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Attualità | 10 agosto 2018, 09:51

Mino Sidoli: “La mia vita da romanzo nei caruggi, tra case chiuse, camalli e circo”

Intervista a Mino Sidoli, classe 1946, nato nei caruggi e con una biografia da romanzo, tra il contrabbando di sigarette, il ricordo delle "case chiuse", la vita nel circo e nella Legione Straniera

Mino Sidoli: “La mia vita da romanzo nei caruggi, tra case chiuse, camalli e circo”

C’era un tempo in cui Via Prè era sicura, quando le friggitorie stavano aperte fino al mattino, esistevano ancora le “case chiuse” e si contrabbandavano le sigarette. Erano gli anni in cui Mino Sidoli era ragazzo, “gli anni più belli della mia vita, in cui non avevo una palanca, ma avevo tutto”. Gli anni in cui c’erano ancora i palazzi diroccate del Dopoguerra, si lavorava letteralmente “a chiamata” in porto sull’”Andrea Doria”. Perché Mino –soprannominato Bozambino dai camalli, dal celebre film del 1935 che aveva come protagonista Bozambo, un “gigante” di colore - è nato nel 1946 nel Centro Storico, da padre genovese e mamma bergamasca. Un po’ camalli e un po’ circensi i suoi familiari, gli hanno fatto trascorrere la giovinezza tra i caruggi, per poi trasferirsi a Bergamo. Oggi è in pensione, ma canta, ha sei figli da tre mogli, e tanti tatuaggi. Ma con Genova sempre nel cuore, anche se non ci torna da vent'anni. E infatti mi dice, alla fine della nostra intervista telefonica, in cui confessa di non aver mai raccontato la sua storia ad alcun giornalista prima: “Comunque viva Zena, sempre!”.

Mi racconti la tua storia?

Sono nato nel 1946 in Vico delle Carabaghe, in sciu cian de Sant’Andrea, poi siamo andati a Sarzano nella chiesa diroccata per i bombardamenti, e a Sturla, in Via Bernabò Brea, per quasi 16 anni. Papà era genovese e faceva un po’ di tutto, era anche circense, come il nonno, mentre la mamma era bergamasca. Per questo siamo poi andati in Lombardia. Ho avuto tre mogli, sei figli, che sono meravigliosi, e sono in pensione, ma canto e suono. Lo faccio anche come volontario in una casa di riposo.

Andiamo con ordine: cosa facevi a Genova da ragazzo?

Ho fatto di tutto: il camallo, il barista e il panettiere, ma poi mi lasciavano a casa perché era più quello che mangiavo che quello che portavo a casa! Ma intanto contrabbandavo anche sigarette.

Quando hai iniziato a contrabbandare sigarette?

Con le sigarette ho iniziato a 12 anni. Papà si arrangiava, comprava la roba americana e la vendeva su un banchetto sul cian de Sant’Adrea; tante persone gli portavano le sigarette e lui mi diceva di andare a venderle. Lo facevo a 50, 60 o 70 lire, non ricordo più. C’era il giro di notte di papà, zii e amici: portavano giù le stecche, che arrivavano con le navi, poi col gozzo alla Foce; le compravamo, pagandole meno, e ci facevamo qualcosa in più rivendendole. Lo rifarei mille volte, ero felice negli anni Cinquanta e Sessanta: in quel periodo, anche se non avevamo niente, o almeno io non avevo una palanca, avevo tutto.

Com’era la vita nei vicoli, quando c’erano le “case chiuse”?

In Via Prè si girava tranquillamente di notte e c’erano i negozi di farinata aperti fino alle cinque del mattino. Da piccolo, quando avevo 8 o 9 anni andavo nelle “case chiuse”: la maȋtresse mi chiedeva le sigarette o mi faceva fare qualche commissione per le signorine, e io mi compravo da mangiare. Mi volevano bene, ma non mi facevano mai entrare nel salone, dove c’erano gli uomini che aspettavano. Finché sono stato al piano di Sant’Andrea, fino a 12 anni, è stato così. Poi siamo andati nella chiesa bombardata di San Silvestro, a Sarzano, dove abitavamo in canonica, con altre famiglie sotto di noi, mentre della chiesa era rimasto in piedi solo il campanile. Dopo di che abbiamo ottenuto la casa a Sturla e siamo stati là finché non ci siamo trasferiti a Bergamo, quando avevo circa 23 anni.

E il lavoro in porto?

Andavamo in porto tutti e tre, papà, mamma e io, e stavamo in un’osteria ad aspettare la chiamata della ditta Santa Maria o della Marinoni: ci chiamavano proprio dalla finestra. Mio padre, che era il “capoccia” e che era un uomo grande e grosso, era soprannominato Bozambo e io Bozambino. Così quando il padrone della ditta apriva la finestra per farci lavorare, diceva: “Bozambo, porta anche Bozambino, ho bisogno di sei o sette spegassin.” Così guadagnavo qualcosa anch’io, magari portando le latte di pittura. All’epoca c’erano l’”Andrea Doria”, la “Cristoforo Colombo” e la “Raffaello”, che quando arrivavano in porto si saliva e se ne pitturavamo le gabine. Poi si girava nei saloni dove avevano appena fatto le feste e facevamo razzia di quello che avanzava da mangiare: avanzavano scatole di tonno da cinque chili! Per non parlare delle banane: quando arrivavano le bananiere ne portavo a casa una marea! Si faceva una settimana di lavoro, poi di nuovo un paio di giorni a casa.

E la vita al circo come fachiro e mangiafuoco?

Ho iniziato da piccolo con papà e il nonno, che aveva la carovana con due cavalli neri irlandesi: si andava in giro per le cascine della bergamasca e della bresciana a fare gli spettacoli nei cortili dei contadini in estate, mentre in inverno andavo a scuola. Mentre mio padre camminava in equilibrio sul filo, il nonno mi ha insegnato a fare il fachiro. Mi facevo anche rompere la piastra di pietra con la mazza sullo stomaco e spaccavo anche la catena. Ho fatto anche il mangiafuoco. Fino a quindici anni fa mi esibivo con mia sorella, che ha sposato un circense dei Tribertis: facevamo le serate in tutta la Liguria con l’arena, fino a Sanremo. A fare il mangiafuoco ho iniziato vent’anni fa, quando mio cognato faceva l’addestratore di cagnolini, mia sorella faceva girare i piatti sulle punte e io camminavo anche su vetri e chiodi. Abbiamo girato tutti i paesini liguri, ma poi hanno iniziato ad arrivare gli altri circensi ed è stato più difficile, anche perché il Comune ha iniziato a far pagare lo spazio.

Prima di partire per Bergamo c’è stata anche un’altra esperienza particolare…

Prima ho fatto il militare in Marina, sul cacciatorpediniere “Indomito”, e ho girato tra Grecia e Turchia e mi sono divertito. Poi sono stato due anni nella Legione Straniera a Bastia, per mia scelta. I miei genitori non l’hanno saputo finché non sono tornato: in quel periodo dicevo di essere fuori per lavori. Ma non sono mai stato chiamato per lavorare fuori per altre nazioni. Poi mi sono stancato e sono tornato. Dopo ho fatto anche la guardia del corpo e il buttafuori.

E quando hai iniziato a cantare?

Sono state mamma Rosa e una signora, che quando abitavamo a Sturla mi ha sentito cantare con la chitarra sulla passeggiata di Nervi, con amici, e mi ha suggerito di provare. Da lì ho fatto Castrocaro e la selezioni per Sanremo, ma ci volevano troppi soldi all’epoca. Comunque ho iniziato così e continuo ancora. Stasera vado a suonare alla Festa dell'Unità di Bergamo. E comunque viva Zena, sempre!”

Medea Garrone

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