesa

Giro di vite

di Henry James

traduzione e adattamento Carlo Sciaccaluga
regia Davide Livermore

interpreti Linda Gennari, Gaia Aprea, Aleph Viola,

Virginia Campolucci, Ludovica Iannetti, Luigi Bignone

musiche Giua e Mario Conte

scene Manuel Zuriaga | costumi Mariana Fracasso | luci Antonio Castro

produzione Teatro Nazionale di Genova

 

Nell’Inghilterra di fine Ottocento una giovane istitutrice si convince che i due bambini di cui si prende cura dialoghino con i fantasmi della precedente istitutrice e di un maggiordomo, entrambi morti in circostanze misteriose. È questa la trama di una delle più celebri ghost story di sempre, che coniuga i topos della letteratura gotica con una finissima indagine psicologica, in un crescendo di inquietudine. Perfetta nella sua costruzione, ci lascia con la terribile sensazione che non ci sia soluzione al male.

Qual è l’origine del Male? Siamo noi a decidere di farlo, o è il Male stesso a contaminarci e renderci suoi servi? Giro di Vite è una storia fantastica, ma con tratti psicologicamente così realistici da straziarci. E come si legge nella prima pagina del racconto, se di mezzo ci sono dei bambini allora all’orrore si dà un ulteriore “giro di vite”: perché questa è la storia di un abuso nei confronti di bambini e di tutto il male che ne deriva. Carlo Sciaccaluga

Questo testo è da portare alla gente perché con la poesia, la letteratura e il teatro ci guida all’interno del dolore, dei meccanismi che portano a queste violenze. Meccanismi mai manifesti, anzi sempre celati, o appena sussurrati, di nascosto accennati. Con una scrittura che è un abbraccio poetico James ci coinvolge in un dramma che entra a far parte della nostra vita, ci porta dentro la modalità di costruzione degli alibi che le persone si creano, che la società si crea. E tutto ciò accade attraverso il processo di Mimesi così ben spiegato da Aristotele: l’imitazione del vero attraverso metafore, spostamento, imperfezioni, e non attraverso la cronaca. Così questa opera diventa universalmente condivisibile, durissima e dolorosa. Davide Livermore 

12 - 20 ottobre Teatro Ivo Chiesa

The Turn of the Screw

musica Benjamin Britten

libretto Myfawny Piper

maestro concertatore e direttore d’orchestra Riccardo Minasi

regia Davide Livermore

con Valentino Buzza, Karen Gardeazabal, Oliver Barlow,

Lucy Barlow, Polly Leech, Marianna Mappa

scene Manuel Zuriaga | costumi Mariana Fracasso
luci Antonio Castro | regista assistente Giancarlo Judica Cordiglia
produzione Opera Carlo Felice Genova

Opera in prologo e due atti, The Turn of the Screw (Il giro di vite) è stata composta nel 1954 da Benjamin Britten, su libretto di Myfanwy Piper dall’omonimo racconto di Henry James.

La prima rappresentazione si tenne al Teatro La Fenice di Venezia nel settembre dello stesso anno, con Britten alla direzione dell’English Opera Group e con Peter Pears nella parte di Peter Quint.

L’opera riprende la trama di James, della quale sono protagonisti un’istitutrice, i bambini che le vengono affidati, Flora e Miles, la governante Mrs. Grose e due fantasmi, Miss Jessel e Peter Quint, che rappresentano due manifestazioni del Male. Lo scrittore esplora i temi dell’infanzia, dell’inconscio e della morte attraverso un crescendo di inquietudine che si dissolve tragicamente solo alla fine.

La struttura dell’opera di Britten è complessa e singolare: al prologo che introduce i personaggi e l’azione, seguono due atti dalla conformazione simmetrica, costituiti ciascuno da otto scene alle quali si alternano quindici interludi musicali, variazioni del tema esposto dopo il prologo. Ogni variazione cambia tonalità, secondo un moto che ascende lungo i gradi della scala cromatica dalla tonalità di la minore alla tonalità la maggiore. La scrittura orchestrale è di grande raffinatezza e si articola attraverso un sistema di rimandi tra temi, colori e timbri finalizzato a sottolineare quello stesso crescendo orrorifico che determina l’azione drammaturgica.

The Turn of Screw è l’opera di Britten più vicina ai modelli di Bartók e Berg, la cifra sperimentale risulta particolarmente evidente nella struttura improntata al serialismo, dove trovano però ampio spazio soluzioni personali e innovative, a fare di questo titolo uno dei più rappresentativi del teatro musicale del compositore.

I due spettacoli, prosa e opera a seguire, vengono presentati insieme, grazie anche alla collaborazione del Palau de les Arts Reina Sofia Valencia, con il seguente calendario:

- sabato 12, mercoledì 16 e venerdì 18 ottobre ore 19.30

- domenica 13 e 20 ottobre ore 15

30 ottobre – 10 novembre Teatro Gustavo Modena
Roberto Zucco

di Bernard-Marie Koltès

traduzione Francesco Bergamasco

adattamento, regia, scene e video Giorgina Pi

interpreti Valentino Mannias, Andrea Argentieri, Flavia Bakiu, Monica Demuru

Gaia Insenga, Giampiero Judica, Dimitri Papavasiliou, Aurora Peres, Alessandro Riceci Alexia Sarantopoulou

costumi Sandra Cardini, Gianluca Falaschi

colonna sonora originale Valerio Vigliar - ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai

produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Metastasio di Prato, RomaEuropa Festival

un progetto di Bluemotion in accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di François Koltès

in collaborazione con Istituto Italiano di Cultura a Parigi

«Roberto Zucco – scrive la regista Giorgina Pi, artista residente al TNG – arriva per me dopo anni di lavoro sulla riscrittura della tragedia greca. Dopo “Tiresia”, “Filottete” e “Pilade”, dopo aver attraversato le visioni di Kae Tempest, Sofocle, Adrienne Rich, Heiner Müller, Pier Paolo Pasolini, ecco finalmente Bernard-Marie Koltès. Lo sguardo è su un antieroe, su un personaggio che del mito prende la capacità di mettere in luce pieghe oscure dell’umano, le più turpi come ad esempio il matricidio».

Anche per questo Giorgina Pi, con il gruppo Bluemotion, ha scelto di affrontare Roberto Zucco: per il fondamento tragico di questo testo complesso, cupo, dolente. Ultima opera scritta da Koltès prima della sua prematura scomparsa nel 1989, Roberto Zucco prende spunto da un vero fatto di cronaca. L’autore trasporta sulle scene le gesta violente dell’italiano Roberto Succo, mandato in prigione a diciotto anni per aver ucciso i suoi genitori, poi evaso, sempre in fuga, inseguito dalle polizie di tre stati, ma implacabile nella sua attività criminale. Ricercato e finalmente arrestato, Succo si è suicidato nel carcere di Vicenza il 28 maggio 1988. Per un autore sensibile e umbratile come Bernard-Marie Koltès, unanimemente considerato un gigante della drammaturgia europea del Novecento, la storia del giovane criminale italiano è lo spunto per tessere, in una scrittura sublime, il racconto scandaloso di una esistenza bruciata.
«Per me – scrive ancora Giorgina Pi – è l’incarnazione contemporanea dell’ossessione della sfida come forma di follia del nostro tempo, incisa in un mondo impari e costitutivamente violento. Questa dimensione dell’esistere è raccontata da uno straordinario coro di personaggi. Questa miriade di volti avvolge Zucco in un ritmo serrato, in un découpage che assomiglia a quello di una sceneggiatura cinematografica».

5 – 10 novembre Teatro Eleonora Duse

La decapitazione di Marco Gualco

scritto e diretto da Riccardo Cacace

interpreti Marco Gualco, Vincenzo Castellone, Matteo Sintucci, Susanna Valtucci, Riccardo Cacace, Matteo Alfonso

scenografia Marco Gualco

luci, costumi, editoria e sound design Riccardo Cacace

consulenza artistica Daniele D’Angelo, Massimo Mesciulam, Claudia Monti

produzione Teatro Nazionale di Genova, Centro Teatrale Bresciano,

Centro Teatrale MaMiMò 

Un uomo, che si definisce “meschino”, implora il suo boia di ritardare l’esecuzione, per raccontare la sua storia. Il boia posa l’ascia e ascolta. Ecco allora una serie di ricordi, sulle ultime settimane di vita dell’uomo, che verranno svelati al boia nel velleitario intento di impietosirlo. Ma le ragioni della condanna a morte verranno a galla, e con loro il segreto che si cela dietro la presunta meschinità. Questo è l’intrigante e scarno riassunto de La decapitazione di Marco Gualco, opera prima dell’autore e regista Riccardo Cacace e della giovanissima compagnia “La corte di Pagobardo”, formata da un gruppo di ex allievi della Scuola del Teatro Nazionale di Genova. In scena, a vestire i panni del protagonista è Marco Gualco, in una curiosa mise-en-abyme, che gioca con il titolo della storia; e con lui Susanna Valtucci, Vincenzo Castellone, Matteo Sintucci, Matteo Alfonso e lo stesso Cacace. Il lavoro, incoraggiante debutto autorale e scenico, fa emergere una scrittura consapevole e tagliente, con un allestimento che ha la febbrile tensione della gioventù e l’amara consapevolezza di una sorprendente sapienza scenica. In una originalissima evocazione della tragedia greca, lo spettacolo è un continuo alternarsi di tempi e situazioni, senza un preciso ordine cronologico: passato e presente si intrecciano sotto lo spettro ineluttabile del futuro incombente. Nel flusso della memoria, nella febbrile confessione del protagonista, interrotta dalle considerazioni del boia emergono, come schegge di impazzite vicende personali, figure che sono specchio distorto ma consapevole degli ultimi giorni di vita dell’uomo, cui è toccato in sorte fare i conti con la propria finitezza e le proprie paure. La scure del boia è là, in tutta la sua macabra evidenza, pronta a recidere ogni legame con la realtà e a eseguire la condanna definitiva.

21 – 24 novembre Sala Mercato

Big in Korea

di Francesco d’Amore e Luciana Maniaci

regia Luciana Maniaci e Kronoteatro

interpreti Tommaso Bianco, Maurizio Sguotti

disegno luci Alex Nesti

scene e costumi Francesca Marsella

produzione Teatro Nazionale di Genova, Kronoteatro

con il sostegno di Teatro La Contrada di Trieste - progetto Vettori 

Big in Korea è il nuovo frutto del proficuo incontro tra Maniaci d’Amore e Kronoteatro, due attivissimi gruppi della scena italiana. In questo testo – scrivono gli autori, Luciana Maniaci e Francesco d’Amore – si esplora «un momento di soglia nella vita, quello in cui si è quasi pronti. Quasi pronti a spiccare il volo. Quasi pronti a mollare la presa. Quasi pronti ad entrare nella vita, o a lasciarla. E si chiedono se il territorio del “quasi” possa espandersi all’infinito, fino a coprire tutta la superficie di una esistenza». Interpretata con sincera adesione da Tommaso Bianco e Maurizio Sguotti, la vicenda narra di una sfuggente relazione – forse un’amicizia, forse più – tra un giovane e il suo vecchio allenatore di calcio. Da decenni i due si trovano ogni domenica al campetto del paese, ma non si allenano. Parlano, studiano, sognano: non è ancora il tempo, il momento in cui potranno iniziare a giocare. Così passa la vita, sognando di trasferirsi in Korea dove, a quanto pare, c’è sempre la possibilità di iniziare una carriera: anche per un vecchio solo e depresso e un ex giovane, ormai uomo, che ha superato i 35 anni di età. La dinamica tra i due è svelata con commovente lucidità, in una storia delicata e aspra, che svela il bisogno diffuso di costruire una realtà di sogno, fittizia, immaginifica, dove finalmente non si potrà mai fallire. Così, tra i fondamentali del calcio che si mescolano a dinamiche esistenziali, tra palloni che non rimbalzano e corse con l’asma, i due esserini, confinati in una periferia più emotiva che geografica, si ritrovano vecchi – quasi personaggi beckettiani – in attesa di una vita che non potrà mai arrivare.

Con Big in Korea si rinnova anche la collaborazione produttiva del Teatro Nazionale di Genova con la compagnia Kronoteatro di Albenga, nell’ambito di un più ampio progetto di sostegno del teatro genovese e ligure.

 

26 novembre – 1 dicembre / 10 – 13 dicembre Sala Mercato

La traiettoria calante

di e con Pietro Giannini

consulenza drammaturgica Comitato parenti delle vittime Ponte Morandi

produzione Teatro Nazionale di Genova

primo studio edizione 2023 – Powered by REF

«Ho diciassette anni. Devo andare con mio padre in campagna. Piove a dirotto. Stiamo caricando i bagagli in macchina. Il suono di un tuono lontano ci fa sobbalzare. Una nuvola di polvere, in mezzo alle case, si alza dalla terra per andare ad abbracciare le sue sorelle. Rumore di sirene e antifurti. Il Ponte Morandi si è appena sgretolato. Suona il telefono. Mia madre dall’altro lato urla. Pensa che si stia solo immaginando la mia voce e che io in realtà sia morto…»
La vicenda narrata sul palcoscenico è un dramma a tutti gli effetti. Il 14 agosto 2018, a Genova, crolla la principale arteria della città. Si scatena un effetto domino che investe le persone e le cose. La traiettoria calante può accettare sul palcoscenico un solo corpo, un unico testimone inerme, un Amleto moderno perseguitato dai fantasmi di chi era prima di lui ed ora non è più. La scena (del crimine) è nuda, niente più è rimasto; dopo le macerie, neanche più ricostruzione. In questo logorante vuoto, nell’assordante rumore dell’assenza, l’interprete può solo cercare di fuggire il buio attraverso la testimonianza, qualunque essa sia».

Con queste parole il giovanissimo Pietro Giannini, classe 2000, presenta il suo lavoro dedicato al crollo del Ponte Morandi. Un lavoro in cui si intrecciano ricordi personali, interviste, ricostruzione dei fatti, pezzi evocativi di una città, Genova, travolta da quella tragedia, ma in grado di affrontarla con la dignità e la forza tipica dei genovesi. Figura emergente della scena italiana, attore e autore diplomatosi alla Accademia “Silvio d’Amico” di Roma, il genovese Giannini sarà ospite nella stagione del TNG non solo con, La traiettoria calante ma anche con il più intimo e personale “La costanza della mia vita”, sua opera prima, scritta nel 2022.

 

Prima assoluta

17 - 22 dicembre Teatro Gustavo Modena
Chi ha ucciso Adriana Lecovreur?

1924 - 2024: 100 anni dalla morte di Eleonora Duse

 

drammaturgia e regia Elisabetta Pozzi

interpreti Elisabetta Pozzi e gli allievi del Master della Scuola di Recitazione “Mariangela Melato”

musiche Daniele D’Angelo

produzione Teatro Nazionale di Genova

 

 

Elisabetta Pozzi, regista dello spettacolo e direttrice didattica della Scuola di Recitazione dice: «Penso sia di grande interesse per gli allievi del Corso di Alta Formazione della Scuola e, naturalmente, per il pubblico, in occasione del centenario della morte di Eleonora Duse, un approfondimento sulla figura della Divina. Sulla sua vita privata e pubblica, sulla sua capacità interpretativa dallo stile inconfondibile. Duse è stata un’artista tanto carismatica quanto irrequieta, che fu in grado di rompere gli schemi del teatro ottocentesco; un’attrice di enorme successo, ammirata dai più importanti artisti dell’epoca, da D’Annunzio a Cechov, fino a Chaplin.  

Nel 1893, Duse portò in scena, tra l’altro, “Adriana Lecouvreur”, testo scritto da Eugène Scribe e Ernest Legouvé (lavoro più tardi musicato da Cilea per l’omonima opera lirica) ispirato alla storia di una grande attrice del XVIII secolo realmente vissuta: elegante, inquieta, raffinata, anche lei innovatrice del repertorio e dei registri recitativi della sua epoca.

Il progetto propone dunque un lavoro drammaturgico che integri la messa in scena della “Adriana Lecouvreur”, immaginandolo portato in scena proprio dalla stessa Duse. Ma tale episodio è lo spunto per l’evocazione di un teatro di cui si è ormai persa memoria, popolato da figure che non hanno più ragione di esistere come suggeritori, trovarobe, portaceste, macchinisti tuttofare… Un teatro che prevedeva compagnie di giro con un sistema di lavoro incentrato sul repertorio, su decine di testi da portare in scena in periodi limitati, e che imponeva un impegno e un ritmo di lavoro spasmodici, ma che la Duse con il suo imperativo di  “fare dell’arte vera”, gestiva e dirigeva con grande  autorità e precisione.

Uno dei personaggi del testo, il direttore di scena Michonnet (che interpreterò io stessa) oltre a far procedere la storia, sarà anche il narratore degli aspetti più toccanti del vivere in scena, in quegli anni, accanto a Eleonora Duse».

 

27 dicembre – 6 gennaio Teatro Gustavo Modena

L’avaro

di Molière

traduzione e adattamento Letizia Russo

regia Luigi Saravo

interpreti Ugo Dighero, Mariangeles Torres, Fabio Barone, Stefano Dilauro

Cristian Giammarini, Paolo Li Volsi, Elisabetta Mazzullo, Rebecca Redaelli, Luigi Saravo

musiche Paolo Silvestri

scene Luigi Saravo, Lorenzo Russo Rainaldi

luci Aldo Mantovani

produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Bolzano,

Centro Teatrale Bresciano, Artisti Associati Gorizia

 

Dopo il successo dello scorso anno Ugo Dighero, torna a vestire i panni di Arpagone nella messa in scena di Luigi Saravo

Nella commedia di Molière si assiste a un epico scontro tra sentimenti e soldi. Il protagonista è disposto a sacrificare la felicità dei figli, pur di non dover fornire loro una dote e, anzi, acquisire nuove ricchezze attraverso i loro matrimoni.

«L’Avaro di Molière ruota attorno a un tema centrale, cui tutti gli altri si riconnettono: il danaro - afferma il regista - Il conflitto tra Arpagone e il suo entourage è il conflitto tra due visioni economiche: una consumistica e una conservativa. Nella nostra contemporaneità, in cui vige l’imperativo di far circolare il danaro inseguendo una crescita economica infinita, il gesto immobilista di Arpagone, ossessionato dall’idea di non intaccare il proprio patrimonio, suona quasi sovversivo, in opposizione alla tirannia del consumo».

La regia di Saravo ambienta lo spettacolo in una dimensione che rimanda al nostro quotidiano, giostrando riferimenti temporali diversi, dagli smartphone agli abiti anni Settanta agli spot che tormentano Arpagone (la pubblicità è il diavolo che potrebbe indurlo nella tentazione di spendere il suo amato denaro). Anche le musiche originali di Paolo Silvestri si muovono su piani diversi, mentre la nuova traduzione di Letizia Russo, fresca e diretta, contribuisce a dare al tutto un ritmo contemporaneo.

A fianco di Ugo Dighero, Mariangeles Torres è impegnata nel doppio ruolo di Freccia, il servitore che sottrae la cassetta di denaro di Arpagone, e la domestica / mezzana Frosina, ovvero i due personaggi che muovono l’azione, scatenando l’irresistibile gioco degli equivoci, sino al ribaltamento di tutte le carte in tavola.

 

Prima assoluta

7 – 12 gennaio Sala Mercato

Come trattenere il respiro

di Zinnie Harris

traduzione Monica Capuani
regia Marco Plini

intrepreti Fabio Banfo, Luca Cattani, Cecilia Di Donato, Alice Giroldini, Marco Maccieri

produzione Teatro Nazionale di Genova, Centro Teatrale MaMiMò

 

 

«È un Faust al femminile – scrive il regista Marco Plini a proposito di Come trattenere il respiro – una storia in cui la protagonista attraversa le contraddizioni del nostro sistema di vita, in una favola nera dai contorni crudelmente comici». La storia racconta della giovane Dana, che fa l’amore con uno sconosciuto. Un tipo strano, inquietante. Forse il diavolo… E da quel momento la sua vita cambia. Si trova ad affrontare, assieme alla sorella, una travolgente avventura: un allucinante viaggio da Berlino ad Alessandria d’Egitto. Accompagnata da uno strano bibliotecario che le propone manuali per ogni evenienza, le due donne attraversano un mondo che si sfalda, che crolla su se stesso, in una sistematica inversione di ogni regola e di ogni certezza. «La metafora del ribaltamento – spiega Plini – arriva fino al punto finale in cui Dana è coinvolta nel naufragio di un barcone di profughi che dall’Europa vogliono raggiungere l’Africa». Scritto con la consueta cifra caustica ed apocalittica dalla apprezzatissima autrice scozzese Zinnie Harris, Come trattenere il respiro arriva in scena grazie alla dinamica compagnia MaMiMò, nella felice traduzione di Monica Capuani e con l’interpretazione di un affiatatissimo gruppo di cinque interpreti che aderiscono con intelligenza alla rocambolesca scrittura di Harris. «Questo flusso di situazioni allucinatorie – conclude Marco Plini – è condotto dall’autrice con un atroce senso ironico, svuotando la metafora di qualsiasi possibilità tragica: una storia in cui il bene e il male si scambiano continuamente di posto. È una metafora sull’esistenza moderna, sulla finzione in cui viviamo, sulla finzione della civilizzazione e del controllo sulla propria vita». Starà al pubblico decidere se quel viaggio verso l’irraggiungibile Alessandria d’Egitto, sia così lontano dalla realtà.

 

14 – 19 gennaio Teatro Ivo Chiesa

Don Giovanni

di Molière, Da Ponte, Mozart

adattamento e regia Arturo Cirillo

con Arturo Cirillo, Irene Ciani, Rosario Giglio, Francesco Petruzzelli, Giulia Trippetta, Giacomo Vigentini

scene Dario Gessati

costumi Gianluca Falaschi

luci Paolo Manti

musiche Mario Autore

produzione Teatro Nazionale di Genova, Marche Teatro,

Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Emilia-Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

 

Presentando il suo allestimento di Don Giovanni, il regista e attore Arturo Cirillo scrive: «Questa irrefrenabile corsa verso la morte – l’opera si apre con l’assassinio del Commendatore e si conclude con lo sprofondare di Don Giovanni nei fuochi infernali –, questa danza disperata, ma vitalissima, sempre sull’orlo del precipizio, questa sfida al destino (o come direbbe Amleto: “al presentimento”) mi appare in tutta la sua bellezza e forza. Chi conosce un po’ il mio teatro lo sa: tra i miei autori prediletti vi è decisamente Molière, ma per affrontare Don Giovanni mi è parso naturale lavorare su una drammaturgia che riguardasse non solo il testo di Molière, appunto, ma anche il meraviglioso libretto di Lorenzo Da Ponte, una delle opere più alte, dal punto di vista linguistico, della letteratura italiana».

Dunque Arturo Cirillo si confronta con uno dei miti più complessi e intramontabili della cultura occidentale: Don Giovanni, il libertino, il blasfemo, il seduttore, il maledetto. Una storia e un personaggio che affondano le proprie origini nella cultura spagnola, francese e italiana del Settecento e abbraccia prosa e opera: «Anche il discorso musicale – continua Cirillo – mi coinvolge da sempre, e quindi ho deciso di raccontare questo personaggio assoluto, che è Don Giovanni, usando forme e codici diversi, conservando di Molière la capacità di lavorare su un registro comico paradossale e ossessivo, che a volte sfiora il teatro dell’assurdo, e di Da Ponte la poesia e la leggerezza, che a volte è una “drammatica leggerezza”. Poi c’è la musica di Mozart, che di questa vicenda riesce a raccontare sia la grazia che la tragedia ineluttabile. Perché in fondo questa è anche la storia di chi non vuole, o non può, fare a meno di giocare, recitare, sedurre; senza fine, ogni volta da capo, fino a morirne».

 

21 - 26 gennaio Teatro Ivo Chiesa

Edipo Re

di Sofocle

traduzione Fabrizio Sinisi

adattamento e regia Andrea De Rosa

interpreti Francesca Cutolo, Francesca Della Monica, Marco Foschi,

Roberto Latini Frédérique Loliée, Fabio Pasquini

scene Daniele Spanò

luci Pasquale Mari

suono G.U.P. Alcaro

costumi Graziella Pepe

produzione Teatro Nazionale di Genova, TPE - Teatro Piemonte Europa,

Teatro di Napoli - Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura,

Emilia-Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

 

Forse è una questione di luce. O di oscurità. O ancora di parole o di Verità. Certo, Edipo Re, la “tragedia perfetta”, è un magma insondabile, un concentrato di domande assolute. Ora torna in scena nel sontuoso allestimento di Andrea De Rosa, da un lato mette in evidenza un elemento importante, affidando allo stesso attore i ruoli dell’indovino Tiresia e di tutti i messaggeri. «Non si tratta di uno stratagemma registico – spiega De Rosa – ma di mettere in scena un personaggio che, di volta in volta, rappresenti una manifestazione del dio Apollo, della sua voce oscura, dei suoi oracoli». D’altra parte, il regista, da sempre attento alla tragedia greca, pone questo allestimento in continuità con precedenti lavori: «Edipo è un proseguimento del lavoro iniziato con Le Baccanti. Se in quello tutto ruotava intorno alla figura e alla voce di Dioniso, in questo il protagonista nascosto sarà Apollo. A queste divinità non dobbiamo smettere di prestare ascolto se è vero, come dice Platone, che “i più grandi doni vengono dati agli uomini dagli dei attraverso la follia”. A quella follia è sicuramente legata la nascita, forse anche il destino, del teatro occidentale».

A firmare il coerente adattamento è il drammaturgo Fabrizio Sinisi, che ha connotato il testo come un “saggio” sul dio Apollo, mentre le scene, dal carattere fortemente installativo sono di Daniele Spanò e l’intenso light design è di Pasquale Mari. Un ottimo cast – in cui spiccano i nomi di Marco Foschi e Frédérique Loliée, e con loro Francesca Cutolo, Francesca Della Monica, Roberto Latini, Fabio Pasquini – dà corpo e voce al disegno registico. L’esito scenico è di indubbio valore: come ha scritto Enrico Fiore sul Corriere del Mezzogiorno «uno spettacolo ad un tempo severo e attraversato dagli aliti di un segreto calore – quello che è sempre stato, e non può non essere, il fine del teatro».

 

28 gennaio - 2 febbraio Teatro Ivo Chiesa

Sarabanda

di Ingmar Bergman

regia Roberto Andò
interpreti Renato Carpentieri, Alvia Reale, Elia Schilton, Caterina Tieghi

scene Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
musiche Pasquale Scialò
suono Hubert Westkemper
produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale

Teatro Biondo Palermo

 

Sebbene pensata per il cinema, Sarabanda, ultima opera di Ingmar Bergman trasmessa nel 2003 in televisione, ha una struttura straordinariamente affine al linguaggio teatrale. In questa sorta di testamento artistico, il Maestro svedese torna a parlare dei protagonisti di “Scene da un matrimonio” diventati, trent'anni dopo, più maturi ma anche più spietati. Liv Ullmann e Erland Josephson, sulle note della Quinta sonata per violoncello di Bach, erano i protagonisti di entrambi i lavori e, in quello che oggi si definirebbe un “sequel” continuano a confrontarsi implacabilmente, scavando nei meandri della psiche e dei sentimenti umani. Il loro è un dialogo assoluto che, in presenza d’un figlio e di una nipote, evidenzia le molteplici sfumature delle relazioni personali e familiari e la loro capacità di generare rimpianti, rimorsi, rancori. Il mistero dell’amore e dell’odio, l’ineluttabile conflitto tra genitori e figli, tra indifferenza e attaccamento morboso, la vecchiaia, l’angoscia degli «ultimi giorni», lo scenario della vita, «troppo grande» per la debolezza umana, sono i temi di questa Sarabanda, danza lenta e severa in cui le coppie si formano e si disfano. Dieci scene, dieci dialoghi in cui i personaggi s’incontrano a due a due, per sciogliersi definitivamente nell’esecuzione di padre e figlia della omonima suite bachiana. Affidandosi a due grandi interpreti come Renato Carpentieri e Alvia Reale, il regista Roberto Andò commenta: «È un testo scomodo nella sua cruda onestà, ma il cui vero messaggio non è affidato alle parole, ma ai silenzi e ai gesti: alla tenerezza di un abbraccio, di un tenersi per mano, di un denudarsi accettando di rivelare l’uno all’altro la fragilità di corpi segnati dal tempo e dal peso di vivere». 

 

8 – 9 febbraio Teatro Gustavo Modena

La buona novella

da Fabrizio De André

drammaturgia e regia Giorgio Gallione

arrangiamenti e direzione musicale Paolo Silvestri

con Neri Marcorè

e con Rosanna Naddeo

voce e chitarra Giua | voce, chitarra e percussioni Barbara Casini I pianoforte Francesco Negri

violino e voce Anais Drago I voce e fisarmonica Alessandra Abbondanza

scene Marcello Chiarenza | costumi Francesca Marsella | luci Aldo Mantovani

produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Carcano Fondazione Teatro della Toscana, Marche Teatro

 

Il progetto teatrale su La buona novella è pensato come una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni di Fabrizio de André con i brani tratti da quei Vangeli apocrifi cui lo stesso autore si è ispirato. Prosa e musica, perciò, montati in una partitura coerente al percorso tracciato dall’autore nel disco del 1970, il primo concept-album di De André, con partitura e testo composti per dar voce a molti personaggi: Maria, Giuseppe, Tito il ladrone, il coro delle madri, un falegname, il popolo. I brani parlati, come in un racconto arcaico, sottolineano la forza evocativa e il valore delle canzoni originali, svelandone la fonte mitica e letteraria. A portare in scena questo lavoro è Neri Marcoré, con la regia di Giorgio Gallione, che scrive: «Con Neri Marcorè abbiamo scandagliato per anni il teatro canzone di Gaber, e già ci confrontammo con i materiali di Faber in un altro spettacolo, “Quello che non ho”, che intrecciava i pensieri e le canzoni di De André con gli scritti di Pasolini.

La buona novella tratta certo della Passione di Cristo (per De André il più grande rivoluzionario di tutti i tempi), ma la racconta anche dalla parte di Maria, madre bambina inconsapevole e prescelta prima, straziata e piangente mater dolorosa poi. La buona novella non è solo un concerto, ma uno spettacolo originale, recitato e cantato da una compagnia di attori, cantanti e musicisti che penseranno l’opera di De André come un ricchissimo patrimonio che può comunque ben resistere, come ogni capolavoro, anche all’assenza dell’impareggiabile interpretazione del suo creatore».

 

 

6 – 19 marzo Teatro Ivo Chiesa

Pignasecca e Pignaverde

di Emerico Valentinetti

adattamento Tullio Solenghi, Margherita Rubino

regia Tullio Solenghi

interpreti Tullio Solenghi, Mauro Pirovano, Roberto Alinghieri, Claudia Benzi

Stefano Moretti, Stefania Pepe, Laura Repetto, Aleph Viola

scena e costumi Davide Livermore

produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Sociale Camogli

 

L’esito entusiasmante dei “Manezzi per maritare una figlia” di Gilberto Govi, che nell’arco di ottanta repliche ha divertito ed emozionato una platea di almeno 50.000 spettatori, non poteva che preludere ad una nuova avventura con l’altro grande classico del magistrale repertorio di Govi: Pignasecca e Pignaverde. Così Tullio Solenghi, regista e interprete – firma anche l’adattamento assieme a Margherita Rubino – sulle scene e i costumi disegnati da Davide Livermore, dà corpo e voce a Felice Pastorino, protagonista della celebre commedia scritta da Emerico Valentinetti nel 1957.

Spiega Solenghi presentando il lavoro: «Lascio i panni del remissivo Steva per calarmi con immutato entusiasmo in quelli del più arcigno Felice, una maschera che, a differenza della precedente, nasconde, tra gli immancabili spunti di grande comicità, lati umani oscuri e intriganti da indagare e rappresentare. Questo nuovo personaggio goviano rappresenta, infatti, l’eterno archetipo dell’avaro, attorno al quale ruotano personaggi e situazioni che vanno a comporre, nell’attenta osservazione della realtà, quel microcosmo di stampo ligure che si manifesta in una sorta di preziosa “foto d’epoca”. È proprio sfogliando queste immagini sceniche che il pubblico ha partecipato ai nostri “Manezzi”, in una sorta di rito collettivo che voglio puntualmente ricreare con questa nuova rappresentazione. In Pignasecca e Pignaverde

la maschera si fa più autentica, con una maggiore profondità narrativa: una nuova sfida per me, per la mia messa in scena e per la compagnia che mi affianca, professionalmente ineccepibile in ogni ruolo, perché l’empatia del gruppo è sempre stata una delle risorse essenziali del teatro di Govi. A lui e alla sua arte ho voluto dedicare anche in questa nuova messa in scena un mio personale tributo».

 

Prima assoluta

12 – 23 marzo Teatro Gustavo Modena

Too Late

di Jon Fosse

un progetto Dellavalle/Petris

traduzione e regia Thea Dellavalle

interpreti Anna Bonaiuto, Irene Petris, Roberta Ricciardi, Emanuele Righi, Giuseppe Sartori

suono G.U.P. Alcaro

produzione Teatro Nazionale di Genova, TPE – Teatro Piemonte Europa

In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di Colombine Teaterförlag

 

Passati quasi centocinquanta anni dallo scandalo che seguì la pubblicazione di “Casa di Bambola” di Henrik Ibsen, e dopo le tante, diversissime messinscena del testo, il premio Nobel della letteratura Jon Fosse, immagina una nuova Nora Helmer. Nella sua riscrittura il personaggio, che è stato simbolo di emancipazione e " mito culturale", è una Nora "del dopo", più vicina a noi. Con lo sguardo disincantato e “esistenziale” che lo contraddistingue, l’autore norvegese, affronta la vicenda da una prospettiva singolare, immaginando – non senza ironia – una sorta di sequel. Dopo la fuga da casa verso la libertà, dopo aver abbandonato marito e figli, Nora ha vissuto la sua vita in solitudine, provando ad esprimersi come artista. Giorno dopo giorno, mentre si confronta con la creazione, ripercorre la sua storia cercando di dare un senso ai ricordi e ai frammenti del passato che la “visitano”, interrogandosi sulle ragioni e le conseguenze di una scelta di affermazione di sé che forse non si è rivelata giusta ma è stata inevitabile. 
La Nora di Jon Fosse, chiusa in uno spazio astratto, forse più mentale che reale, pensa dunque a ricominciare, ad un nuovo inizio. E in questa prospettiva, Fosse riesce a dare concretezza ad una rivisitazione del personaggio ibseniano che conserva un potenziale "scandaloso" declinato nel contesto di una sensibilità decisamente più attuale. 

La compagnia Dellavalle/Petris, formata dalla regista Thea Dellavalle e dall’attrice Irene Petris, si confronta dunque con questo “classico contemporaneo” affidando il ruolo di Nora ad una splendida Anna Bonaiuto, in un lavoro che conferma – laddove ce ne fosse bisogno – la grandezza non solo teatrale, ma letteraria e poetica dell’opera di Jon Fosse.

 

Prima assoluta

25 marzo – 6 aprile Teatro Eleonora Duse

Equus

di Peter Shaffer

traduzione Marco e Carlo Sciaccaluga

regia Carlo Sciaccaluga

interpreti da definire

scene e costumi Anna Varaldo

produzione Teatro Nazionale di Genova

 

A proposito del nuovo allestimento di Equus, il dramma-scandalo scritto da Peter Schaffer nel 1973, e presentato a Genova solo due anni dopo, il regista Carlo Sciaccaluga racconta: «Alan ha diciassette anni. Una notte, senza ragione apparente, acceca sei cavalli nel maneggio dove lavora. Perché? Cosa deve essere celato agli occhi degli animali? Equus di Shaffer ci espone l'eterno conflitto tra razionale e irrazionale. O tra Apollo e Dioniso, tra normale e anormale, regola e anarchia, ragione e istinto. Per Alan si aprono le porte della clinica psichiatrica del dottor Dysart, il quale, a contatto con il viaggio spirituale e sessuale di Alan dentro la pazzia, scopre con terrore la propria vita priva di passioni. Penteo invidia Dioniso. Come sempre. Dysart capirà, e noi con lui, quanto sono vuoti i nostri discorsi da ora dell'aperitivo che inneggiano a una vita che ci restituisca alla natura mentre scrolliamo compulsivamente la schermata del telefono. Equus trasuda sesso, divinità, animalità umana. Può essere letto come torbida indagine psicanalitica o come fiaba pagana moderna. Si può trovare tra le pieghe del testo una rappresentazione dell'omosessualità repressa, ma penso che ridurlo a questo sia fare un torto all'opera. La vera grandezza del lavoro è la sua universalità primitiva, che dà al pubblico la possibilità di leggere lo spettacolo a più livelli… Forse l'unico vero riassunto che si può fare è in una contrapposizione: la pulsione del Primitivo messa a confronto con le sovrastrutture culturali ci ricorda la diatriba virtuale tra Socrate e Nietzsche, con il primo a dire che “l’istinto è una mostruosità se non è tenuto sotto controllo della ragione”, e il filosofo tedesco a ribattere che invece “la ragione è una mostruosità, se non è tenuta sotto controllo dall’istinto” E noi? Siamo pronti a lasciarci vedere nudi da Equus?»

 

1 – 6 aprile Sala Mercato

Stabat Mater

drammaturgia e regia Liv Ferracchiati

interpreti Liv Ferracchiati, Chiara Leoncini, Renata Palminiello, Petra Valentini

scene Giuseppe Stellato

costumi Laura Dondi

luci Giacomo Marettelli Priorelli

suono Spallarossa

produzione Teatro Nazionale di Genova, Centro Teatrale MaMiMò, Marche Teatro

Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

 

Stabat Mater è il secondo capitolo della Trilogia sull’identità di Liv Ferracchiati, punto d’arrivo di un’intensa «ricerca antropologica sentimentale» sul transgenderismo. Il testo, vincitore del Premio Hystrio Nuove Scritture di Scena 2017, viene ora presentato in una forma diversa, con un nuovo cast e un allestimento completamente rinnovato nella volontà di far rivivere un progetto che, in anni non sospetti, aveva trattato tematiche politicamente e socialmente centrali quali l’autodeterminazione e la libertà d’espressione identitaria.

 

Liv Ferracchiati dice presentando il lavoro: «La storia che viene raccontata è quella di uno scrittore trentenne alle prese col diventare adulto e il trovare una collocazione nel mondo. Una collocazione che viene cercata nella relazione con l’altro e nell’emancipazione dalla madre, figura fagocitante e, per lui, simbiotica. La scrittura è lo strumento attraverso il quale performa sé stesso inventando nuove possibilità, artistiche ed esistenziali, creando cortocircuiti di convenzione.

Tra le sue parole, nel modo di veicolarle, e in quelle delle due donne chi si relazionano a lui vedremo franare molti degli stereotipi maschili più tossici. Il lavoro è un invito a pensare noi stessi come autori della nostra “forma”, concependo i tasselli identitari che ci compongono non come una gabbia, ma come strumenti per comunicare con l’altro».

 

8 – 13 aprile Teatro Gustavo Modena

L’empireo

da The Welkin di Lucy Kirkwood

traduzione Monica Capuani, Francesco Bianchi
regia Serena Sinigaglia

con Alvise Camozzi, Matilde Facheris, Valeria Perdonò, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Chiara Stoppa, Anahì Traversi, Virginia Zini, Sandra Zoccolan e 4 attrici in corso di definizione

produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Carcano, Teatro Stabile di Bolzano, LAC - Lugano Arte Cultura, Teatro Bellini di Napoli

 

L’empireo è l’ultimo testo in ordine di tempo (ha debuttato al National Theatre di Londra all’inizio del 2020) della grande drammaturga inglese Lucy Kirkwood, autrice di pièce di notevole interesse e grande successo. «È un testo – dichiara la traduttrice Monica Capuani –monumentale e ambizioso. Ambientato nell’Inghilterra rurale, racconta la storia di una giuria di dodici donne convocate da un giudice che non può giustiziare per omicidio una ragazza perché si dichiara incinta. La giuria femminile dovrà decretare la verità o meno di questa affermazione, e avrà in questo modo su di lei potere di vita o di morte. Da questo microcosmo femminile, emergono le questioni fondamentali e intramontabili della vita delle donne di qualsiasi epoca. Primo tra tutti, il trattamento iniquo che la legge scritta dagli uomini esercita ancora oggi sulle donne e sul loro corpo». Aggiunge la regista, Serena Sinigaglia: «Amo l’epica, amo la coralità, amo la sfumatura tragicomica: L’empireo è tutto questo insieme. E non basta: racconta una storia avvincente. È un testo contemporaneo ambientato nel marzo del 1759. Un testo contemporaneo, in costume? Ebbene sì. Ma non basta ancora, anzi: è il primo testo teatrale in cui mi imbatto che affronta le tematiche di genere senza concedere nulla alla retorica e alla banalità. È secco, ruvido, vero, al pari della realtà. E poi dà spazio alle attrici, diciannove personaggi di cui diciassette femminili. Una bella inversione di tendenza rispetto alla media dei personaggi pensati e scritti per le donne. L’empireo è uno spettacolo militante, avvincente, divertente, con un cast d’eccezione, che viaggia dentro la scrittura della Kirkwood, dentro ai corpi e agli umori delle matrone, dell’imputata, del giudizio di un cielo tanto luminoso quanto impotente, nella vana speranza che una cometa passi e cambi la storia».

 

Prima assoluta

25 aprile Teatro Ivo Chiesa

D’oro - sesto senso partigiano

25 aprile 1945 – 25 aprile 2025

da un’idea di Gad Lerner e Laura Gnocchi

drammaturgia e regia Giorgina Pi

produzione Teatro Nazionale di Genova

progetto realizzato con il Patrocinio di ANPI

 

A ottanta anni di distanza da quel fatidico 25 aprile 1945, il Teatro Nazionale di Genova è orgoglioso di dare vita a un nuovo e articolato progetto culturale, interamente dedicato alla Liberazione. Seguendo la suggestione della memoria e delle testimonianze, da mantenere vive e presenti, e della necessaria riaffermazione dell’importanza e della bellezza della Costituzione Italiana, che proprio dalla lotta partigiana ha avuto origine, il Teatro Nazionale di Genova accoglie con gioia l’invito di Gad Lerner e Laura Gnocchi di trasporre in teatro il loro enorme lavoro di ricerca “Noi partigiani”.

Scrive la regista Giorgina Pi: «D’oro sarà per sempre la storia di una generazione di ribelli che ha liberato l’Italia nel 1945. Il loro obiettivo era enorme: cessare la guerra per sradicare davvero il nazifascismo. Una scelta di responsabilità collettiva, un’invocazione radicale di libertà. Una decisione estrema, un antifascismo esistenziale che pervase migliaia di persone giovanissime che cambiarono il corso della storia. Sedicenni che lasciano la propria casa per andare sulle montagne, altre che abbracciano l’attività clandestina all’insaputa della famiglia. Avevano al massimo poco più di vent’anni. D’oro era la loro ferma convinzione di trasformare la disperazione di un popolo in gioia. A partire dai meravigliosi racconti che ribelli quasi centenari fanno a Gad Lerner e Laura Gnocchi, affideremo quella memoria luminosa a adolescenti che di quella esperienza si prenderanno cura a ottant’anni di distanza. Un atto psicomagico, una reincarnazione possibile e necessaria. Un dialogo tra esistenze ingiustamente spezzato, che ci chiama urgentemente adesso perché D’oro è il sesto senso partigiano, senza tempo.

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