Lungo l’arco di costa che da Ventimiglia arriva a Sarzana, la salute mentale è uscita dai margini del discorso pubblico per diventare tema di politica sanitaria, di welfare locale e di cittadinanza attiva. A favorire questo cambio di passo sono stati l’accelerazione tecnologica, la maturazione della telemedicina e un lavoro quotidiano di rete fra Dipartimenti di Salute Mentale, medici di medicina generale, pediatri, consultori, scuole, terzo settore e associazioni familiari. In una regione contraddistinta da orografia complessa, piccoli comuni, borghi dell’entroterra e un capoluogo metropolitano con vocazione portuale e industriale, l’accessibilità non è un dettaglio: è la differenza tra un bisogno espresso e uno che resta sommerso. Le cliniche da remoto – telepsichiatria e telepsicologia – sono nate come risposta emergenziale, ma oggi sono parte strutturale dell’offerta, integrate con i percorsi in presenza e con gli standard clinici più aggiornati.
La Liguria, più di altre regioni, ha dovuto fare i conti con tre caratteristiche demografiche e sociali che impattano direttamente sulla domanda di salute mentale: l’alta quota di popolazione anziana, la stagionalità turistica che in alcuni periodi dilata numeri e bisogni, e una mobilità non sempre semplice tra costa e vallate interne. Questo contesto ha reso la teleassistenza non una scelta opzionale, ma un modo per garantire equità, continuità di cura e prevenzione delle ricadute. I percorsi di diagnosi e trattamento oggi si appoggiano al fascicolo sanitario elettronico, a piattaforme sicure di videoconsulto e a protocolli “blended” che combinano visite in presenza, follow-up da remoto, strumenti digitali di automonitoraggio e contatti proattivi degli operatori. Il risultato è un’assistenza più vicina ai ritmi di vita delle persone: si riducono i tempi di attesa per il primo colloquio, si mantengono agganci terapeutici nei momenti critici, si evitano spostamenti gravosi per chi abita lontano dai centri.
La rete ligure della salute mentale resta saldamente ancorata ai servizi territoriali: Centri di Salute Mentale per l’età adulta, servizi dedicati all’età evolutiva, consultori, unità ospedaliere per l’urgenza e comunità terapeutiche. Il punto non è la sostituzione del “vis-à-vis”, ma la sua valorizzazione. Le cliniche da remoto assumono ruoli specifici: triage clinico, follow-up farmacologico, psicoterapia cognitivo-comportamentale e supporto alla gestione di ansia, depressione, disturbi dell’adattamento, esiti di trauma, dipendenze comportamentali. Per i disturbi che richiedono osservazione intensiva, esami obiettivi o interventi di équipe, il cardine resta la presa in carico in presenza. Anche per questa chiarezza di ruoli la fiducia delle persone è cresciuta: il paziente sa quando troverà il professionista in ambulatorio e quando potrà connettersi da casa in totale sicurezza.
Genova, per dimensione e vocazione universitaria, è diventata un hub di sperimentazione organizzativa e clinica. Qui i progetti pilota di telepsichiatria hanno messo a punto percorsi per studenti universitari, marittimi e lavoratori del porto, categorie esposte a stress specifici e a turnazioni che complicano l’accesso ai servizi tradizionali. La Spezia ha lavorato sull’integrazione con le basi militari e i cantieri, mentre Savona e Imperia hanno sviluppato modelli di prossimità per i piccoli comuni e l’alta Val Bormida, facendo leva su infermieri di famiglia e comunità formati sulle competenze relazionali e sull’intercettazione precoce del disagio. In tutte le province la collaborazione con associazioni e gruppi di auto-mutuo aiuto ha reso più permeabile la “porta d’ingresso”: informazione corretta, lotta allo stigma, accompagnamento al primo consulto e continuità nel tempo.
Sul piano clinico le piattaforme da remoto hanno reso praticabile un approccio misurabile e personalizzato. La psicoterapia online – quando indicata – utilizza programmi strutturati, homework digitali, questionari validati e scale di esito somministrate in modo regolare. Lo psichiatra può controllare la risposta al trattamento, la tollerabilità dei farmaci, l’aderenza, e modulare la terapia con contatti più ravvicinati nelle fasi delicate. La digitalizzazione dei Percorsi Diagnostico-Terapeutico-Assistenziali ha introdotto reminder automatici, allarmi per segnali di peggioramento e agende condivise con i medici di famiglia. Questo “care team diffuso” è uno dei tratti più interessanti dell’esperienza ligure: lo specialista non è mai un’isola, ma il punto di riferimento di un sistema che include scuola, servizi sociali, consultori, servizi per le dipendenze e, quando serve, i pronto soccorso.
La teleassistenza ha inciso in modo particolare su due aree: giovani e terza età. Nel primo caso, l’accesso remoto riduce la barriera d’ingresso psicologica, parla un linguaggio familiare e si adatta ai tempi della scuola e dell’università. In adolescenza e nella prima età adulta, dove l’insorgenza dei disturbi è più frequente, l’aggancio precoce è determinante. Nella popolazione anziana, la telemedicina funziona quando è accompagnata: caregiver e familiari vengono coinvolti nel set-up tecnico, si pianificano momenti in presenza per le valutazioni cognitive o funzionali, e si curano gli aspetti di sicurezza (cadute, politerapie, comorbilità). Non va sottovalutato il rischio opposto: l’esclusione digitale. Per questo i servizi liguri hanno investito in alfabetizzazione tecnologica, punti di connessione assistita nelle Case della Comunità, dispositivi di prestito, centralini che guidano passo-passo e opzioni “low-tech” (telefono e messaggistica protetta) quando il video non è possibile o non è clinicamente necessario.
Un tema decisivo, spesso trascurato, riguarda qualità e valutazione. La telepsichiatria e la psicologia online non “funzionano” perché sono comode, ma perché si ancorano a protocolli, consenso informato specifico, privacy by design e linee guida che definiscono criteri di eleggibilità, gestione del rischio, setting e documentazione. Gli esiti contano: non basta sapere quante sedute sono state erogate, è importante misurare remissione dei sintomi, funzionamento sociale e lavorativo, qualità di vita, soddisfazione percepita. In Liguria si è diffusa la pratica del “measurement-based care”: il paziente compila brevi scale su piattaforma sicura prima di ogni sessione; il professionista vede trend, segnali di allarme e progressi, e condivide le decisioni con la persona. Questo approccio, oltre a migliorare la precisione clinica, rafforza l’alleanza terapeutica: il paziente si sente attore protagonista del percorso.
La gestione delle urgenze è l’altro banco di prova. Che cosa succede se un paziente in videoconsulto manifesta ideazione suicidaria, agitazione acuta o segnali che richiedono intervento immediato? Le cliniche da remoto operano con piani di crisi predefiniti: raccolta del recapito e dell’indirizzo aggiornato a ogni sessione, contatto con una persona di riferimento autorizzata, numeri di emergenza e coordinamento con i servizi territoriali. La tecnologia aiuta – geolocalizzazione, alert, condivisione sicura di informazioni essenziali – ma il cuore resta la rete: sapere chi chiamare, come attivare l’équipe di zona, come traghettare la persona verso il luogo più appropriato in tempi rapidi. Questo “ponte” tra digitale e reale funziona tanto meglio quanto più gli attori si conoscono e si parlano: non a caso, molte équipe liguri hanno calendari di confronto periodico e simulazioni di casi per testare la risposta ai diversi scenari.
L’integrazione con il mondo del lavoro merita un’attenzione specifica. La Liguria ha porti, cantieri, logistica e un turismo che concentra carichi di stress e stagionalità. Le cliniche da remoto hanno avviato percorsi di prevenzione secondaria con aziende e sindacati: sportelli psicologici online, programmi brevi per il rientro dopo lunghi periodi di malattia, supporto per turnisti e marittimi quando la nave è in porto o in collegamento satellitare. Nei settori a elevata responsabilità e rischio, la telepsichiatria consente una presa in carico tempestiva che spesso impedisce un aggravamento e un ricorso improprio all’urgenza. Anche nelle scuole – soprattutto superiori e istituti tecnici – i progetti di consulenza psicologica da remoto, coordinati con i servizi per l’età evolutiva, offrono ascolto e orientamento, intercettando precocemente bullismo, ritiro sociale, ansia da prestazione, uso problematico di sostanze o di tecnologie.
Naturalmente, restano nodi da sciogliere. Le infrastrutture digitali non sono omogenee in tutto il territorio; non tutte le famiglie dispongono di connessioni stabili, device adeguati o spazi riservati. La formazione degli operatori – clinica, tecnologica, comunicativa – richiede tempo e risorse dedicate. La normativa sulla protezione dei dati impone standard elevati: conservazione sicura, crittografia end-to-end, tracciabilità degli accessi, minimizzazione dei dati raccolti. E poi c’è il tema, più sottile, della qualità del rapporto: alcuni pazienti fioriscono nel setting online, altri hanno bisogno del corpo, della stanza, della ritualità di un luogo fisico. La risposta ligure più convincente non è scegliere tra A e B, ma costruire un continuum: dare alla persona, insieme al clinico, la possibilità di decidere di volta in volta quale modalità sia più utile, e di cambiarla lungo il percorso.
Sul fronte dell’innovazione, il 2025 vede maturare strumenti che fino a pochi anni fa sembravano fantascienza. Applicazioni per il monitoraggio ecologico dei sintomi, diari digitali guidati, training di regolazione emotiva, realtà virtuale per l’esposizione graduale in fobie e PTSD, algoritmi che aiutano a organizzare le informazioni cliniche senza sostituirsi al giudizio del professionista. In Liguria alcuni progetti di ricerca-azione stanno valutando come integrare queste tecnologie nella pratica quotidiana, con un occhio attento all’etica: trasparenza sugli algoritmi, assenza di automatismi decisionali, controllo umano in tutte le fasi, rifiuto del determinismo tecnologico. La promessa è una sanità mentale più personalizzata e accessibile; la condizione è che rimanga saldamente umana, centrata sulla relazione e sulla responsabilità clinica.
Guardando avanti, la strada sembra tracciata. La sanità mentale ligure continuerà a lavorare su tre assi: prossimità (portare i servizi dove sono le persone), integrazione (fare in modo che i diversi pezzi del sistema parlino fra loro) e qualità misurata (sapere cosa funziona, per chi, in quanto tempo). Le cliniche da remoto non sono una parentesi, ma una leva per rimuovere ostacoli storici (vedi: gam-medical.com): distanze, tempi, stigma, discontinuità. Se sostenute da formazione, infrastrutture, governance chiara e ascolto costante dei cittadini, possono diventare la via maestra per coniugare rigore clinico e umanità, efficienza e diritto alla cura. La Liguria, con la sua geografia esigente e il suo capitale professionale, ha tutte le carte per dimostrare che la salute mentale del futuro non è né solo digitale né solo analogica: è un patto di fiducia che usa il meglio di entrambi i mondi per non lasciare indietro nessuno.
In questo equilibrio, ogni dettaglio conta: la chiamata che arriva al momento giusto, la scheda condivisa che evita ripetizioni e fraintendimenti, la sessione online che mantiene viva la motivazione tra una seduta e l’altra, l’ambulatorio che resta aperto quando serve. È la somma di piccoli ingranaggi a fare la differenza. E la Liguria, lentamente ma con decisione, sta oliando la sua macchina perché il benessere mentale diventi davvero un bene comune, accessibile, vicino, continuo. Questa è la sfida e, insieme, l’opportunità del presente.
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