Nel giorno in cui sindacati e lavoratori aspettano risposte dal tavolo romano e un segnale chiaro sulla continuità produttiva degli stabilimenti, le parole di Fabio Ceraudo, presidente del Municipio VI Medio Ponente e dipendente di Acciaierie d’Italia, arrivano come una presa di posizione netta in una fase in cui lo scenario industriale resta appeso alle decisioni del Governo. Mentre a Genova il presidio in piazza Savio prosegue attualmente senza nuovi cortei, e a Taranto cresce la preoccupazione per il rischio che il “ciclo corto” preluda alla chiusura, il clima è quello dell’incertezza totale: migliaia di famiglie attendono di capire quale sarà il destino dell’acciaio italiano.
È in questo quadro che Ceraudo affida alle sue dichiarazioni un messaggio che intreccia numeri, memoria operaia e una richiesta: che lo Stato si assuma responsabilità concrete per salvare un settore strategico.
“Sono nato operaio e resto operaio, anche oggi da Presidente del Municipio” esordisce Ceraudo, ricordando come la vicenda non sia “solo una vertenza industriale: è la storia di migliaia di famiglie, di generazioni che hanno dato forza e dignità a Genova, Taranto, Novi Ligure, Racconigi e all’Italia intera”.
I numeri, sottolinea, raccontano una situazione drammatica: “Oltre 6.000 lavoratori sono oggi a rischio senza un intervento serio del Governo. A Genova, il piano governativo prevede il taglio di 200mila tonnellate di produzione di zincatura. A Taranto, il cosiddetto ‘ciclo corto’ rischia di trasformarsi in un percorso mascherato verso la chiusura”.
La mobilitazione di questi giorni ha un prezzo altissimo per gli operai: “Questi scioperi hanno un costo enorme: agli operai è stato tolto quasi metà dello stipendio. Un sacrificio pesantissimo, che dimostra quanto la lotta sia vera e radicata”.
Ceraudo mette in guardia dal contrapporre categorie sociali: “Eppure, contrapporre cittadini e lavoro non fa parte della storia del nostro Municipio: è un gioco che aiuta sempre e solo il potente di turno. Noi siamo e dobbiamo essere comunità, perché solo insieme si costituisce il futuro”.
Ferma la condanna di ogni forma di tensione: “E sia chiaro: la violenza non è mai giustificata e va sempre condannata. La nostra forza è la dignità, la solidarietà e la giustizia. Non la sopraffazione”.
Dietro le cifre ci sono, ricorda, vite reali: “Ci sono padri e madri che hanno cresciuto figli con il sudore della fabbrica. Ci sono comunità intere che hanno costruito futuro e speranza, e che oggi rischiano di essere svendute”.
Il suo intervento prende poi una piega personale: “Il presidente operaio non dimentica da dove viene. Ho vissuto la fabbrica, la fatica, la solidarietà. E quando uno diventa Presidente del Municipio resta sempre un padre, un collega, un uomo comune che rappresenta tutti, ma che porta con sé la sua storia”.
Per Ceraudo, difendere l’industria significa difendere i territori: “Difendere il lavoro significa difendere il territorio. Difendere il territorio significa difendere la nostra identità”.
Da qui la richiesta netta al Governo: “Lo Stato non può continuare ad essere assente. Lo Stato deve assumersi responsabilità chiare e nazionalizzare, perché solo lo Stato può essere garante del rilancio di un asset fondamentale come quello dell’acciaio. Solo lo Stato può garantire insieme lavoro, ambiente e salute”.
E aggiunge una stoccata politica: “Qualcuno in passato si è definito ‘Presidente operaio’ senza mai aver conosciuto davvero la fabbrica. Io non ho bisogno di slogan: la mia storia parla da sé”.
Infine, un richiamo forte alla giustizia sociale: “Non chiediamo privilegi, chiediamo giustizia. Non chiediamo assistenza, chiediamo un piano industriale vero, che non scarichi i costi sulle spalle dei lavoratori e delle comunità che a Genova rischia di perdere 1200 posti di lavoro più l'indotto”.
Ceraudo conclude ribadendo la sua appartenenza al mondo del lavoro: “Io resto quello che ero: un operaio, un padre, un uomo comune. E proprio per questo non smetterò mai di lottare per il lavoro e per il territorio. Perché il lavoro è vita, e la vita non si svende”.














