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Attualità | 28 novembre 2021, 10:46

Rischio idrogeologico, l’esperto: “Si previene anche con le difese naturali”

Parla Guido Paliaga, presidente della sezione ligure di Sigea Aps (Società italiana di geologia ambientale): “È possibile prevenire il rischio delle alluvioni anche senza l’utilizzo del cemento, ma con soluzioni meno costose”

Rischio idrogeologico, l’esperto: “Si previene anche con le difese naturali”

Sestri Ponente nel 2010, Marassi nel 2011, le Cinque Terre nel 2011, Leivi nel 2014, Chiavari nel 2014: sono alcune delle alluvioni più devastanti, anche in termini di persone morte, che hanno colpito la Liguria negli ultimi tempi. Qualche settimana fa a Genova sono stati ricordati i dieci anni trascorsi dalla tragica inondazione del torrente Fereggiano nei quartieri di Marassi e di Quezzi.

Tanto da quelle situazioni è cambiato, tanto può e deve ancora migliorare: c’è una maggior efficacia per quanto riguarda il sistema delle allerte, ci sono delle regole più codificate, sono stati fatti importanti lavori pubblici, la prevenzione dal rischio idrogeologico è diventata una priorità sia da parte dell’amministrazione regionale che delle singole amministrazioni comunali. Ma è anche vero che, dall’altra parte, i cambiamenti climatici si fanno sentire, e che più peggiora la situazione da una parte più occorre applicare correttivi dall’altra, occorre stare sempre sul pezzo, ragionare in termini di prevenzione e farlo non solo attraverso le grandi opere e le difese strutturali di cemento, ma anche attraverso scelte più naturali e rispettose del territorio.

È il parere di un geologo esperto e di lungo curriculum Guido Paliaga, presidente della sezione ligure di Sigea Aps (Società italiana di geologia ambientale: “È possibile prevenire il rischio delle alluvioni, in diversi casi, anche senza l’utilizzo del cemento, ma con soluzioni meno costose, meno impattanti e altrettanto efficaci”.

Dottor Paliaga, quanti aspetti sono cambiati rispetto a dieci anni fa?

“In generale, direi che molti aspetti sono cambiati a partire da vent’anni fa. E sono soprattutto inerenti ai fenomeni di precipitazioni intense, che sono in qualche modo legati ai cambiamenti climatici. Noi abbiamo studiato parecchi modelli storici e il risultato a cui si è giunti è che c’è stata negli anni una riduzione della media delle precipitazioni, ma c’è stata una intensità in aumento. In sostanza, piove meno di frequente, ma quando piove, lo fa molto di più”.

Questo che cosa comporta?

“Comporta che, specie negli ultimi quindici o dieci anni, queste fortissime precipitazioni hanno avuto conseguenze nefaste sul territorio della Liguria. Abbiamo studiato a lungo questi fenomeni di ‘flash flood’, ovvero di alluvioni lampo, per capire non tanto come impedirle, ma come andare a curare i terreni. C’è, in particolare nella nostra regione, un continuo processo d’indebolimento dei versanti, ci sono frane di tipo superficiale che possono diventare anche molto pericolose e che ‘camminano’ molto velocemente. Queste, hanno un potere distruttivo molto elevato. Lo abbiamo visto, ad esempio, con la frana di Leivi del 2014, che si è portata via un’intera casa dove vivevano due persone, morte in quell’incidente. Lo abbiamo visto nel caso dell’alluvione delle Cinque Terre e dell’alluvione nella zona del Magra, nello spezzino”.

Che cosa si può fare?

“Dobbiamo studiare i fenomeni di questo tipo, che ormai sono diventati quasi la normalità. Dobbiamo cercare di capire come possono svilupparsi queste frane e soprattutto dove, e lì andare a intervenire. Negli anni, sono state fatte parecchie opere di natura idraulica, in parte adeguate a contesti fortemente urbanizzati. Penso ad esempio a Genova, ai lavori per l’abbassamento del letto del Bisagno o ai lavori per lo scolmatore. Bisogna tener presente che non bisogna, quando si lavora su un corso d’acqua, pensare che in caso di piena debba passare solamente l’acqua. In realtà, devono anche passare tutti quegli elementi solidi che l’acqua trascina con sé”.

Quali sono le priorità?

“L’adeguamento degli argini è diventato sempre più urgente. Così come è urgente lavorare sugli ultimi tratti dei corsi d’acqua, perché è proprio da lì che possono nascere i maggiori problemi. Gli scolmatori sono importanti, ma sono molto costosi e vanno presi in considerazione solamente quando non ci sono alternative. Fondamentale è la manutenzione del territorio. Come geologi, con il mio gruppo di lavoro stiamo seguendo un interessante progetto che riguarda il promontorio di Portofino: si chiama ‘Reconnect’ ed è co-finanziato dal programma europeo per la ricerca e l’innovazione ‘Horizon 2020’. L’obiettivo è dimostrare l’applicabilità, l’efficacia e la replicabilità di soluzioni basate sulla natura (Nature Based Solutions) per la mitigazione del rischio idrogeologico in aree e paesaggi rurali. Prendiamo ad esempio i terrazzamenti, che sono così frequenti in Liguria: se queste strutture non vengono mantenute, si rivelano inutili. Al contrario, invece, sono molto importanti. Purtroppo, però, la politica preferisce le grandi opere, perché si vedono. Ma ci sono una miriade d’interventi piccoli, che costano molto meno ma che soprattutto funzionano”.

Che cosa pensa del progetto della cosiddetta Diga Perfigli sulla Piana dell’Entella?

“Penso che si tratti di un progetto ormai datato, perché le condizioni nel frattempo sono cambiate. Occorre fare delle valutazioni: ad esempio se, al posto della diga, che poi sarebbe un vero e proprio argine, non sia meglio realizzare delle casse di espansione, cioè delle zone in cui, in caso di piogge intense, l’acqua possa scorrere senza creare particolari danni. Il problema è che sulle opere pubbliche, come dice la parola, andrebbe sentito il pubblico, ovvero la cittadinanza. E questo molto spesso non avviene. Io credo che sulla Piana dell’Entella gli spazi per realizzare delle casse di espansione ci siano, perché stiamo parlando di una piana alluvionale, quindi nata esattamente in quella maniera. Le soluzioni di Nature Based Solutions stanno prendendo sempre più campo”.

Alberto Bruzzone

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