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Economia | 22 giugno 2022, 11:56

Lavoro, a Genova previste 22mila assunzioni, ma le aziende faticano a trovare personale

Presentato questa mattina il report di Confindustria e delle agenzie interinali. "Non è un problema di salari, ma anche di costo del lavoro e di mutamento delle scelte di vita". E le aule dei corsi di formazione non si riempiono

Lavoro, a Genova previste 22mila assunzioni, ma le aziende faticano a trovare personale

Sono previste 22mila assunzioni tra maggio e luglio nella città metropolitana di Genova, e le figure professionali più richieste in questo periodo post pandemico sono principalmente divise in tre categorie: tecnici specializzati (in ambito della salute, informatico e ingegneristico), professioni non qualificate (servizi di pulizia, settore edile e manifatturiero) e professioni qualificate nel commercio e nei servizi (principalmente nell’ambito della ristorazione come baristi, cuochi e camerieri).

Per quanto riguarda le professioni impiegatizie, risultano ancora inferiori ai livelli del 2019 sia le categorie legate al lavoro d’ufficio sia gli operai semi-qualificati, operatori di impianti industriali e conduttori di veicoli e macchinari mobili.

Questi sono i principali dati emersi dall’osservatorio di Confindustria insieme alle Agenzie per il Lavoro, che si occupano di fare il punto quadrimestrale sulla situazione occupazionale nella città metropolitana di Genova.

Secondo quanto emerso dallo studio, che a campione analizza domanda e offerta di lavoro nei mesi da gennaio ad aprile 2022, il numero di lavoratori richiesto è aumentato del 55% rispetto allo stesso quadrimestre del 2021 e del 43% rispetto al 2019, quindi in tempo pre Covid. La forte ripresa delle attività post pandemia ha interessato principalmente il settore dell’edilizia e delle costruzioni, mentre l’industria sta ancora soffrendo i postumi delle chiusure, prima, e del rincaro delle materie prime di questi ultimi mesi. Nel settore dei servizi si ha una spinta importante grazie al contributo del turismo.

Il costante monitoraggio effettuato dalle Agenzie per il Lavoro e da Confindustria consente di attuare misure di controllo e reazione tenendo in considerazione una realtà che è in costante mutamento. Secondo lo studio realizzato da Confindustria, "in questo momento storico pesano infatti i fattori generazionali, le scelte di vita, la percezione differente del tempo libero e di quello da dedicare al lavoro che la pandemia ha portato con sé".

Uno dei principali lasciti del Covid è sicuramente lo smart working: durante i colloqui, secondo gli osservatori, sono sempre più frequenti le richieste di poter lavorare da casa per uno o più giorni al mese, in base alle esigenze e alle necessità di lavoratori e aziende. Se, da un lato, i vantaggi in termini di spostamenti e di ottimizzazione dei tempi sono indiscutibili, potrebbero esserci conseguenze in ambito sociale e relazionale di lungo periodo.

Non pensavamo potesse essere un problema, - ha commentato il presidente di Confindustria Genova Umberto Risso - in questa situazione economica, con il rischio di recessione, tutto uno potrebbe pensare tranne questo mismatching tra la richiesta e l'offerta di lavoro. In realtà le cause sono abbastanza complesse, anche perché c'è un cambiamento di atteggiamento verso il lavoro e la formazione. Ci sono tanti corsi di formazione, ma molte volte si fa fatica a trovare chi si iscrive a questi corsi. È un problema che esiste a tutti i livelli, in quasi tutte le categorie".

Una carenza di domanda di lavoro che secondo il presidente di Confindustria è dovuta solo in parte ai salari che in Italia sono tra i più bassi d'Europa. “Bisogna fare attenzione a non semplificare eccessivamente dicendo che ci sono basse condizioni economiche, facendo l'esempio dei camerieri, sicuramente una delle categorie più richieste, ma qui andiamo dagli ingegneri fino agli operai specializzati. In moltissimi casi non si può immaginare che sia solo un motivo economico, ma ci sono motivazioni di ordine di scelta di vita, di cambiamento di sensibilità verso il lavoro, fino a casi particolari, soprattutto nel settore dell'informatica, in cui non importa il contratto a tempo indeterminato, perché mentalmente il lavoratore è già pronto a trasferirsi altrove per maggiori interessi. È un fenomeno molto complesso che va approfondito perché è diventato un problema per le aziende e la società”.

Tornando ai salari, Risso sottolinea come uno degli aspetti che non permette alle aziende di alzarli sia il costo del lavoro, ritenuto troppo alto: “E' cosa nota che il costo del lavoro in Italia non è inferiore a quello di altri paesi, mentre quello che rimane in tasca al lavoratore è decisamente più basso, da tempo ci battiamo per un abbattimento, magari tutto a favore del lavoratore del cuneo fiscale, forse questo governo lo farà nell'ultimo trimestre, si parla di quattro miliardi da mettere a disposizione”.

Francesco Li Noce e Chiara Orsetti

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